«Inside Out», un film per crescere – Di Giuseppe Maiolo
Solo riconoscendo ciò che accade nelle pieghe del nostro subconscio, possiamo imparare a governare e gestire emozioni e sentimenti, anche quelli più difficili
Fotogramma del film animato «Inside Out» - Wikipedia.
Le emozioni ora hanno un volto. Si potrebbe dire andando al cinema a vedere il film di animazione «Inside Out», campione di incassi, ma soprattutto capolavoro di Pete Docter della Pixar e frutto di anni di ricerche relative al funzionamento delle emozioni al nostro interno.
In una strategia narrativa particolarmente efficace, ricca di azione e di colori, di suoni avvolgenti e immagini in 3D che ti travolgono totalmente, il film racconta non tanto per i bambini, quanto per gli adulti, come agiscono dentro di noi le emozioni.
Nella stanza dei «bottoni» attorno ad una attualissima console, per semplificare nel nostro cervello ma per la verità non solo nella nostra corteccia, ogni volta che ci accade qualcosa, si sviluppano dentro di noi stati d’animo dette anche reazioni emotive che conosciamo ma di cui spesso non diciamo.
Anzi che a volte cerchiamo di nascondere e camuffare perché temiamo di far conoscere quello che proviamo nel sottosuolo della nostra mente.
Di certo evitiamo di nominare le emozioni, di dichiararle apertamente.
Abbiamo delegato agli emoticon, alle cosiddette faccine, di esprimere i nostri sentimenti. Per qualche verso ci siamo talmente allontanati da questo mondo sommerso, che già i bambini fin da piccoli non dicono sono triste o sono contento: disegnano una faccina, un tondo smile accattivante e immediato, forse, ma cinematografico e preconfezionato.
Non sorprende così scoprire che l’abitudine grafica più moderna e collettiva che abbiamo oggi, ovvero il supergettonato I like di Facebbook, viene da lontano.
Ho scoperto per caso che già alla Scuola dell’infanzia si attrezzano i bambini a dire con le faccine ciò che provano.
Sarà comodo, veloce, sintetico, dire con una emoticon quello che sento, ma mi domando se un’inflazione di faccine che allagano gli SMS anche degli adulti non ci stanno disabituando a descrivere con parole le sensazioni che viviamo tutti. In ogni momento.
E poi mi chiedo se così facendo non stiamo davvero facendo crescere emotivamente analfabeti i nostri adolescenti, visto che i ragazzi e le ragazze di oggi non sanno più dare un nome a quello che sentono e, peggio ancora, faticano a intercettare la contentezza e la soddisfazione o il dolore e la sofferenza in se stessi e negli altri.
Non riescono a provare empatia e affetto, ma al contrario nelle relazioni si muovono lungo le traiettorie distruttive dell’indifferenza, con freddezza e distacco.
Ci voleva allora un film per farci ritrovare il nome delle cinque emozioni-base, quelle senza le quali la vita non esiste: gioia, rabbia, paura, disgusto e tristezza.
Ci voleva una fiction animata, molto ben animata, per dirci in fondo che anche emozioni negative come la rabbia e più ancora la tristezza, non solo ci servono ma, anzi, generano reazioni costruttive.
È per questo che il film, in modo più efficace di una conferenza di psicologia, ti spiega l’importanza della frustrazione e della sofferenza per crescere.
Ti dice come funziona la memoria delle cose negative e quanto queste servano per raggiungere la gioia o la felicità e per non farti travolgere dall’angoscia.
Così serve la protagonista, la piccola Riley di undici anni che deve affrontare lo stress di un trasferimento da una città all’altra, con i suoi cinque stati d’animo perché parlano, a noi adulti e non ai bambini che al cinema sono per lo più attratti dagli stupefacenti effetti tecnici e dall'azione, dell’importanza di far vivere le nostre emozioni.
Abbiamo, noi grandi, bisogno di capire per primi che solo riconoscendo ciò che accade nelle pieghe del nostro subconscio, possiamo imparare a governare e gestire le emozioni e i sentimenti anche quelli più difficili.
L’obiettivo degli autori è proprio questo: dire che è fondamentale viverle fino in fondo, ma è altrettanto importante accettare che queste cambino di continuo e sono inevitabili per vivere e anche per crescere.
Giuseppe Maiolo - [email protected] - Precedenti
Psicoanalista di formazione junghiana, scrittore e giornalista, specialista in clinica dell’adolescente