Lettera ai giornali – Firmata da 92 professionisti
Delitto di Rovereto, gli psichiatri: «Non siamo i garanti dell'ordine pubblico»
Questa lettera non è stata inviata solo al nostro giornale, ma a tutte le testate trentine di una certa importanza. È sottoscritta da 92 professionisti delle Unità operative trentine di salute mentale (in particolare 24 psichiatri; 17 tecnici della riabilitazione psichiatrica; 16 infermieri; 16 educatori professionali; 4 operatori; 1 operatore socio-sanitario; 12 esperti in supporto tra pari; 2 membri del gruppo di progettazione partecipata) e si riferisce al delitto di Rovereto dello scorso 5 agosto in cui ha perso la vita Iris Setti. |
In qualità di professionisti operanti all’interno dei Servizi di Salute Mentale della provincia di Trento sentiamo forte il bisogno di condividere con la cittadinanza e le istituzioni alcune riflessioni scaturite dai recenti fatti di cronaca e dal dibattito che tali fatti hanno generato.
Siamo infatti consapevoli dello sgomento che tali accadimenti hanno comprensibilmente indotto nella comunità, di cui noi stessi facciamo parte e alla quale in via preferenziale vorremmo rivolgerci, sperando di riuscire ad utilizzare un linguaggio che sia il più possibile accessibile anche a coloro che non conoscono il mondo della Salute Mentale.
Purtroppo, in queste ultime settimane, sono state rilasciate sui giornali molteplici dichiarazioni a nostro avviso spesso imprecise, quando non addirittura fuorvianti, con il rischio da un lato di confondere e disorientare ulteriormente chi si approccia a tematiche tutt’altro che semplici, dall’altro di alimentare lo stigma ed i pregiudizi che malauguratamente accompagnano ancora la nostra disciplina.
È ormai sentore comune di gran parte degli operatori e delle operatrici della Salute Mentale (non solo trentina) che vi sia la tendenza generale a vedere nella Psichiatria il deus ex machina da invocare ogniqualvolta accada intorno a noi qualcosa di sgradevole, qualcosa di inconcepibile, qualcosa che tutti noi preferiremmo non vedere e quindi rimuovere dalla nostra società.
Quel qualcosa che una volta sarebbe stato definito «pericoloso per sé e per gli altri e di pubblico scandalo», come recitava la Legge 36 del 1904 relativa alle disposizioni sui manicomi e sugli alienati, che ha portato a confinare nelle quattro mura di un manicomio, a salvaguardia della morale e della sicurezza dei «bravi cittadini», tutta una serie di personaggi scomodi che gran poco avevano a che fare con la patologia psichiatrica.
Fortunatamente, grazie alla Legge Basaglia del 1978 che ha decretato la chiusura dei manicomi, in quanto luoghi di morte civile oltre che fisica, è stata superata quella visione che vedeva nello psichiatra il «controllore» dei suoi pazienti, per lasciare posto ad una Psichiatria di comunità che mette la persona al centro del suo percorso di cura con l’obiettivo di creare un’alleanza positiva e sinergica tra professionisti, utenti e familiari degli utenti.
Questa è la Psichiatria che ci piace e che abbiamo scelto di praticare per passione e per vocazione, oltre ad essere l’approccio che nel tempo si è dimostrato senza dubbio vincente nel dare una risposta efficace e soddisfacente a tutte quelle persone che convivono con qualche forma di disagio psichico.
Tuttavia, da un po’ di tempo a questa parte, siamo molto preoccupati per la nuova deriva che si sta diffondendo nella società e in gran parte delle istituzioni per cui ci si aspetterebbe che i Servizi di Salute Mentale si facessero garanti dell’ordine pubblico, prevedendo, prevenendo e contenendo il compiersi di eventuali reati tutte le volte in cui si ipotizzi una minaccia in tal senso.
Del resto, in una società dove l’esistenza del male, della sofferenza e finanche della morte è considerata un grande tabù, comprendiamo come sia più semplice e rassicurante immaginare che alla base di ogni atto violento e criminale ci sia una patologia psichiatrica che lo giustifichi. Infatti, se il male è causato da una patologia, basta curare la patologia per evitare che il male si compia.
Per quanto non sia facile da accettare, dobbiamo però dirci con onestà che le cose non stanno così. Fino a prova contraria, le persone sono libere di scegliere, anche di compiere il male, e va loro restituita la responsabilità delle proprie azioni.
Se non accettiamo questo, si corre il rischio (purtroppo già realtà) di delegare in toto ai Servizi di Salute Mentale la gestione di problemi che non possono trovare soluzioni unicamente nella Psichiatria.
Non si può pensare infatti che un TSO o la riapertura di strutture simil-manicomiali (più volte caldeggiata da qualcuno) possano essere la panacea di tutti i mali.
Il problema è molto complesso e, come tale, merita una risposta altrettanto articolata.
Nel caso specifico dell’efferato delitto avvenuto il 5 agosto, sarà necessario acquisire maggiori informazioni per comprendere appieno cosa sia accaduto quella notte e se effettivamente si sarebbe potuto fare qualcosa per evitarlo.
Quello che è certo, però, è che l’autore del reato viveva una innegabile condizione di forte disagio sociale e, con tutta probabilità, esistenziale, dal momento che si trovava in un paese straniero, senza fissa dimora, senza lavoro, separato da moglie e figli collocati altrove.
Se partiamo dal presupposto che, non tutti, ma molti dei reati maturano all’interno di contesti di grande disagio sociale, di povertà a tutti i livelli, di alienazione che genera devianza, una delle risposte per provare a contenere la criminalità che da essi scaturisce è quella di agire su questi contesti per modificarli e ridurre in tal modo i rischi di potenziali degenerazioni.
Di esempi virtuosi se ne potrebbero citare tanti, uno su tutti la storia del signore nigeriano di 41 anni pubblicata sui giornali nei giorni scorsi.
Ex guerrigliero, ex clandestino, ex spacciatore, ha cambiato vita dopo l’incontro con una figura educativa avvenuto in carcere, incontro che gli ha offerto una seconda possibilità.
Oggi quel signore è un uomo nuovo e ricopre il preziosissimo ruolo di collaboratore presso il Centro di Salute Mentale di Trento.
In conclusione, cosa fare? Crediamo che la risposta a questa domanda debba essere necessariamente corale.
Il nostro lavoro ci ricorda ogni giorno l’importanza di fare rete tra servizi e tra persone.
Per questo proponiamo che i servizi (sanitari e sociali), le istituzioni, l’associazionismo, i rappresentanti dei cittadini possano sedersi tutti allo stesso tavolo per dialogare tra loro, approcciare il problema a 360° ed individuare soluzioni concrete, efficaci e condivise.
Siamo convinti infatti che l'intervento di tutti (Servizi, Istituzioni e cittadini) sia imprescindibile per promuovere la Salute come bene individuale e della collettività al fine di dare vita ad una società attenta a sostenere tutti, in particolare le persone più fragili, e prevenire così il diffondersi di situazioni potenzialmente ad alto rischio.
Elenco (in ordine casuale) di coloro che sottoscrivono la lettera.
1. Paola Santo – psichiatra 2. Batul Hanife – psichiatra 3. Stefania Zeino – psichiatra 4. Sonia Elengikal – psichiatra 5. Riccardo Riundi – psichiatra 6. Maria Imoli – psichiatra 7. Wilma Angela Di Napoli – psichiatra 8. Francesca Sozzi – psichiatra 9. Eleonora Esposito – psichiatra 10. Ilaria Borzaga – TerP 11. Valentina Nicolini – educatrice prof. 12. Chiara Telch – infermiera 13. Cristina Zeni – infermiera 14. Laura Zucal – infermiera 15. Valentina Dallaserra – infermiera 16. Lucia Salvaterra – infermiera 17. Anna Spiller – TerP 18. Tindara La Speme – TerP 19. Laisa Varneri – Terp 20. Monica Menapace – infermiera 21. Gabriella Ciminelli – infermiera 22. Martina Tomasi – TerP 23. Cristiana Zamboni – TerP 24. Chiara Depaoli – TerP 25. Mattia Donio – psichiatra 26. Carla Rizzo – psichiatra 27. Giuseppe Bettinazzi - psichiatra 28. Chibuzo Martins Awurumibe – psichiatra 29. Serena Parente – psichiatra 30. Claudio Agostini – psichiatra 31. Maddalena Pinotti – psichiatra 32. Mario Tommasini – psichiatra 33. Roberto Ponchiroli – psichiatra 34. Marco Maria Goglio – psichiatra 35. Serena Cainelli – TerP 36. Mara Ferraris – TerP 37. Nicola Bassetti – psichiatra 38. Paolo Santorum – infermiere 39. Stefania Girardi – psichiatra 40. Andrea Angelini – TerP 41. Sabrina Oss Papot – infermiera 42. Giulia Bettoglia – Terp 43. Sara Valentini – TerP 44. Serena Butterini – Terp 45. Alberto Della Rosa – psichiatra 46. Rita Cadonna – educatrice prof. |
47. Giovanni Tognotti – educatore prof. 48. Antonella Marchi – psichiatra 49. Morena Morelli – educatrice prof. 50. Luisa Pesce – psichiatra 51. Anna Moratelli – TerP 52. Sara Foradori – educatrice prof. 53. Enrichetta Goss – infermiera 54. Iris Zanini – educatrice prof. 55. Debora Pomiato – educatrice prof. 56. Alessia Breda – TerP 57. Sonia Valduga – educatrice prof. 58. Maurizio Davì – infermiere 59. Vettore Nicoletta – infermiera 60. Roberta Pederzolli – educatrice prof. 61. Eleonora D’Andrea – TerP 62. Federica Marzilli – operatrice 63. Olaf Andreatta – operatore 64. Giovanna Gruber – infermiera 65. Alice Guerrieri – ESP 66. Maria Carla Franceschini – educatrice prof. 67. Mara Varesco – ESP 68. Angela Paolazzi – ESP 69. Daniel Uche – ESP e membro GPP 70. Michele Poli – ESP 71. Luca Ioriatti – infermiere 72. Cristina Fontanive – OSS 73. Cristina Buccella – ESP 74. Paolo Agostini – membro GPP 75. Paolo Giovanazzi – ESP 76. Andrea Puecher – ESP 77. Lorenza Chini – infermiera 78. Giovanni Galluccio – membro GPP 79. Renato Duches – ESP 80. Federico Zendron – educatore prof. 81. Daniele Orvieto – educatore prof. 82. Manuela Girardi – ESP 83. Nicolina Di Rienzo – infermiera 84. Manuela Loss – educatrice prof. 85. Sabrina Del Brocco – operatrice 86. Leonardo Battistelli – operatore 87. Chiara Degasperi – educatrice prof. 88. Paolo Stelzer – educatore prof. 89. Giordano Bruno – educatore prof. 90. Carlo Capitanio – ESP 91. Maria Grazia Masi – TerP 92. Antonio Vitorio Ghirardello – ESP |