Quando l’astrologia era strumento al servizio della medicina...

«E ci fu chi per aver elaborato e pubblicato l’oroscopo di Gesù finì pure in prigione» Di Daniela Larentis

Quando una persona è per temperamento svogliata e un tantino sfaticata la si definisce «flemmatica».
Ma cos’è la flemma? È un’imperturbabile calma che irrita chi non la possiede o è qualcosa d’altro? E cosa era nel passato?
La flemma era uno degli «umori», la cui teoria era molto in voga fin dai tempi di Ippocrate, medico greco nato nel V sec. a.C. e considerato il “padre” della medicina occidentale; non solo, ma fu condivisa anche da Galeno, celebre medico nato a Pergamo nel II sec. d.C. , famoso per i suoi studi sull’anatomia.
 
Come è ben descritto nel libro di Noga Arikha «Gli umori, sangue, flemma, bile» (edito da Bompiani), per oltre duemila anni la teoria degli umori spiegò molte caratteristiche di una persona, a partire dal carattere, dall’aspetto, dal comportamento fino ad arrivare a individuarne i malanni.
I medici, seguendola, partivano dal presupposto che il corpo e la mente di ogni individuo fossero strettamente collegati, considerando le emozioni come un qualcosa di fisico.
Era il periodo in cui i dottori sottoponevano i propri pazienti a salassi, cataplasmi, impacchi di ogni genere per curare tutti i dolori, dal più banale arrossamento della pelle fino alla febbre o al mal di stomaco.
 
Gli umori, fluidi che circolavano all’interno del corpo umano, ritenuti fondamentali per il suo corretto funzionamento, erano quattro: flemma, bile gialla, bile nera e sangue.
Cito testualmente.
«Venivano elaborati attraverso il calore del processo digestivo nello stomaco: il cibo diventava il cosiddetto chilo nel fegato , da dove, grazie al calore prodotto da questi miscugli digestivi, certe particelle del flusso sanguigno chiamate spiriti vitali erano indirizzate al cuore, e da lì al cervello.
«Caldo e freddo, secco e umido erano stati che influenzavano il corso degli spiriti e determinavano gli effetti di ciascun umore sulla disposizione d’animo, sul pensiero, sulla salute. C’era così un continuum tra passioni e cognizioni, fisiologia e psicologia, individuo e ambiente.
«A loro volta, i temperamenti individuali erano il prodotto delle variazioni delle quote di ciascun umore nel corpo. Un eccesso di umore bilioso (bile gialla) nel sangue produceva un temperamento collerico; un eccesso di bile nera produceva uno stato melanconico; un eccesso di flemma induceva una condizione flemmatica; un eccesso di sangue, un carattere sanguigno. Le donne tendevano all’umido, i vecchi al secco. Il cervello dei bambini era umido, e questa umidità spiegava la loro capacità a imparare e a memorizzare.
«Tuttavia, a parte il temperamento predominante che ognuno poteva avere, gli umori variavano secondo ciò che uno mangiava e beveva, secondo il luogo in cui viveva, secondo il clima e la stagione.»
 
Fu solo quando, circa centocinquanta anni fa, si scoprì che i germi erano la causa delle malattie che la teoria degli umori fu abbandonata (già nel Seicento, comunque, iniziò a perdere credibilità, quando si iniziò a comprendere il funzionamento della circolazione sanguigna).
I rimedi ai più svariati mali potevano consistere in preparati d’erbe, cataplasmi, salassi eseguiti con strumenti raccapriccianti o più semplicemente utilizzando le sanguisughe, fino ad arrivare all’intervento chirurgico effettuato non dal medico, ma dal cerusico (conoscendo l’anatomia sapeva come segare una gamba o bendare una ferita).
 
Non tutti i medici seguirono però la teoria degli umori.
Il medico Theophrast Bombast von Hohenheim (1493-1541), noto con il nome di Paracelso, riteneva che la natura fosse una forza vitale e il nostro corpo fosse un riflesso del cosmo.
Organi, funzioni e disfunzioni del nostro corpo corrispondevano ai corpi cosmici. Egli scriveva: «Nessun cervello può racchiudere del tutto la struttura del corpo umano e la misura delle sue qualità; egli può essere capito solo come immagine del macrocosmo, della Grande Creatura…»
 
«La nostra anima era in contatto con l’anima del mondo – l’astrum, come la chiamava lui – e i miracoli potevano accadere perché le anime sopravvivevano alla morte del corpo nella forma di corpi astrali, l’evestrum. Il mondo stesso era fatto di forze, incarnate nei metalli che corrispondevano alle stelle. Esisteva una valenza simbolica nei tre metalli fondamentali per gli alchimisti – il mercurio, il sale, lo zolfo – e nelle ricette alchemiche che erano state prese in eredità dalle fonti arabe.»
 
Per Paracelso i mali dovevano essere curati dai loro analoghi, non dai loro contrari.
Egli riteneva che l’uomo non solo avesse quattro temperamenti, ma che questi fossero associati a quattro qualità del corpo: l’acida, la dolce, l’amara e la salata, dove la condizione acida era melanconica, la dolce era flemmatica, l’amara era collerica e la salata era sanguigna.
Se la teoria degli umori prevedeva l’uso dei contrari, la medicina alchemica di Paracelso curava il simile con il simile (principio dell’odierna omeopatia).
 
Gianbattista della Porta, un filosofo naturale del XVI secolo, molto scrisse su vari argomenti (fra cui un trattato, il Magia naturalis ) e fondò pure un centro di ricerca, l’Accademia dei segreti, in seguito chiusa dall’Inquisizione.
Secondo lui un metallo, l’oro, aveva molte proprietà; era un rimedio contro la melanconia («contende col sole quanto a raggi, brillantezza e gloria»), inoltre era da lui ritenuta «l’essenza libera da corruzione», quindi una volta ingerita aveva il potere di riequilibrare gli umori e cancellare ogni putrefazione, purificare il sangue, curando tutti i mali e rendendo longevi e sani.
Consigliava poi l’olio di pioppo per fare bei sogni, mentre, al contrario, fagioli, aglio, porro e cipolla provocavano secondo lui incubi a non finire.
 
Un illustre dottore-astrologo fu Girolamo Cardano (nell'immagine), eminente matematico, fu anche grande teorico del calcolo delle probabilità, nato a Pavia nel XVI secolo; egli calcolava le «geniture» (oroscopi natali) della gente e si vantava di avere doti di preveggenza. Per aver elaborato e pubblicato l’oroscopo di Gesù finì pure in prigione, tanto che poi dovette abiurare.
Riuscì a diagnosticare all’arcivescovo di Scozia un’intolleranza alle piume dei cuscini; se ci riuscì grazie a un colpo di fortuna o alla sua bravura non ci è dato saperlo, ma questo bastò sicuramente a garantirgli grande onore e fama.
 
Dato che il corpo era ritenuto umorale, l’astrologia ben funzionò come strumento al servizio della medicina. Un certo Dygges, in un trattato, descrisse le correlazioni fra le parti del corpo, i pianeti e i segni zodiacali.
L’Ariete influenzava la testa e il volto, il Toro il collo; il Leone, la schiena; la Vergine, lo stomaco e gli intestini; la Bilancia, i reni, l’ombelico e le natiche; lo Scorpione, i membri segreti; il Sagittario, le cosce; il Capricorno, le ginocchia; l’Acquario, le caviglie e le gambe; i Pesci, i piedi.
Gli organi corrispondevano a ciascuna parte del corpo e le malattie erano influenzate dalle costellazioni (a ognuna di esse corrispondeva un pianeta dominante).
 
A furia di scrivere con le gambe accavallate, ora mi dolgono le ginocchia. Ma allora, aveva ragione Dygges!
Altro che roba del XVI secolo…
Non mi addentrerò certo nei meandri dell’astrologia, non questa volta almeno, ma concludo dicendo che indipendentemente da ciò di cui si è convinti davvero è poetico immaginare anche solo per un momento che la posizione e i movimenti dei corpi celesti, lassù in mezzo al cielo, possano in qualche modo influire sulla vicissitudine umana.
 
Daniela Larentis