Il racconto di un Natale in ospedale – Di Daniela Larentis

È quello raccontato da Leo Buscaglia nel suo libro di storie dedicate al Natale

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Leo Buscaglia è stato uno scrittore statunitense molto amato e conosciuto in tutto il mondo. Scrisse vari libri, fra cui ricordiamo quello intitolato «Vivere, amare e capirsi», pubblicato per la prima volta negli anni Ottanta, e il famoso racconto «La foglia Muriel», la storia delicata e profonda di una foglia, una meravigliosa allegoria della vita.
Il libro intitolato «Sette storie natalizie» (Leo Buscaglia, Arnoldo Mondadori Editore) contiene un toccante racconto autobiografico (pag. 104) intitolato «Un Natale che per poco non lo è stato».
L’autore in un’umida mattina di dicembre si sta recando all’ospedale, dove deve sottoporsi all’annuale check-up di routine.
Nella sala d’aspetto la sua attenzione viene catturata da un sontuoso albero di Natale, mentre le note di una famosa canzone giungono fino a lui da una strada vicina.
Proprio mentre è al cospetto del cardiologo viene colto improvvisamente da un grave attacco di cuore, così viene ricoverato e sottoposto «a una terapia chirurgica di assoluta emergenza».
 
Tutti i familiari, appena appreso l’accaduto, vengono colti dalla disperazione e decidono di non festeggiare, per quell’anno, il Natale, ma lui insiste affinché cambino idea.
Pag. 107: «Feci appello alle poche energie che mi restavano per strappare la promessa che le vacanze si sarebbero svolte come predisposto, anche senza di me. In fondo, riflettevo, era tutto pronto: le cibarie (e mangiare, dovevano pur farlo), il luogo di raduno (e in quei giorni si desidera restarsene in famiglia), i regali, già acquistati, incartati e disposti sotto l’albero (e non volevo che per causa mia i bambini fossero costretti a rinunciare a ciò che avevano aspettato con trepidazione)».
Pur non essendo sicuro di aver convinto i parenti, riesce a farsi promettere da ognuno che si sarebbero riuniti e avrebbero festeggiato il Natale anche senza di lui.
Poco dopo accade qualcosa di quasi magico, lui inizia a osservare ciò che lo circonda con occhi nuovi, nota il rametto di vischio appuntato sull’uniforme delle infermiere e lo spirito del Natale a poco a poco lo investe, rendendolo consapevole che quello potrebbe essere il suo ultimo Natale (pag. 108): «Sopra il mio capo i monitor, che senza posa registravano le condizioni del mio cuore, ribadivano la gravità del mio stato ravvivando l’atroce consapevolezza che quello poteva essere l’ultimo dei miei Natali».
Scrive poi: «Singolare quanto inesplicabile peculiarità della natura umana è quella di mostrarci incapaci di apprezzare certe cose fino al giorno in cui ci si prospetti l’eventualità di esserne privati. Piccole cose che non sempre reputiamo degne di attenzione assumono un significato tutto nuovo. Cominciamo a comprendere con maggior chiarezza come a volte ci si smarrisca nel futile e nel mondano. Viene fatto di chiederci come mai ci lagnassimo per mille banali inezie, o perché mai non indugiassimo a contemplare la bellezza di una stagione o il piacere di donare e rallegrarci…».
 
L’operazione fortunatamente ha un buon esito e lui si sveglia in terapia intensiva, dove, nonostante i tubi, i flaconi, i respiratori ecc. riesce a cogliere il vero messaggio del Natale.
Dopo qualche tempo viene trasferito in una stanza singola dove i suoi cari, gli amici, coloro che gli vogliono bene vengono a salutarlo, portandogli un dono (chi lasagne, chi un salame, chi una pianta ecc.).
Vagando per le corsie si rende conto che la stessa fortuna non è capitata a molti degenti, rimasti soli durante le feste (pag. 110):
«Vedendoli soli in quella semi-oscurità, ebbi l’estemporanea ispirazione di spartire con loro i miei beni» e racconta qualche riga dopo che «in poche ore diventammo ottimi e veri amici, uniti dal medesimo mistero di quel momento vissuto assieme.
«Decidemmo di nominarci soci fondatori del Club Cuore Aperto 1982, organizzammo un comitato di benvenuto ai nuovi pazienti che si aggregavano stabilmente ai nostri ranghi.
«Recavamo sollievo, affetto, parole di incoraggiamento a loro, agli amici, ai familiari. Piangevamo insieme, ma non per questo non ridevamo. Ridevamo moltissimo.
«E avevamo buoni motivi per condividere la nostra gioia. La scelta spettava ancora a noi, in ospedale o fuori.
«Il Natale poteva essere ancora come avremmo voluto che fosse. Ci era stato accordato il dono più prezioso: il tempo necessario per continuare a vivere».
 
Quanta verità in così poche parole! La vita di tutti è appesa a un filo e ogni giorno che ci viene concesso è in realtà un dono, una piccola vita da vivere e affrontare con gioia e con coraggio.
È un discorso che vale per tutti, anche se spesso si preferisce non pensarci, occupati come si è nel cercare di risolvere i propri problemi. Travolti dalla quotidianità si barcolla cercando un equilibrio che poi, una volta raggiunto, non si riesce a mantenere a lungo.
Ci si chiede, quando capita di fermarsi a pensare, di tanto in tanto, quale sia il senso del nostro cammino: si vive per accumulare? Forse per inseguire solo il piacere? E’ questo che conta o c’è dell’altro?
 
Sono davvero molto belle le considerazioni che chiudono il racconto (pag. 111):
«Oggi più che mai mi sento consapevole della mia mortalità. In un momento purchessia, ancora sconosciuto, potrei essere meno fortunato di quanto lo sia stato nell’82.
«Ma a che pro rimuginarci sopra? Al contrario, io accetto la sfida: voglio fare della mia vita un Natale continuato. Ho ancora anni davanti a me, per donare, amare, accettare, prendermi a cuore il prossimo, condividerne le gioie e i dolori.
«Voglio vivere il tempo che ancora mi è concesso nel lieto spirito delle festività».
Leo Buscaglia è morto nel 1998. Sapendo quale persona meravigliosa sia stata (deducendolo attraverso i suoi scritti), noi siamo sicuri che ci sia riuscito.
 
Daniela Larentis – [email protected]