Storie di donne, letteratura di genere/ 331 – Di Luciana Grillo
Anais LLobet, «Uomini color cielo» – L'autrice tiene insieme con equilibrio e suspence la questione cecena, i fondamentalismi e l'omosessualità
Titolo: Uomini color cielo
Autrice: Anaïs Llobet
Editore: Playground, 2020
Traduzione: Maruzza Loria
Pagine: 220, Brossura
Prezzo di copertina: € 16
Anais LLobet è una giovane scrittrice al suo secondo romanzo.
Con «Uomini color cielo» ha vinto sia il Prix Ouest – France 2019 che il Prix Louis – Guilloux, sempre nel 2019.
Ambientato in Olanda, questo romanzo racconta il dolore dell’emigrazione, la necessità di integrarsi in un Paese diverso dal proprio, la volontà di presentarsi al meglio, nascondendo, se è il caso, anche la propria origine e la propria identità sessuale.
Alissa è cecena, ma si presenta come russa, insegna russo a giovani provenienti da luoghi diversi.
È di religione islamica, ma non ne parla con nessuno. Vuole essere un’olandese perfetta.
Adam, ceceno anche lui, lontano dalla madre, dal fratello e dal cugino, crede di poter vivere liberamente la sua omosessualità.
Dice di essere giordano. Cambia nome, diventa Omar, si integra perfettamente nella società olandese… fino all’arrivo improvviso dei suoi.
Kirem è il fratello minore di Adam-Omar, ombroso e suscettibile, arrivato a L’Aia con la madre Taissa che, inseguendo il sogno di un diploma per i figli, spera in qualche modo anche di salvare Adam; studia poco e malvolentieri e si rivolge in ceceno alla sua insegnante di russo, Alissa, che tra gli alunni ha avuto anche Adam e ne ha apprezzato sensibilità e diligenza.
Il cugino Makhmud è violento, collerico, fondamentalista islamico. Vuole punire gli olandesi che consentono ad Adam di manifestare la sua omosessualità, sempre condannata in Cecenia, e lo stesso cugino che, con il suo orientamento sessuale, infanga il nome della famiglia.
Intorno a queste figure si muovono amici e colleghi, Hector e Alex, Hendrik e Maud. Su tutti, improvviso, si scaglia un attentato violento che li coinvolge in maniera drammatica e ne sconvolge le vite.
«…i Paesi Bassi hanno chiuso le porte, hanno sbarrato le finestre. Il cuore delle persone si è ghiacciato nonostante il tepore. I loro figli sono stati uccisi.»
Tutto cambia, Alissa - Alice si chiede sconvolta: «Possibile che adesso ci siano delle persone sedute in un caffè all’aperto? Che alcuni vivano ancora in una città felice, senza attentati…? Solo gli uccelli sul davanzale della finestra possono ignorare che L’Aia è in lutto» e ricorda quando diceva a Omar: «Devi essere fiero delle tue origini»… Lei sapeva cosa nascondevano quelle frasi fatte, masticate da persone dalla vita facile. Non si può entrare in una casa nuova restando con un piede nella vecchia…C’era una sola via all’integrazione… fare tabula rasa del passato…».
Ma non è facile dimenticare la guerra, i bombardamenti, le distruzioni, le morti: «non sanno che la guerra è la cantina l’attesa la fame le persone che si spengono l’impotenza le parole che non servono a niente di fronte ai soldati l’umiliazione i ricordi… Sai che significa dire addio a tua madre mentre è ancora viva?».
Le parole: «terror», di origine latina, «ha attraversato i secoli per diventare terreur in olandese, terror in russo. E attraverso le guerre ha finito per penetrare la lingua cecena…».
In lingua cecena «non ci sono termini per dire quello che è lui. Hanno importato la parola gay dall’inglese, e la parola goluboi dal russo, che significa azzurro cielo. Ci sono anche gli insulti che hanno contagiato la loro lingua: pederast, pedik…».
LLobet confeziona una storia intensa e dura, tocca corde profonde e tese, soffre con Alissa e con Omar, che sogna una vita finalmente olandese tout court… «s’immaginava di diventare un cineasta, un regista di grandi film sull’esilio, la guerra, il perdono. Sull’identità, anche.»
E finisce condannato, con il viso immobile, «privo d’emozione, come se la giudice pronunciasse il verdetto in una lingua straniera».
E LLobet conclude la storia sottolineando senza titubanze che «l’esilio si vive in solitudine».
Luciana Grillo – [email protected]
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