«È una baita, uno spreco, un monumento alla provvisorietà»
Questa la critica di 28 intellettuali che al posto dell'Auditorium di legno avrebbero voluto vedere ricostruito lo storico teatro de L’Aquila
Il Corriere della Sera di oggi pubblica nella pagina dedicata agli spettacoli un articolo a firma di Valerio Cappelli, che riporta i commenti di un gruppo di 28 intellettuali (tra urbanisti, storici e critici d’arte) che ritengono uno spreco l’auditorium costruito a L’Aquila dai Trentini, su idea di Abbado e progetto di Piano.
Definiscono la costruzione «una grande baita», un «monumento alla provvisorietà». La più intellettuale di tutti è stata la docente Marta Petrusewicz, che ha ricordato le opere «di facciata» che Grigorij Aleksandrovič Potëmkin (Primo Ministro della Grande Caterina di Russia) costruiva per dare l’impressione che il governo faceva qualcosa. Una leggenda, inventata dai suoi detrattori, sosteneva che faceva costruire villaggi, che a una prima impressione sembravano veri, ma che in realtà sarebbero stati di cartapesta.
La cosa che ci ha colpiti è che l’architetto Renzo Piano abbia dovuto specificare che si trattava di un «regalo» (a caval donato non si guarda in bocca) e che la struttura è assolutamente rimovibile (potete abbatterlo non appena sarà ricostruito quello terremotato, o magari anche subito).
Insomma ha dovuto spiegare perché non potevano chierderci di più.
Secondo noi quegli intellettuali hanno ragione, perché lo storico teatro de L’Aquila o l’auditorium del Castello valgono mille volte di più di quello che può effettivamente sembrare una baita di montagna.
Così come le 450 casette che abbiamo costruito in fretta e furia per ospitare quei cittadini che avevano perso la casa, prima che arrivasse l’inverno: andavano fatte in cemento.
Stessa cosa per scuole e chiese. Ma la paura di noi Trentini, che abbiamo costruito l’uno e le altre in legno, era che passassero magari anni prima che venissero realizzate quelle definitive.
E dato che in Italia ci sono zone terremotate le cui abitazioni sono ancora costituite da container, ci siamo ispirati proprio a Potëmkin che con le sue case di cartapesta era riuscito a fondare nuove città, fra le quali Sebastopoli, e a creare - guarda caso - dei centri culturali.