Dott. Giuseppe «Gios» Bernardi, classe 1923 – Di Nadia Clementi

Abbiamo parlato con il presidente onorario della Fondazione Pezcoller, una delle personalità più eclettiche e illustri della città di Trento

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Il Trentino ha la fortuna di aver dato i natali a famiglie e persone straordinarie. Intellettuali, politici, filosofi, poeti e religiosi, personalità dove conviveva decisione ed umiltà, attaccamento al proprio territorio e sguardo sempre aperto all’orizzonte.
Si sente spesso dire, in modo sconsolato, che i tempi sono cambiati, i politici non sono più quelli di una volta, le scuole non insegnano niente, le persone sono egoiste e pensano solo al denaro e al successo; per fortuna la retorica di queste frasi non sempre rispecchia la realtà, come nel caso di una famiglia straordinaria, quella dei Bernardi, di cui oggi vogliamo parlarvi.
In particolare approfondiremo la personalità di Giuseppe Bernardi, conosciuto da tutti come «Gios», le cui definizioni o etichette sono talmente tante da far pensare che quest’uomo abbia vissuto non una ma bensì cento vite.
Radiologo, assessore alla cultura del Comune di Trento, il primo ad aver avviato la stagione teatrale pubblica affittando per la prima volta il Teatro Sociale, fondatore dell’Università della Terza Età, fotografo e amante dell’arte, presidente storico della Fondazione Pezcoller e molto altro ancora.
Riconosciuto inoltre per il «Distinguished Public Service Award» dell’American Association for Cancer Research AACR conferito al Mc Cormick Convention Center di Chicago (quello dei discorsi di Obama) nel 2012 «for his unstinting passion and commitment to enhancing the landscape of cancer research worldwide».
Una personalità umanista nel senso classico del termine, un uomo che tutta la vita si è speso per gli altri, per la comunità, per i malati e per gli anziani, senza ovviamente dimenticare la sua famiglia; una vera e propria dinastia della storia secolare che ha dato i natali a scrittori, avvocati, deputati, avventurieri, musicisti, filosofi e addirittura un Beato. 

Gios Bernardi anni Sessanta.

Di Gios Bernardi sarebbe anche superfluo scrivere, ma noi abbiamo deciso di intervistarlo, dopo la recente riconferma a presidente onorario della Fondazione Pezcoller, per far conoscere ai giovani e a quei pochi trentini che ancora non ne hanno mai sentito parlare, una delle personalità più eclettiche ed importanti degli ultimi decenni.
Classe 1923 eredita dal padre Carlo, che era pittore e docente, la passione per l’arte; passione che il giovane Gios declina con il mezzo della fotografia, producendo dei lavori che recentemente sono stati messi in mostra in parallelo proprio con le tele del padre (evento disponibile a questo link).
Una passione, quella per l’arte visiva, che passa davvero di padre in figlio: dai quadri di Carlo alle foto di Gios fino alle regie teatrali di Marco.
Nel 1948 Gios Bernardi si laurea in medicina a Milano e da allora il suo impegno accanto ai malati non si è mai concluso.
Prima chirurgo a Villa Igea, poi specialista radiologo al S. Chiara, ha creato e diretto il servizio di radiologia della Cassa Provinciale di Malattia a Trento ed è stato poi direttore del Servizio radiologico di Villa Bianca fino al 2000.
 
La sua apertura e curiosità per il mondo è evidente in molti passaggi della sua vita: dal forte interesse per la medicina omeopatica, in tempi non sospetti, che lo porta a fondare la Federazione Italiana di Medicina Omeopatica, fino all’impegno politico, come assessore indipendente del Comune di Trento all’istruzione, alla cultura ed allo sport dal 1969 fino al 1975.
Il parallelo tra passione e lavoro è una vera e propria costante nella vita di Gios Bernardi, i due piani si confondono e forse il segreto di una lunga vita è proprio questo: unire l’utile e il dilettevole, spaziare nei vari campi del sapere e non fermarsi mai, nemmeno a 94 anni.
Ha fondato e presieduto l’Università della Terza Età di Trento, una delle prime in Italia e oggi punto culturale e formativo importante per anziani e non solo, ha fatto parte del consiglio di amministrazione del Mart nei primi e cruciali anni di attività.
 
L’avventura più grande, e forse quella per cui è più conosciuto, è quella con la Fondazione Pezcoller, di cui è membro attivo dal 1986 e presidente dal 2001.
In questo importante ruolo Bernardi ha curato l’aspetto organizzativo e scientifico della Fondazione, nonché tutti i rapporti con gli Istituti di ricerca e le Associazioni Oncologiche in Italia e nel mondo. Ha partecipato ai vari comitati scientifici che si svolgono annualmente negli Usa e in Europa, è direttore responsabile del periodico scientifico della Fondazione fin dal suo primo numero.
Una vita così piena non poteva che essere coronata con premi e riconoscimenti, il più importante sicuramente quello di Cavaliere della Repubblica nel 2010, ma anche vincitore del premio Rotary Paul Harris, «Trentino dell’Anno» per la rivista UCT, Commendatore della Repubblica e insignito poi con l’Aquila di San Venceslao, la massima onorificenza della città di Trento.
 

La famiglia dott. Gios Bernardi.
 
Dottor Bernardi, sarà difficile non considerarla più Presidente della Fondazione Pezcoller, una delle sue creature più amate e conosciute. Può farci un bilancio di questa lunga avventura?
«La trentennale avventura come lei oggettivamente la definisce, è iniziata nel 1986 quando, da presidente dell’Ordine Provinciale dei Medici e collega apprezzato dal prof. Pezcoller, fui chiamato a far parte del primo Consiglio Direttivo della Fondazione Pezcoller.
«In consiglio eravamo, con Paolo Schlechter, gli unici tecnici del settore ovvero gli unici medici, motivo per cui spettò a noi immaginare e avviare le scelte operative nell’ambito scientifico, partendo dall’obbiettivo voluto dal prof. Pezcoller: favorire la lotta al cancro e istituire un importante premio internazionale a riguardo.
«La grossa componente del direttivo, in buona parte di nomina della Cassa di Risparmio di Trento Rovereto, doveva provvedere a conservare il capitale della Fondazione e i relativi redditi che consentissero le attività programmate.
«Fu quindi esclusivamente nostra la scelta dell’oncologia di base molecolare e genetica, allora giudicata troppo avveniristica, che suscitò critiche nell’ambiente medico trentino e nazionale, più propenso a un più facile settore clinico. Fu però una scelta risultata vincente che ci proiettò immediatamente in un panorama scientifico internazionale di alto livello.

Al Mc Cormick Convention Center di Chicago.

«I rapporti internazionali furono raggiunti nei primi anni con l’aiuto del compianto prof. Umberto Veronesi e della sua Scuola Europea di Oncologia ESO di Milano e più avanti e ancora oggi grazie alla stretta collaborazione con la più importante associazione di ricerca oncologica mondiale: la AACR, American Association for Cancer Research, che potemmo conquistare con l’aiuto dell’amico prof. Enrico Mihich, originario di Fiume, ma scienziato operante negli USA e allora presidente della stessa associazione; amico che ci ha sempre seguiti fino a quando è venuto a mancare pochi mesi fa.
«Purtroppo anche il prof. Paolo Schlechter poté rimanere con me in Fondazione solo pochi anni. Ricordo i primi presidenti della Fondazione: Giustiniano de Pretis, Aimone Sordo, Pietro Monti, prima della mia presidenza decennale.
«Accenno soltanto al fatto che la Pezcoller in questo trentennio ha conquistato un riconoscimento internazionale di grande rilievo con l’assegnazione di una ventina di premi internazionali di altissimo livello (basti dire che tre dei nostri premiati hanno avuto dopo di noi il Nobel, con le stesse motivazioni nostre), con altri importanti premi, con annuali simposi e seminari internazionali e con numerose e importanti borse di studio.
«Abbiamo avuto l’opportunità per tutti questi anni di presentare la fondazione e i suoi premiati in tutti i principali congressi sul cancro in Italia, in Europa, negli Stati Uniti, Canada e Israele.
«Per quanto riguarda la mia persona, dopo l’importante riconoscimento avuto a Chicago e la conferma a Presidente onorario nel corso della presidenza del prof. Davide Bassi e dell’amico Galligioni, attualmente seguo l’attività in modo attento, ma decisamente più distaccato.»
 

 
Con il lavoro alla Fondazione ha portato un pezzo di Trentino nel panorama internazionale nella ricerca sul cancro, mettendo sotto gli occhi della comunità scientifica e dell’opinione pubblica lo stato dell’arte.
Nel 2008 lei gridò allo scandalo ricordando gli investimenti miliardari negli armamenti quando solo negli USA muoiono ogni anno 500.000 persone di cancro.
Un meccanismo inceppato? Volontà politica? Disinteresse?
«È assolutamente incontestabile, anche se poco riconosciuto, che con il lavoro della Fondazione si sia portato il Trentino a buon diritto nella comunità scientifica internazionale.
«Basti pensare alle decine di importanti scienziati premiati e presentati nei più importanti congressi sul cancro in Europa e negli Stati Uniti nonché nelle rispettive cerimonie a Trento e Rovereto, tre di questi come già detto arrivati al Nobel, al centinaio di scienziati che si sono alternati nei comitati di selezione, ai simposi annuali frequentati ogni volta da parecchie decine di giovani ricercatori, alle numerose borse di studio conferite a giovani italiani.
«Con tutta questa attività ci è internazionalmente riconosciuto l’oggettivo rilievo dato al problema dello sviluppo delle ricerche sul cancro e ai relativi progressi terapeutici.
«È vero: esiste una sproporzione enorme fra quanto si spende per combattere questo male e quello che si spende per altri settori a mio avviso molto meno socialmente significativi.
«Fra questi in primo luogo gli armamenti, comprese le mine antiuomo prodotte in Italia, anche alla luce degli scellerati progetti del nuovo presidente degli Stati Uniti. Penso che prevalga purtroppo nei governi l’attenzione al prestigio nazionale e la dipendenza dalle grandi realtà finanziarie nei confronti delle politiche sociali e dei veri bisogni dei cittadini.»
 
Oggi la mortalità per i tumori in Italia e in Occidente è in continua diminuzione grazie ai progressi della diagnosi precoce e delle terapie.
Quali sono dunque gli obiettivi futuri nella cura del cancro? Quali le prospettive?
«È vero che la mortalità per tumori è in diminuzione, anche se permane drammaticamente significativa, ma è necessario non dimenticare che è aumentata ed è in costante progressivo aumento la morbilità tumorale.
«Poche cifre: nel mondo ogni anno si scoprono 14 milioni di persone con tumori (che secondo le previsioni saranno 21 entro il 2030) e ne muoiono più di 8 milioni. In Trentino (dati di alcuni anni fa) sono 1.470 deceduti per tumore in un anno.
«Tuttavia le cifre confortanti sono quelle che, secondo dati recenti in Italia (Alberto Mantovani Università di Milano), su 3 milioni di ammalati di tumore, 2 milioni hanno una sopravvivenza oltre i cinque anni e ben settecento mila possono venir considerati guariti.
«Ci si ammala di più: per il progressivo invecchiamento che accumula ulteriori modificazioni negative del DNA, per le cattive abitudini alimentari, per gli errati stili di vita, il fumo, l’alcol, i veleni nell’aria etc. tuttavia si fa, si può e si deve fare di più, per difendersi.
«Maggior attenzione allo stile di vita, screening e diagnosi sempre più precoci, terapie sempre più mirate ed efficaci (purtroppo con costi sempre più elevati) miglioreranno le prospettive.
«Gli obbiettivi da perseguire sono gli affinamenti (già attualmente sempre più straordinari) degli studi e degli sviluppi di nuovi farmaci e dei processi immunologici che attualmente stanno aprendo promettenti prospettive. Tutto questo tuttavia a prezzo di impegni finanziari sempre più rilevanti.
«Per quanto ne capisco mi pare che il cancro assomigli molto alla mostruosa Idra delle leggende della Grecia classica le cui numerose teste ricrescevano se tagliate. Solo il leggendario intervento di Ercole riuscì a sopprimerla. Ho fiducia che i numerosi scienziati seguaci dell’eroe greco finiranno per vincere, ma temo che non mi resterà sufficiente vita per arrivare ad applaudirli personalmente.»
 

 
Parliamo ora della sua lunga e prolifica vita, come ha conciliato tante passioni, avventure e idee? Qual è stato il ruolo della sua famiglia in questi anni così intensi?
«Sì, forse c’è un po’ di verità nell’attribuirmi un discreto numero di attività diverse, dovuto soprattutto a molta curiosità e a una certa inquietudine a soffermarsi troppo a lungo su un cammino quando se ne intravvede un altro che potrebbe essere utilmente esplorato.
«Al di la della medicina e della attenzione alla persona sofferente ancor più che alla malattia, ho sempre sentito molto più che la politica il sociale, la necessità di allargare il panorama culturale e di diffondere l’avversità alle ingiustizie.
«Di conseguenza mi sono impegnato in settori diversi, ho battuto molti marciapiedi se posso usare un po’ di autoironia. Ho avuto la fortuna e la forza di riuscire a farlo con discreta facilità. L’ho fatto grazie alla benevola complicità di Franca, che mi è vicina da quasi settant’anni, e grazie alla pazienza dei figli ai quali non ho certo rimboccato le coperte tutte le sere!»
 
Arte e scienza sono una continua costante nelle tante attività che ha svolto in questi 94 anni di vita, due piani solo apparentemente inconciliabili. Cosa Le ha insegnato questa dicotomia?
«Penso non si tratti di due piani inconciliabili ma anzi armonicamente condivisibili per personalità sufficientemente aperte.
«Credo di aver cercato nei settori scientifici le risposte a una piccola parte degli interrogativi che mi sono posto di volta in volta, risposte che in parte ho forse avuto e in gran parte mi sono state negate, spesso per mia inquietudine e incostanza nel ricercarle.
«Nell’arte ho cercato e quasi sempre ho trovato emozioni, nuovi orizzonti, la bellezza, lo stupore e l’emozione davanti a un quadro, a una scultura, a un palazzo antico o moderno, la curiosità con la quale si leggono le prime pagine di un libro nuovo, l’emozione a teatro quando sale il sipario o quella che si prova alle prime note di un concerto.
«Sono fra le non molte esperienze emozionanti che si possono avere anche a una certa età.»
 
Cosa pensa della rigida divisione in settori dell’istruzione odierna? È davvero fucina di talenti e menti specializzate oppure è la causa di tante chiusure e miopie?
«È un settore nel quale non ho competenza per esprimermi. Credo tuttavia che l’evoluzione della società debba necessariamente portare a studi sempre più altamente specializzati e questo talvolta a scapito dello sviluppo di una maggior ampiezza di interessi e di sapere.
«Mi verrebbe da dire: il pericolo di una carenza di interessi umanistici, se non fosse un giudizio personale e limitato. Ma credo si stia attraversando in prospettiva anche in questo settore un momento di forti cambiamenti, iniziando anche dalle elementari trilingue, dalle homeschool.
«Tuttavia ammetto che è difficile aspettarsi sensazionali conquiste scientifiche se non selezionando ingegni in studi specialistici di alto livello.»
 

 
Parliamo ora della città di Trento. Da quando si è seduto a Palazzo Thun è passato diverso tempo. Com’è cambiata la città negli anni? Quale futuro vede per la «quasi» Capitale della Cultura Italiana?
«Parliamo quindi di mezzo secolo fa, ma con qualche reminiscenza anche più antica, come è cambiata la città: sicuramente in molteplici aspetti e in maniera incisiva, già nel settore per così dire urbanistico.
«Pur con parecchie scelte che a me sembrano discutibili, il notevole patrimonio architettonico antico è stato ben conservato e in parte correttamente restaurato; sul nuovo ho difficoltà a esprimere giudizi in mancanza di specifiche competenze, temo tuttavia che abbia spesso prevalso una certa superficialità.
«Per quel che riguarda i nostri concittadini riscontro un marcato cambiamento, riferibile soprattutto all’apporto della popolazione universitaria, massiccio e determinante, ma anche alla presenza di numerose persone di altre regioni e stranieri.
«Pur con qualche inconveniente, reputo tutto questo importante e determinante, soprattutto in riferimento alla ancora modesta apertura della parte più conservatrice della nostra mentalità, altrimenti timida e piuttosto chiusa.
«Nelle nostre strade, nei locali pubblici, nei negozi al posto del già diffusissimo dialetto, si percepiscono altri suoni, altre cadenze e assai spesso parlate straniere. Sempre constatazioni di positiva apertura. Tutto questo, ovviamente e fortunatamente, a scapito della tranquillità sonnolenta del passato più lontano.
«Per quanto riguarda la capitale della cultura, con la massima considerazione per quanto riguarda il nostro passato e il presente, sia per le punte di eccellenza che per la significativa diffusa e antica scolarizzazione di base, credo tuttavia che tutta la storia culturale e artistica italiana può gloriarsi di parecchie decine di centri di altrettanto o maggior prestigio.»
 
Non possiamo immaginarla in pensione seduto in poltrona. Quali sono i suoi progetti per i prossimi anni?
«Certamente gite in montagna, sci e tennis sono ormai, purtroppo, felici ricordi e la poltrona o meglio la postazione al tavolo e al computer stanno diventando il mio rifugio dalle quotidianità più banali.
«Non ho mai tempo a sufficienza per studiare e per leggere quello che vorrei. Non posso progettare viaggi in Italia e all’estero che fisicamente mi sentirei di fare. Devo limitarmi a seguire il teatro, le mostre, qualche conferenza.
«Seguo con dolente attenzione le vicende politiche nostre e internazionali. Seguo anche più sommessamente che in passato l’attività della Fondazione Pezcoller, peraltro in ottime mani amiche.
«Ho un vago progetto di una mostra di mie fotografie ormai quasi antiche. Non porto quasi più con me la fedele macchina fotografica, da quando non si può evitare di inciampare continuamente in una marea di individui che hanno lo scarso senso critico di immortalarsi nelle situazioni più banali ed inutili.
«Credo di avere abbastanza lucidità da non lasciarmi andare a nessun rimpianto a nessun pessimismo: ci sono ancora tanti inesauribili interessi, tanta bellezza nel mio cuore.»
  
Nadia Clementi - [email protected]
Giuseppe Bernardi - [email protected]