«Il Silenzio», 29ª mostra UCAI a Trento – Di Daniela Larentis

Nella Cattedrale di San Vigilio, l’inaugurazione della collettiva organizzata dall’Unione Cattolica Artisti Italiani – Breve intervista a don Marcello Farina

Bruno Lucchi, Custodi del Silenzio, 2018.
 
«Il Silenzio» è il titolo della mostra inaugurata il 24 giugno 2020 a Trento, nella splendida Cattedrale di San Vigilio, visitabile fino al 31 agosto 2020.
La 29ª esposizione organizzata dall’Unione Cattolica Artisti Italiani, sezione Trento, è una collettiva che coinvolge una trentina di artisti trentini: Anita Anibaldi, Marco Arman, Licia Bertagnolli, Luigi Bevilacqua, Laura Bonfanti, Chiara Boratti, M.A. Marisa Brun, Carla Caldonazzi, Giuseppe Calliari, Rita Cench, Mirta de Simoni Lasta, Bruno Degasperi, Carlo Adolfo Fia, Tullia Fontana (Lula), Maurizio Frisinghelli, Liberio Furlini, Andrea Fusaro, Bruno Lucchi, Silvio Magnini, Licia Marampon, Mastro7, Daniela Minerbi, Marlies Morelli, Giuseppe Nicolini, Fabio Nones, Angelo Orlandi, Lina Pasqualetti Bezzi, Romano Perusini, Giuliana Pojer, Marisa Postal, Rita Savino, Carmela Sorbera.


L’inaugurazione.
 
Mons. Lodovico Maule, dando il benvenuto al folto pubblico presente, fa notare come l’argomento scelto sia molto interessante, specie in questo momento, dopo aver vissuto chiusi in casa per mesi a causa della pandemia, un titolo che rimanda alla bellezza delle opere in mostra, ospitate nella splendida cornice dell’Aula San Giovanni.
Cogliamo l’opportunità di scambiare due parole con alcuni degli artisti presenti.
 
Luigi Bevilacqua innanzi al quadro dal titolo «Oggetto silente 2», commenta il suo dipinto: «Un tacito vinile settantotto giri La voce del padrone su nostalgico grammofono a tromba, un tempo il privilegiato strumento per ascoltare la musica in casa, sembra volerci riportare, nella sua quiete, a ricordi dal sapore antico…»
 
Settimo Tamanini, in arte Mastro7, ci parla della potenza del silenzio, innanzi alla sua opera intitolata «Nuovi orizzonti».
 

Matro7, Nuovi Orizzonti, 2020.
 
Lina Pasqualetti Bezzi, in una delle due luminosissime opere in mostra, cattura la suggestione di una Milano deserta, ai tempi del Coronavirus, invitando al raccoglimento e a un’intima preghiera.
 
Per Giuliana Pojer il silenzio è rivelazione, la sua opera «Svelamento» richiama con forza i versi di una sua poesia dall’omonimo titolo (svelamento, indica nel sottotitolo, «dell’artificio illusorio nel mostrare la realtà attraverso l’atto teatrale»).
 

Giuliana Pojer, Svelamento, 2018.
 
Bruno Lucchi affronta il tema proposto attraverso la bellezza e la potenza espressiva delle sue opere afferenti al ciclo «Custodi del silenzio», dedicate idealmente, create, detto con le sue stesse parole che riportiamo, «per chi ama la Bellezza; per chi sogna un incontro con lo stupore e la meraviglia; per chi desidera intrecciare la vita con l'Arte; per chi vuole porsi interrogativi di fronte ad un'opera d'arte; per chi ha bisogno di perdersi in un labirinto di emozioni; per chi sogna un'avventura artistica guidata dal cuore; per chi cerca un attimo di serenità; per chi è innamorato del verbo più umano che c'è, creare».
 

Luigi Bevilacqua, Oggetto Silente 2, 2020.
 
Don Marcello Farina, stimato docente di filosofia (ha insegnato Storia e Filosofia nei due Licei Scientifici Galilei e Da Vinci, nonché all’Utetd, a Trento, le sue lezioni sono seguitissime), nel suo intervento critico cita i versi di Werner Bergengruen, l’intellettuale del Primo Novecento, autore peraltro de «Il grande tiranno», richiamando la necessità di un ritorno al silenzio e sottolineando la difficoltà, nella nostra epoca chiassosa, di percorrerne il sentiero.
Ricorda poi il pensiero di Blaise Pascal, il grande filosofo e scienziato del Seicento: «La disgrazia degli uomini proviene dal non sapere essi starsene tranquilli in una stanza»; «il presente ci fa soffrire», sottolinea, riportando il commento dello stesso scrittore, infatti, spiega Farina, «noi reagiamo cercando sempre qualcosa di nuovo da fare, che proietti l’attenzione altrove e la distolga da noi stessi.»
Richiama infine l’analisi condotta da Martin Heidegger, il quale affermava, ricorda don Marcello, «che la chiacchiera, insieme con la curiosità e l’equivoco, è una caratteristica della Vita inautentica, nella quale il si dice e il si fa compromette l’opportunità di un’esistenza degna di essere vissuta».
Abbiamo il piacere, approfittando della sua gentile disponibilità, di porgergli al volo un paio di domande proprio in merito al pensiero del noto filosofo tedesco, autore di «Sein und Zeit», tradotto successivamente in italiano (Essere e tempo, edito da Longanesi), in cui viene indagato il tema della morte.
 

Lina Pasqualetti Bezzi, Milano 2020 e Mai il Silenzio dell'anima, 2020.
 
Lei nel suo intervento ha citato Martin Heidegger: su quale aspetto egli focalizza l’attenzione nel suo celebre saggio «Essere e tempo»?
«Lo scritto heideggeriano è del 1927, ed è stato in quel momento come un’illuminazione, anche dal punto di vista culturale, per l’Europa di quel tempo, che stava, purtroppo, scivolando verso le dittature. E uno degli aspetti più belli della filosofia heideggeriana di quest’opera è stata proprio l’attenzione all’umano, all'Esserci».
 
Nel saggio affronta il tema della morte, indicandola come «Possibilità». Molto brevemente, qual è secondo Heidegger la vita inautentica?
«Lui distingue due modalità di vita: la vita inautentica e la vita autentica: la vita inautentica è la chiacchiera, l’equivoco, il teatro, la piazza, sono i luoghi del pubblico dove si chiacchiera a vanvera; poi, la vita autentica, concentrata su questa frase drammatica, questo essere-per-la-morte, in qualche modo l’essenza dell’uomo, la sua mortalità. Lui sviluppa, naturalmente, diverse tematiche, però l’impostazione principale è questa, la comprensione autentica della morte come possibilità.»
 
La «Possibilità» di cui parla Heidegger come può essere letta?
«La Possibilità diventa, nel pensiero heideggeriano, l’adattamento alle varie circostanze della vita, tenendo conto, in qualche modo, della drammatica essenza che accompagna l’umanità. Ci sono tante possibilità, senza perdere di vista, però, quello che è il cuore del Dasein, che è l’essere-per-la-morte.
«Questo non significa per lui cadere nella disperazione piangendo tutto il giorno, ma tener conto che c’è una dimensione invalicabile dentro la storia dell’umanità, la morte è quindi per lui il fondamento della vita come possibilità.»

Daniela Larentis – [email protected]