Scuola e famiglia ai blocchi di partenza – Di Giuseppe Maiolo
Una volta chi non dava risultati a scuola era un «asino» sia per i docenti che per i genitori. Oggi per fortuna non è più così, ma genitori e docenti sono su fronti opposti
«Si guarda indietro apprezzando gli insegnanti brillanti, ma la gratitudine va a coloro che hanno toccato la nostra sensibilità umana.
«Il programma di studi è materia prima così tanto necessaria, ma il calore è l’elemento vitale per la pianta che cresce e per l’anima del bambino.»
Così scriveva Carl G. Jung nel libro «Lo sviluppo della personalità» ricordando l’importanza della relazione affettiva.
È il calore umano che fa la differenza per la crescita dell’individuo, cioè prendersi a cuore l’altro e dare attenzione non solo allo sviluppo cognitivo ma anche a quello emotivo-affettivo.
Ora che la scuola è ripartita con il suo carico di impegni, di fatiche organizzative e di programmi da sviluppare, credo ci sia bisogno di ritornare a queste riflessioni e di condividerle maggiormente con la famiglia.
L’attenzione al piano emotivo è un valore conquistato dalla scuola e dalla famiglia, ma non ancora pienamente realizzato nella prassi educativa. Molto è cambiato ma non è ancora sufficiente.
A scuola quando io ero scolaro e studente, valeva solo quello che sapevo.
L’asino, o chi che veniva considerato tale perché non otteneva risultati apprezzabili, era pubblicamente bollato come incapace, spesso sfiduciato, senza appello. E anche la famiglia condivideva.
Se per la scuola non funzionava, la scuola lo allontanava. Oppure se ne dimenticava e attribuiva le cause alla svogliatezza e al disinteresse, cose pur presenti, ma che non che spiegano tutto.
Per fortuna ora non è più così. Le ragioni del malessere scolastico, delle difficoltà di apprendimento o degli insuccessi, oggi vengono analizzate profondamente al microscopio di tutte quelle discipline che aiutano a capire meglio l’individuo.
Scuola e famiglia tuttavia non collaborano. Piuttosto si fronteggiano quando dovrebbero cercare insieme «i motivi e le cause».
Il rischio più frequente che si corre è attribuire le responsabilità del disagio sempre a qualcun altro o giustificare più di necessario i comportamenti inaccettabili dei minori senza intervenire a livello educativo.
È una caratteristica di adesso quella di una dialettica di scontro e di reciproca accusa, piuttosto che di collaborazione tra queste due istituzioni.
Prevale una dimensione di rivalità e di opposizione che annulla quel necessario dialogo costruttivo, che fa degli adulti figure autorevoli e modelli di riferimento.
Genitori e insegnati, invece, sono ormai abitualmente su fronti opposti, si accusano e si rimproverano reciprocamente di incompetenza e di incapacità.
I docenti rimproverano i genitori di essere troppo permissivi e dunque responsabili degli insuccessi dei loro figli.
I genitori accusano gli insegnanti di stressare gli studenti con richieste e pretese eccessive. Alle volte li considerano poco attenti ai reali bisogni dei loro allievi, mentre maestri e professori attribuiscono alla famiglia e al genitore iperprotettivo o assente il disagio relazionale dei figli e i loro comportamenti aggressivi.
Insomma una mitragliata di accuse reciproche che non aiuta gli adolescenti a crescere con modelli educativi autorevoli e positivi.
Nel tempo in cui il disagio dei minori si manifesta in misura crescente con comportamenti autolesivi e violenti, con condotte a rischio e fuori dal controllo dei genitori e degli insegnanti, ci sarebbe invece bisogno di una maggiore autorevolezza degli adulti di riferimento.
Piuttosto di accusarsi a vicenda credo fondamentale che scuola e famiglia costruiscano alleanze e coincidenza di intenti, ma soprattutto una comune e partecipata attenzione allo sviluppo emotivo-affettivo perché i minori diventino domani adulti in grado di saper essere oltreché di saper fare.
Giuseppe Maiolo
Doc. Psicologia dello sviluppo – Università di Trento