Storie di donne, letteratura di genere/ 294 – Di Luciana Grillo

Deborah Ardilli: «Manifesti femministi. Il femminismo radicale attraverso i suoi scritti programmatici (1964-1977)» – Sentivamo benissimo che esisteva un NOI delle donne

Titolo: Manifesti femministi. Il femminismo radicale 
            attraverso i suoi scritti programmatici (1964-1977)

 
Curatrice: Deborah Ardilli
Editore: Morellini 2018
 
Pagine: 300, Brossura
Prezzo di copertina: € 15,90
 
La lunga introduzione di Deborah Ardilli è estremamente utile perché illustra il movimento delle donne, la loro collera, la loro decisione di «prendere in carico la propria liberazione» e sottolinea la distanza anche conoscitiva fra le generazioni.
Infatti «nel corso degli scambi con il pubblico… ho avuto modo di rendermi conto che buona parte dei riferimenti disseminati nel mio discorso era scolpita nella memoria delle donne presenti che avevano partecipato direttamente al movimento femminista degli anni Sessanta e Settanta. Alle più giovani, o anche soltanto alla generazione nata a cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta, molti di quei nomi e di quei documenti…non dicevano invece quasi più nulla».
 
Bene, perché tutte e tutti sappiano e perché nulla sia dato per scontato e per eterno, è necessario dunque riprendere in mano i testi americani, italiani e francesi che manifestano le «elaborazioni più influenti» del movimento femminista.
Nel 1966 in Italia, attraverso il Manifesto, un gruppo di donne, «una ventina, prevalentemente casalinghe con interessi intellettuali, di diversa provenienza politica e religiosa» dichiara la volontà di collaborare con associazioni, sindacati, centri studenteschi ecc. per suggerire almeno un inizio di autocritica in soggetti maschili.
Poi, con lo scoppio del ’68, le donne in qualche modo si affrancano da famiglie patriarcali e tradizioni opprimenti e finiscono col manifestare «una crescente insofferenza per i modi di fare politica all’interno del movimento studentesco», fedelmente testimoniata da una tesi di laurea discussa presso l’Università di Trento nell’anno accademico 1969-70.
 
Esattamente nell’autunno del ’69 nasce il gruppo «Rivolta femminile», formato da donne italiane e straniere, cui seguirà il secondo Manifesto nel 1977.
A Parigi, nel 1970, un gruppetto di femministe depone una corona di fiori in omaggio provocatoriamente alla moglie del milite ignoto: nonostante la reazione della polizia, Le Figaro pubblica l’annuncio ufficiale della nascita del Mouvement de Libération des Femmes.
Siamo alla seconda ondata, che la stampa francese è costretta a riconoscere, pur avendo ampiamente sottovalutato la prima ed espresso la convinzione che mai questo movimento nato in America avrebbe trovato ospitalità sulla costa orientale dell’Atlantico.
Ardilli non trascura il fatto che i temi più dibattuti siano la retribuzione del lavoro domestico e la famiglia vista come luogo di sfruttamento delle donne, né omette di segnalare che ancora nel terzo millennio «l’assenza di cambiamento è un fatto: le differenze di salario tra donne e uomini sono le stesse di trent’anni fa».
 
Prima di passare alla presentazione dei Manifesti italiani, Ardilli considera che tre siano le parole che devono caratterizzare la lotta non più individuale delle donne: SOLIDARIETA’ - TRASCENDENZA - AUTOCOSCIENZA, e sottolinea la ricerca di autonomia da parte della donna e l’emancipazione dell’uomo di cui si parla nel Manifesto programmatico del 1966.
«Rivolta femminile» nel suo manifesto del ’70 considera la condizione femminile, «nel matrimonio la donna, privata del suo cognome, perde la sua identità significando il passaggio di proprietà che è avvenuto tra il padre di lei e il marito» e così via.
Il manifesto del Cerchio spezzato, 1971, dice fra l’altro che per la donna «il matrimonio è l’unica via per la sopravvivenza».
 
Negli Stati Uniti, il manifesto verso un movimento di liberazione femminile nel 1968, parla di un limbo in cui vengono relegate le studentesse universitarie che sono invitate a frequentare «le scuole di servizio – educazione, infermieristica, assistenza sociale, terapia fisica…in certi posti si laureano persino in economia domestica. Alla maggior parte di loro vengono negate per sempre la grande scoperta, il potere e la bellezza della logica e della matematica, le ampie sintesi, la prospettiva della storia…» è forse per questa sorta di ghettizzazione che le studentesse cominciano a sentirsi stupide!
Anche perché «capiscono di essere modeste, ancorché individualmente inferiori… vivono nel panico e nell’assoluta frenesia di realizzare il loro destino: trovare un uomo e sposarsi».
 
Questa mia recensione, frutto sicuramente della passione con cui ho letto e sottolineato tanti passi del libro, non può trascurare il collettivo di femministe nere (1974), donne forti e decise che «dicono spesso di aver avuto la sensazione di essere folli prima di prendere coscienza dei concetti di politica sessuale, di dominio patriarcale e, soprattutto, di femminismo».
E neanche posso chiudere la lunga recensione senza citare le femministe francesi che si autodefiniscono nel 1970 «la più antica delle classi oppresse» e che nel 1972 «sentivamo benissimo che esisteva un NOI delle donne, che donne era la nostra prima identità, prima di proletaria o borghese».
Con questa idea di NOI che si collega idealmente al concetto di SOLIDARIETA’ penso di poter chiudere, avendo ampiamente sollecitato l’interesse delle mie lettrici e dei miei lettori.
 
Luciana Grillo – [email protected]
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