«Qui si resta passando»: teatro oltre le sbarre con Emilio Frattini
Debutterà sabato 13 dicembre al carcere di Spini di Gardolo, poi andrà in scena domenica 14 alle ore 15.00 al Teatro Sanbàpolis
L'obiettivo del laboratorio, che ha visto una quindicina di detenuti impegnati nell'apprendimento delle tecniche dell’attore, di regia e di scrittura teatrale, era quello di avviare un'esperienza di ricerca espressiva tesa a comprendere meglio se stessi e gli altri, a scoprire le proprie potenzialità ideative e di progettazione e a trovare sul palcoscenico un veicolo artistico e culturale che potesse trasformare un’esperienza creativa in un'eredità di convivenza civile da parte di soggetti stranieri e di nazionalità italiana detenuti nel carcere, in contatto sinergico e di partecipazione concreta con soggetti esterni.
Operando in un contesto altamente motivante, si è offerta ai partecipanti una situazione concreta di socializzazione e di partecipazione in un ambiente ludico-didattico regolato da impegni precisi, in cui le esperienze derivanti dall’incontro sinergico di più realtà vitali hanno cerato armonia tra interno ed esterno.
Lo spettacolo conclusivo del laboratorio è stato co-prodotto dal Centro Servizi Culturali S. Chiara e dalle Associazioni «Con Arte e con pArte» di Trento e «Sagapò Teatro» di Bolzano con il sostegno del Servizio Attività culturali della Provincia autonoma di Trento, con il patrocinio del Consiglio dell'Ordine degli Avvocati e il contributo della Fondazione Cassa di Risparmio di Trento e Rovereto. La preparazione di attori e attrici interni ed esterni e la regia sono state curate da Emilio Frattini che ha anche realizzato la sceneggiatura ispirandosi al romanzo di Thomas Bernhard «L’imitatore di voci».
Hanno collaborato in qualità di assistenti alla regia e all'organizzazione Francesca Sorrentino e Chiara Ore Visca.
«Abbiamo valutato fino all'ultimo – ha puntualizzato Francesco Nardelli – l'ipotesi di concludere o meno questo percorso con la rappresentazione pubblica di domenica 14 dicembre al Teatro Sanbàpolis.
«Questo perché il lavoro di mesi condotto in carcere da un gruppo di una quindicina di detenuti si ridurrà ad un saggio riservato a poche persone. Molti dei partecipanti al laboratorio, infatti, non potranno partecipare allo spettacolo o per cause legate al processo detentivo (rilascio o trasferimento) o a causa della mancata concessione del necessario “permesso premio” da parte del Giudice di sorveglianza.
«Queste persone saranno in parte sostituite da attori esterni al carcere, – ha concluso Nardelli. – Si è però deciso di mettere in scena comunque lo spettacolo a Sanbàpolis per non mortificare lo sforzo e l'impegno prodotto dai partecipanti al laboratorio che potranno così essere in scena, anche se in numero ridotto rispetto a quanto avremmo sparato.»
Sul valore dell'iniziativa sotto l'aspetto rieducativo delle persone detenute si è soffermato l'avvocato Ottorino Brassanini che ha fatto riferimento, in particolare, all'articolo 27 della Costituzione che stabilisce che “le pene devono tendere alla rieducazione del condannato”.
«Lo spettacolo – ha poi spiegato Emilio Frattini – rappresenta il risultato del percorso creativo che il gruppo ha compiuto grazie all’esplorazione delle proprie emozioni, del proprio vissuto mentale-corporeo e del proprio modo di “essere nella vita” in continua relazione con gli altri, siano essi detenuti, agenti di custodia, ragazzi che recitano, scenografi, tecnici, regista o pubblico, utilizzando e interpretando gli insegnamenti che ci provengono dagli autori classici e moderni che meglio hanno saputo evidenziare i temi portanti della difficoltà e della bellezza del vivere.»
Domenica 14 dicembre lo spettacolo «Qui si resta passando» avrà inizio alle ore 15.00 ed il pubblico potrà accedere gratuitamente alla sala del teatro Sanbàpolis.
«Qui si resta passando»
Nota di Emilio Frattini
Quando passeggiamo per la strada, incontriamo altre persone. Le traiettorie si incrociano, si intersecano, e per pochi preziosi attimi entriamo in un universo di parole frammentate, di concetti sospesi, di storie non finite. Quante volte ci resta la curiosità di conoscere il seguito di quei pensieri spezzati…
Nella piazza irreale di «Qui si resta passando» queste microstorie hanno un inizio e una fine e i nostri personaggi le narrano senza pudori, col desiderio, anzi, di renderci partecipi. L’allegria iniziale poco a poco svanisce e lascia il posto a un desiderio più o meno conscio di esorcizzare il lato oscuro della natura umana, espresso attraverso una narrazione in “terza persona”, che lascia intravedere un racconto autobiografico, grottesco, a volte molto divertente, ma che non dissipa del tutto l’inquietudine del clima a cui ci hanno purtroppo abituati i media con i loro “incidenti bizzarri”.
E’ come se gli uomini, in un attacco improvviso di resipiscenza, confessassero i loro crimini e la loro incapacità di comprensione alla vita. Gli individui che animano il palcoscenico-piazza sono alle prese con il disagio del vivere, sensazione sempre presente nei carceri italiani e nelle opere di Thomas Bernhard.
Il barbone, unica presenza in questo mondo-contenitore di tutte le microstorie frantumate e di passaggio, è il fil rouge che unisce disperazione e humor e funge anche da specchio (interiore?) alla interpretazione identificativa e alla memoria collettiva del pubblico.
Sarà dunque una passeggiata in compagnia dell’oste che ha scambiato il proprio ruolo con il filosofo pensatore, ma che ora chiede, deluso dall’incapacità di ascolto di un mondo troppo distratto, di poter tornare all’antica professione. Della studentessa che, disperatamente ci accusa di aver dimenticato la sensibilità per le Arti, rifugiandoci nell’assenza, nel ritiro autistico della coltivazione di mondi isolati (tecnologici, virtuali, sintomatici).
Del giudice così severo che per dare una lezione esemplare si è suicidato in aula; delle massaie che, immalinconite da una vita coniugale ormai orfana di romanticismo, rubano un manichino maschile per sopperire alla propria solitudine. Dei sindaci di Pisa e di Venezia intenzionati reciprocamente a trasferire i campanili delle loro città per soddisfare la loro narcisistica noia; dell’imitatore di voci che tutti sa imitare tranne se stesso.
È bene che gli spettatori seguano con attenzione distaccata questo spettacolo, come fosse un incidente bizzarro, e che non commettano errori; sappiano che avranno a che fare con il nostro Autore Caparbio, personaggio assai permaloso e deciso nel proprio giudizio. Per essere più espliciti: che si assumano i propri rischi!
Associazione «con Arte e con pArte»
In un momento di generale imbarbarimento della società civile, crediamo che ci si possa concedere una pausa per parlare non solo dei grandi temi e dei crimini all’umanità che agitano le nostre coscienze, ma anche di Arte; un tocco di grazia che lenisca il nostro, pare ineluttabile, stupito precipitare nell’inciviltà e nell’egoismo.
Motivazioni psicologiche
Dott. Giuseppe Disnan
La dimensione educativa, rieducativa e terapeutica del teatro è oggetto di riflessioni ed esperienze che sono ormai patrimonio comune dei due ambiti limitrofi, dell’espressione artistica da un lato, e dell’elaborazione emozionale a livello psicologico, dall’altro.
Il teatro stesso nasce come luogo dove la “persona” (che non a caso nella sua radice etimologica rimanda alla “maschera dell’attore”), attraverso un forte coinvolgimento emotivo può entrare in contatto con contenuti che sono oggetto della vita psichica dell’essere umano, e qui affrontati in una specie di distanziamento che mentre protegge, consente un contatto catartico.
Non a caso alcuni dei temi fondamentali dell’indagine psicologica, ancora oggi fondativi della clinica e della psicopatologia, quali la conflittualità edipica, il lutto, l’aggressività, il senso di colpa, trovarono una loro rappresentazione nei Classici della Tragedia Greca e in alcuni Drammaturghi Moderni come William Shakespeare, Samuel Beckett, Ian McEwan, Thomas Bernhard e altri.
La trasposizione di un elemento artistico in spazi francamente terapeutici non ha poi tardato a verificarsi in modo teorizzato e formalizzato, basti pensare alla Drammaterapia e allo Psicodramma analitico, che diventeranno strumenti elettivi di intervento sia per minori che per adulti. In effetti l’essere contemporaneamente “attori” del proprio disagio, dei conflitti e delle problematiche, nel senso di agirle e di rappresentarle, consente di operare in quello spazio transazionale che unisce appunto realtà ed immaginazione, corpo, agito , pensiero ed emozione.
Questo contesto privilegiato garantisce sia una immersione nel sé individuale, a contatto con esperienze ed emozioni, sia una condivisione con l’altro, partecipe di una esperienza comune, sia una ricerca di espressione e comunicazione della stessa che porta a una rielaborazione su un piano relazionale e gruppale, tale quindi da favorire una diluizione del conflitto. In questo senso , come detto, il lavoro terapeutico, educativo e riabilitativo fondato sui giochi di ruolo costituisce strumento elettivo per molti contesti, nei quali altre forme di intervento scontano l’inadeguatezza di setting non a ciò idonei.