La fragilità non è un disvalore – Di Daniela Larentis

Le nostre certezze sono fragili come delicate ali di farfalle, così come le nostre speranze: colorate e inconsistenti come l’arcobaleno dopo il temporale

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L’aggettivo «fragile» fa venire in mente un pacco contenente oggetti in vetro o piatti in fine porcellana, qualcosa che si possa rompere facilmente, oppure un individuo che abbia una salute cagionevole.
Nell’immaginario collettivo è considerata una persona fragile quella che appare particolarmente stressata, un po’ debole di nervi, chi è anziano e non è più autonomo.
Chi soffre di problemi psichici anche di lieve entità, per esempio chi è depresso, o semplicemente chi è stanco emotivamente. Le ossa degli anziani sono fragili.
Fragile è anche chi tende a sbagliare. L’umanità è fragile.
 
Nell’accezione comune si pensa alla fragilità considerandola quasi un disvalore, forse perché viviamo in una società dove essere forti pare essere la cosa più importante, la caratteristica vincente per potersi assicurare un briciolo di felicità.
Eppure, la fragilità, questa condizione umana che si presenta sotto varie forme, riguarda tutti da vicino e proprio per questo dovrebbe far riflettere.
Noi tutti, infatti, siamo fragili, se non altro perché lo è il nostro stesso corpo, un involucro progettato in modo perfetto, eppure così vulnerabile, sul quale non è sempre possibile fare affidamento.
 
Se riferito a un bicchiere di cristallo la fragilità è considerata un pregio, non certo un difetto: chi, potendo scegliere, preferirebbe bere un bicchiere di champagne da un volgare bicchiere di vetro anziché da una raffinata coppa di cristallo?
Quante cose a cui attribuiamo valore sono fragili!
L’arcobaleno è inconsistente, fragile come un’incantevole bolla di sapone.
Noi tutti siamo vulnerabili semplicemente perché siamo umani, il nostro corpo è fragile come certi rami, i nostri sogni sono fragili come i delicati petali dei fiori, così come le nostre certezze. Le nostre speranze lo sono, la nostra stessa vita è appesa a un filo, come la sottile tela del ragno, la quale può rompersi al sopraggiungere del primo temporale estivo.
Le emozioni spesso sono fragili, come ali di variopinte farfalle.
 
«…Ma è tutto normale amore, noi fragili fiori se vuoi noi siamo fatti, lo sai di carta leggera e stiamo attenti a non strapparci nel vento della sera…» cantava Ivan Graziani nella sua canzone intitolata «Fragili fiori».
Non siamo forse noi fragili come le delicate corolle dei fiori?
C’è chi è forte con i deboli e debole con i forti e questo non è un atteggiamento che nobilita l’uomo. C’è chi usa le proprie parole per ferire e annientare.
Pure questo non è un comportamento edificante, anche quando avviene non intenzionalmente.
 
Anche le parole possono rendere fragili, esse lasciano una traccia nel cuore e nella mente degli uomini. Ecco a tale proposito cosa si legge nell’interessante libro di Eugenio Borgna intitolato «La fragilità che è in noi» (Giulio Einaudi Editore) a pag. 11: «Le parole sono dotate di un immenso potere: sono in grado di aiutare, di indicare un cammino, di recare la speranza, o la disperazione, nel cuore dei malati che, nel momento in cui scendono nella voragine della sofferenza, hanno un infinito bisogno di dare voce alle loro emozioni e al loro dolore, che è il dolore del corpo, e dolore dell’anima.»
«Quante persone ferite dalla malattia sono lacerate dalle parole troppo violente, troppo dure, troppo inumane, che i medici rivolgono loro; una diagnosi comunicata in un corridoio o a una segreteria telefonica, un gesto ambivalente che lascia presagire indifferenza o preoccupazione, uno sguardo sfuggente nel momento di rispondere a una domanda: tutto può causare angoscia e disperazione.»
«Così, è necessario scegliere parole che possano essere subito comprese, e che non feriscano. Questo è il compito, non facile ma necessario, di chi cura: creare relazioni umane che consentano al malato di sentirsi capito e accettato nella sua fragilità, e nella sua debolezza.»
 
Secondo Eugenio Borgna anche le emozioni di dividono in emozioni forti e in emozioni deboli; a questa ultima categoria apparterrebbero, a detta sua, anche la tristezze, l’inquietudine, la gioia e il dolore dell’anima, l’amicizia e le lacrime, come lui dice «che sono intessute di fragilità e che, se non fossero fragili, perderebbero immediatamente la loro significazione umana e il loro fulgore emozionale».
«Ma cosa diverrebbe la speranza, se non fosse nutrita di fragilità e di fluida friabilità? – si interroga l’autore del libro qualche riga più avanti, – non sarebbe se non una delle tante problematiche certezze che, nella loro impenetrabilità al dubbio e all’incertezza, svuotano di senso la vita.»
Le certezze, verrebbe da aggiungere, sono esse stesse fragili al pari delle speranze, proprio perché possono frantumarsi da un minuto all’altro come le apparentemente solide vetrate di un edificio colpito da un’incontrollabile quanto mai devastante scossa di terremoto.
 
La fragilità non è un disvalore, lo sapeva bene Gesù, il quale stava sempre dalla parte dei deboli e dei bisognosi, non certo dalla parte dei forti, degli arroganti.
Sarebbe bello tener presente qual era il suo insegnamento, soprattutto ora che viviamo in una società materialista come la nostra, a prescindere dal proprio credo, ricordandolo anche semplicemente come uomo, e rammentando, purtroppo, anche una triste pagina della storia umana, in cui è racchiusa la pazzia di chi arrivò perfino a bruciare le persone fragili in campi di sterminio, dentro a forni crematori.
L’operazione venne chiamata «AktionT4», il programma nazista di eutanasia che prevedeva la soppressione dei malati incurabili, di persone con disabilità mentali e fisiche.
La natura umana è fragile…
 
Daniela Larentis
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