Armando Mammino, «Il cimitero dei molluschi pensanti»
Il monumentale romanzo è stato da poco presentato a Trento – Intervista all’autore di Daniela Larentis (Prima parte)
L'ing. Armando Mammino, autore del libro «Il cimitero dei molluschi pensanti».
«Il cimitero dei molluschi pensanti» è un avvincente romanzo di Armando Mammino (TIPI Edizioni), presentato lo scorso 12 giugno a Trento, presso il Centro Commerciale Polifunzionale «Il Marinaio» di via Ragazzi del ’99.
Il libro è disponibile presso la storica libreria cittadina «Ancora» di via Santa Croce.
Armando Mammino è un ingegnere molto conosciuto, docente universitario (ha insegnato Ingegneria presso l’Università di Padova e presso l’Università di Trento, è stato docente anche alla Facoltà di architettura a Venezia), per 45 anni è stato progettista di grandi strutture e autore di una ventina di manuali tecnico-scientifici e di 200 articoli di alta valenza professionale.
Nel 1988 ha vinto il prestigioso premio ITAS per la letteratura alpina con un lavoro di geografia fisica sul Monte Bianco, edito nel 1986 per la casa editrice Musumeci di Aosta.
Un’antinomia, quella di scrittore-ingegnere, solo apparente, come del resto testimoniano autori del calibro di Carlo Emilio Gadda.
«Il cimitero dei molluschi pensanti» è un volume di 647 pagine, una pubblicazione colta che si presta a più letture, frutto della maturità raggiunta e di un ritorno alla riflessione e a una creatività senza vincoli, che racconta di un uomo di oggi, Demetrio M., il quale attraverso complesse vicende, scaturite un po’ per caso e un po’ dalla sua curiosità scientifica, si trova proiettato nell’Ecocene in una comunità di molluschi umanoidi.
Il libro narra anche una struggente storia d’amore, quello fra il protagonista ed Elena, la meravigliosa creatura mai dimenticata da lui conosciuta nel suo viaggio fantastico.
L’autore stesso lo definisce «un romanzo di ampio respiro che propone un lungo percorso nei grandi problemi del mondo d’oggi, sottesi tra lo storico e lo scientifico, incardinandoli in una narrazione fantastica e onirica, non disgiunta da pennellate e sfumature sconfinanti nelle emozioni forti e nei meandri paradossali dell’assurdo fino, talora, agli estremi dell’horror metafisico».
Abbiamo avuto il piacere di dialogare con lui e di porgergli alcune domande.
Qui di seguito la prima parte dell’intervista.
In copertina è raffigurato un celebre dipinto di Bosch. Sembra esserci un’assonanza figurativa con il romanzo. Qual è il suo pensiero a riguardo?
«Gli scenari che fanno da sfondo immaginario e letterario, e le sceneggiature in cui si sviluppa il percorso narrativo, manifestano di per sé, quasi spontaneamente e fuori da ogni intenzione quest’assonanza figurativa con i dipinti di Bosch (soprattutto con il celebre e superlativo Trittico delle Delizie conservato al Museo del Prado, a Madrid). Mi sono accorto tardivamente di questo parallelo e ho voluto dargli evidenza, tanto che ho chiesto e ottenuto la concessione per riprodurre il trittico in copertina.
«Al paradiso dei sensi, della bellezza e della luce, che si dispiega nel tripudio terracqueo del riquadro centrale - Il giardino delle delizie - fa riscontro l’inquietante Inferno dei mostri e del fuoco e della realtà impazzita del notissimo riquadro a destra.
«Parimenti nel romanzo, all’esordio narrativo improntato sull’idillio silvestre fa riscontro la catastrofe e la degenerazione delle forme minerali e viventi lungo la fase temporale mediana della vicenda. Ancora il riquadro a sinistra, titolato Il paradiso terrestre, può evocare l’incontro fatidico e determinante tra il personaggio principale del romanzo e due strane creature umanoidi…»
Il Cimitero dei molluschi pensanti è un romanzo in cui vengono delineate le complesse vicende vissute dal protagonista attraverso uno straordinario viaggio nel tempo e nello spazio. Lo possiamo definire «fantasy»? Quando è nata l’idea di questo avvincente racconto ricco di colpi di scena?
«Innanzitutto, si pone il problema del genere narrativo di appartenenza. È improprio includere questo mio scritto nel genere detto Fantasy. Come pignolo operaio-della-lingua-italiana (la dizione è di Gabriele D'Annunzio, il cui spirito corrispondeva anche a questo pedestre e importantissimo ruolo sempre più dimenticato, e al quale amo ricondurmi come tardivo e immeritevole imitatore), ho consultato molti vocabolari estesi anche ai neologismi stranieri, e per la parola Fantasy è emersa la seguente definizione: "Genere narrativo, prima letterario e poi cinematografico, diffusosi inizialmente nei paesi di lingua inglese grazie ai romanzi di J.R.R. Tolkien (1892-1973), caratterizzato da un'ambientazione, appunto, fantastica nella quale convergono elementi delle fiabe-di-magia, delle saghe e delle mitologie nordiche oltre che della letteratura anglosassone medievale”.
«Anche se qualche intersezione tra questa definizione e il mio racconto potrebbe essere individuata, o solamente intravista, il filo conduttore che ho strutturato rimane spiccatamente onirico, come del resto spesso viene dichiarato espressamente nel testo.
«Non esiste un genere onirico, anche se esistono romanzi incardinati sulla dinamica del sogno, come Il miraggio dello sconosciuto Kadath di Howard Phillips Lovecraft, al quale mi sono sistematicamente ispirato pur con intenti letterari e comunicativi differenti.
«Alcune citazioni, come tali debitamente evidenziate, stabiliscono questo gemellaggio voluto e un po' ricercato, anche in ossequio all’oggettivo valore di molte espressioni della letteratura americana, soprattutto nella continuità di quest'ultima rispetto alle più tipiche e valide tradizioni inglesi. Lo schema costruttivo generale dell’opera è quello del romanzo storico, ove peraltro allo sfondo, appunto, storico si sostituisca uno sfondo scientifico nel quale si intrecciano fisica, geologia, teologia, biologia, e altro ancora, tutte tradotte nelle categorie espressive della letteratura ancorché senza alcuna rinuncia all’esattezza dei concetti, e comunque su un orizzonte di esposizione divulgativo e comprensibile per ampie categorie di lettori.
«Scherzosamente ho detto in più occasioni che il mio romanzo appartiene ad un nuovo genere, il genere biologico, geologico, teologico, ma è una classificazione fuori dai canoni della critica letteraria e delle dizioni comuni e convenzionali, e quindi preciso che così mi esprimo solo per fare una battuta, lasciando il problema del genere tutto aperto.
«Forse, se si torna alle precisazioni di pocanzi, il mio romanzo potrebbe appartenere ad un ipotizzabile genere onirico, anche perché, e con questo ritorno alla domanda postami, la trama è nata dalla accorta e filologica composizione, intorno a un coerente e robusto filo conduttore, di sogni fatti nel corso della vita, soprattutto in giovane età, molti vissuti, o subiti come incubi, addirittura nei luoghi descritti quali teatro dell’azione, quando mi assopivo sull’erba per riposarmi dalle fatiche reclamate dalla ricerca dei fossili con piccone, pala, martello e scalpello.
«Da quelle esperienze e da quei sogni, questi ultimi freudianamente indotti dal vissuto che filtrava nei meandri esistenziali del sonno, è nata l’idea di questo lungo racconto: i sogni infatti si richiamavano l’uno all’altro, si riversavano ciascuno nel successivo, sicché il flusso narrativo prendeva forma con sorprendente spontaneità, come se avesse una vita propria indipendente dalla mia.»
L'autore e la moglie Anita, a cui ha dedicato il libro.
Il protagonista della storia è l’ingegner Demetrio M. - Quanto c’è di autobiografico in questo personaggio?
«Ed ecco l’addentellato con la seconda domanda: quei sogni li ho fatti io. Non solo: andavo io davvero a cercare quei fossili in quelle colline. Il primo capitolo potrebbe essere una autobiografia mirata ad alcuni anni della mia giovinezza.
«Poi, dal secondo capitolo in avanti, ho lasciato prevalere la fantasia, in più brani consentendo che letteralmente si sfrenasse. Va da sé che non sono mai passato per un wormhole, non sono mai stato nel centro di un vulcano che esplode, non ho mai visitato forme di paradiso estranee ad ogni rivelazione, non sono morto il 5 novembre del 2016.
«Però ho travasato nel personaggio Demetrio M. molta parte della mia identità: le angosce esistenziali di un'epoca storica di transizione; la composizione concettuale ed emotiva tra Scienza e Fede, o tra Scienza e visione umanistica della Natura e della Vita; il dramma dell'amore frustrato e degenerante in grottesca follia; e tante altre vie profonde del tessuto narrativo che il lettore potrà scoprire da sé.
«Quindi la componente autobiografica c'è ed è corposa, soprattutto nella sequenza degli stati d'animo, mentre si interrompe e si perde dove scene e scenari sono inequivocabilmente impossibili.
«Che il personaggio sia ingegnere, che sia vissuto in un’epoca coincidente con la vita dell'autore dalla nascita allo stato attuale, che la geografia delle esperienze tra l’uno e l’altro sia identica, e tante altre volontarie corrispondenze, sono tutti elementi che fissano una connessione forte tra autore e personaggio, quasi che il primo voglia rappresentare sé stesso nel secondo attraverso una caricaturale idealizzazione e una declinazione nel senso del fantastico a tinte forti e cupe.»
Attraversando un passaggio spazio-temporale Demetrio M. si trova in un luogo geografico non identificato, nel bel mezzo dell’Eocene. Come avviene l’incontro con le creature umanoidi, declinate al femminile e bellissime?
«L'incontro con le creature umanoidi, ma biologicamente molluschi ad litteram, avviene in modo naturale ancorché nel copione dell'incontro stupefacente e inaspettato.
«Demetrio M. capita in un luogo del tutto ignoto, le visioni notturne gli hanno anticipato che quella landa preistorica è abitata da esseri di struttura avanzata, sicché sta nella dinamica narrativa il fatto che a svegliarlo siano gli abitanti, anzi le abitanti, ben più gradevoli dei precorrimenti visivi comparsi poche ore prima in lontananza e sotto il barlume lunare.
«Quel brano è tutto improntato sulla sorpresa. La comunicazione attraverso il pensiero fa parte dell'immaginario degli incontri ravvicinati con gli alieni, perché in altro modo non sarebbe possibile dirsi alcunché, nemmeno: io non ti faccio niente, ma aspetto di vedere se tu intendi farmi qualcosa: ne risulta una metafora che è risultata risolutiva per far dialogare un mollusco e un mammifero privilegiato, troppo diversi nella biologia per poter diversamente parlarsi l'uno con l'altro.»
Demetrio M. comunica con delle straordinarie creature attraverso il pensiero. Che cosa apprende circa la loro creazione?
«La creazione delle fanciulle-ostrica viene narrata come un processo molto complesso, a partire: prima da un essere mostruoso nato a sua volta a causa di un errore di valutazione, appunto, creativa dell'Ente Supremo; poi dalla immeritata velleità di quell'essere nell’approntarsi, ad imitazione del Padre, artefice di nuova vita. Infine dai percorsi fenomenici della sintropia, l'opposto fisico dell'entropia, nel corso dei quali la materia e l'energia tendono localmente al massimo dell'organizzazione piuttosto che all'universale caos, al calore non più trasformabile, e all’azzeramento di ogni trasformazione: il che in conformità ai molti corollari del secondo principio della termodinamica, relativi ai destini della terra e del cosmo.
«Alla creazione delle fanciulle-ostrica è dedicato un intero capitolo, tutto sintonizzato su una parafrasi assurda della cultura canonica, su una parodia tragicomica delle teorie affermatesi nel Novecento a suon di premi Nobel: quindi, per questo aspetto, non c'è che rimandare al libro, nello scrivere il quale ho fatto molta improba fatica a districarmi nei meandri del fantastico e dell'assurdo senza rinunciare al metodo scientifico.
«In altre parole, è questa una componente del romanzo in cui la sintesi è difficile, perché i brani che ne sono il manifesto già a loro volta sono sintesi di molti temi e processi logici complessi.»
Daniela Larentis – [email protected]
La seconda parte dell’intervista verrà pubblicata martedì 25 giugno.