Il peso della Russia nella crisi di Crimea
Le implicazioni e le prospettive politiche dell’escalation della crisi Ucraina
PREMESSA
Tra l’1 e il 2 marzo, la crisi in Crimea ha conosciuto una drammatica escalation delle tensioni a causa sia dell’esplosione violenta del secessionismo della comunità locale filo-russa sia del crescente coinvolgimento politico e militare del governo di Mosca, deciso a difendere i propri interessi economici e strategici in una regione tradizionalmente parte della propria sfera d’influenza.
Gli eventi di Crimea, che hanno avuto un’eco importante in altre regioni russofone e russofile ucraine (Odessa, Kharkhiv, Donesk), hanno messo in evidenzia quelle che sono le immediate e pericolose problematiche che il nuovo governo di Kiev, filo-europeo e con una marcata impronta nazionalista, potrebbe trovarsi ad affrontare nell’immediato futuro.
Infatti, l‘esecutivo guidato da Arsenj Yatsenyuk, che non ha il sostegno e le simpatie della comunità russofona e filo-russa del Paese, deve gestire i delicati rapporti con le forze ultra-nazionaliste e fasciste protagoniste dell’ultima fase delle proteste di Euromaidan e soprattutto è condizionato dalle incertezze connesse alla tenuta economica dello Stato, esposto al rischio di default.
La polarizzazione dello scenario interno ucraino potrebbe essere ulteriormente acuita dal ruolo di influenti attori internazionali che, sin dall’inizio delle proteste nel novembre scorso, hanno sostenuto o i movimenti filo-europeisti e nazionalisti o l’allora governo di Yanucovich e gli interessi della comunità russa. In questo senso, l’Ucraina si è trasformata nel terreno di confronto tra la Germania, desiderosa dell’integrazione ucraina nell’Unione Europea, e la Russia, il cui obbiettivo è la preservazione di Kiev nel proprio sistema egemonico.
La combinazione dei fattori entropici interni e delle agende di Russia e Germania rendono molto concreta la prospettiva della divisione del Paese in due realtà statali distinte.
Sino ad ora la crisi ucraina e gli avvenimenti in Crimea hanno dimostrato la coerenza operativa e contenutistica della politica estera russa, il cui deficit di soft power è compensato dalla capacità di utilizzare l’irredentismo pan-russo nello spazio post-sovietico, dalla disinvoltura di impiego dei propri assetti militari e dall’abilità di adoperare le leva finanziaria ed energetica.
Di contro, l’Unione Europea non è riuscita sin ora a contrastare efficacemente l’azione di forza russa, mostrando i limiti delle proprie divisioni interne e, probabilmente, la vulnerabilità insita nella dipendenza energetica dal Cremlino.
Anche gli Stati Uniti, nonostante le condanne formali e il richiamo alla legalità internazionale, non sono apparsi in grado di influenzare l’unilateralità di Mosca.
Questa perifericità politica rispetto alla crisi ucraina potrebbe essere il segnale del minor interesse statunitense verso le questioni europee, conseguenza della maggiore attenzione di Washington verso i dossier mediorientali e asiatici. Inoltre, va tenuto conto della profonda difficoltà nella quale versa l’intelligence statunitense e le sue due principali agenzie di spionaggio, la National Security Agency (NSA) e la Central Intelligence Agency (CIA). La NSA, servizio dedicato alla raccolta di informazioni elettroniche, scossa dalle rivelazioni del caso Snowden e quotidianamente impegnata a difendere gli assetti strategici nazionali dalla sempre più aggressiva cyberwarfare cinese.
Dall’altra parte, la CIA cerca di riconfigurarsi dopo aver passato gli ultimi 10 anni quale struttura principale per il targeting di terroristi piuttosto che sviluppare l’Human Intelligence (HUMINT) strategica, che rappresenta la sua naturale ragion d’essere.
Il fronte interno ucraino
La crisi in Crimea appare intimamente legata agli ultimi sviluppi politici ucraini. Infatti, all’indomani della destituzione di Yanucovich, il variegato mosaico delle forze di Euromaidan ha annunciato la nomina di un nuovo Presidente ad interim, Oleksandr Turcinov, e di un nuovo Premier, Arsenij Yatsenyuk, entrambi uomini di Unione Pan-Ucraina\Patria (UUP), il maggior partito di opposizione a Yanucovich, al quale appartiene anche Yulia Timoshenko.
Appare doveroso sottolineare come entrambi gli uomini politici, pur essendo dell’UUP, non sono fedelissimi della Timoshenko, bensì appartengono all’ala più conservatrice e nazionalista del movimento.
Il nuovo esecutivo ucraino rappresenta la cartina di tornasole dei rapporti di forza emersi dagli scontri di Kiev e, infatti, accoglie al proprio interno attivisti dei diritti umani, intellettuali indipendenti e membri dei partiti tradizionali.
Si tratta di un Gabinetto fortemente filo-europeo, ucrainofono ed espressione degli interessi delle regioni occidentali del Paese, il che lascia intendere che, oltre alla stabilizzazione interna, l’obbiettivo principale dei prossimi mesi potrebbe essere la prosecuzione dell’iter per la firma dell’accordo di Associazione con l’Unione Europea.
Un dato significativo è offerto dagli incarichi assegnati al partito nazionalista Svoboda (Libertà), una delle compagini più influenti e protagoniste durante Euromaidan, che ha visto propri esponenti nominati Vice-Premier (Oleksandr Sych) e Ministro della Difesa (l’ammiraglio Ihor Tenyukh).
Il governo di Yatsenyuk, inoltre, ha un debito politico non indifferente con le formazioni ultra-nazionaliste, anti-russe e dichiaratamente antisemite extra-parlamentari che hanno avuto un ruolo determinante nelle proteste di piazza a Kiev e che costituiscono le forze emergenti del panorama sociale e politico ucraino. Lo spettro del crescente nazionalismo ucrainofono rischia di influire pesantemente sul destino del Paese e di condizionare in maniera sostanziale il suo percorso politico futuro.
Le prime, imprudenti, decisioni del nuovo esecutivo hanno interessato proprio lo status della popolazione russofona e della comunità russa del Paese.
Infatti, appena alcune ore dopo la destituzione di Yanucovich, il governo di Turchinov ha approvato una legge che aboliva l’obbligatorietà del bilinguismo, eliminando il russo quale lingua ufficiale del Paese assieme all’ucraino, e ha ufficializzato l’intenzione di rivedere la struttura amministrativa ucraina, ridimensionando le autonomie locali con il rischio di abrogazione della Repubblica Autonoma di Crimea.
In questo modo, la regione crimeana sarebbe divenuta un distretto amministrativo come tutti gli altri, nonostante le sue tradizionali peculiarità politiche, storiche e sociali.
L’insieme di queste decisioni e la delineazione di un equilibrio politico di orientamento nazionalista sono state percepite dalla popolazione russofona come il primo passo verso un’ipotetica persecuzione ai propri danni da parte della popolazione ucrainofona e delle forze politiche uscite vittoriose dalla crisi di Euromaidan.
La paura della comunità russa e russofona trova ulteriore fondamento dalla preoccupante ascesa dei gruppi ultra-nazionalisti ucraini, una forza sociale e politica priva del controllo dei moderati partiti tradizionali rappresentati nella Rada.
La diretta e violenta risposta della comunità russa crimeana alle decisioni di Kiev si è manifestata con l’occupazione, da parte di uomini armati, del Parlamento locale di Simferopol, la capitale della regione, e con l’elezione di un nuovo Premier, il leader del Partito «Unità Russa» Sergei Aksyonov, il quale ha immediatamente indetto, per il 30 marzo prossimo, un referendum per stabilire l’annessione della regione alla Russia.
La data in questione ha un forte significato simbolico e politico, in quanto intende anticipare le prossime presidenziali ucraine, previste per il 25 maggio, mettendo in seria difficoltà l’attuale governo ad interim. Inoltre, destano particolare preoccupazione sia gli scontri tra i gruppi filo-russi e quelli dei musulmani Tatari, fedeli a Kiev e desiderosi di preservare l’integrità territoriale del Paese, sia la crescente formazione di milizie russofone, coadiuvate da unità delle Forze Armate russe, che controllano le principali città della Crimea e che, di fatto, si sono sostituite alle forze di sicurezza nazionali.
La variabile costituita dalla minoranza tatara non andrebbe sottostimata, in quanto possiede un peso specifico molto alto nelle questioni ucraine e crimeane.
Infatti, è stato proprio grazie ai Tatari che, nel 1991, il referendum sull’indipendenza ucraina ha sancito la nascita di uno Stato sovrano distinto dalla Russia. Se i Tatari non avessero votato, Kiev sarebbe stato il 90° soggetto della Federazione Russa.
Nonostante i generalmente buoni rapporti tra Tatari e russi in Crimea, l’ipotesi di un passaggio della penisola sotto l’autorità del Cremlino potrebbe radicalmente cambiare questo scenario, aumentando le tensioni e gli scontri tra le due comunità.
Del resto, occorre ricordare che i Tatari sono stati deportati dal regime staliniano durante la Seconda Guerra mondiale e, da quel momento, serbano un fortissimo sentimento di rancore verso il governo di Mosca.
Oltre alla Crimea, l’esplosione del secessionismo russo e russofono potrebbe rapidamente coinvolgere altre regioni ucraine dove sussistono forti legami con Mosca e un altrettanto forte risentimento verso le forze di Euromaidan.
Ad oggi, sembra che gli eventi di Simferopol e Sebastopoli possano ripetersi in maniera quasi identica ad Odessa, Kharkiv e Donesk, dove si sono svolte manifestazioni in favore dell’annessione alla Russia culminate con l’occupazione degli edifici pubblici e l’issaggio della bandiera russa sulla loro sommità.
Al pari della Crimea, anche nelle regioni orientali ucraine sono nati movimenti politici dotati di milizie para-militari, come il «Fronte Orientale», che intendono esplicitamente realizzare l’unità con la Federazione Russa e che giudicano il nuovo governo di Kiev nazionalista e fascista. In queste regioni è lecito aspettarsi che le Forze Armate russe intervengano, come hanno fatto in Crimea, per sostenere la mobilitazione delle comunità locali contro eventuali azioni di risposta delle autorità governative.
Oltre ai legami identitari, linguistici e culturali, a legare le regioni irredente alla Russia ci sono la condanna della deposizione di Yanucovich, il rifiuto dei valori e degli orientamenti politici emersi da Euromaidan e le simbiotiche relazioni economiche con il Cremlino.
Infatti, la Crimea e le regioni orientali, che sono le più industrializzate del Paese, ospitano complessi la cui produzione meccanica, mineraria e di beni di consumo serve principalmente il mercato russo e risulterebbe assolutamente non competitiva verso il mercato europeo.
Tra le attività più importanti, occorre sottolineare la cantieristica navale, l’industria motoristica, entrambe complementari al comparto della Difesa russo, l’industria mineraria e agro-alimentare.
Qualora i legami economici con il Cremlino dovessero essere compromessi a causa di scelte filo-europee dell’attuale governo, l’industria ucraina lamenterebbe terribili perdite, trovandosi costretta ad un sensibile ridimensionamento delle proprie attività.
I conseguenti massicci licenziamenti costituirebbero una terribile criticità sociale foriera di ulteriori tensioni.
Il fronte internazionale: Russia, Europa, Stati Uniti
La risposta russa alle proteste di Euromaidan, alla deposizione di Yanucovich e alla formazione di un governo nazionalista e filo-europeo in Ucraina si è configurata seguendo gli schemi ricorrenti del Cremlino.
Infatti, Mosca ha utilizzato gli strumenti dell’irredentismo pan-russo delle minoranze presenti nello spazio post-sovietico, l’immediato dislocamento delle proprie Forze Armate e la cornice legale offerta dalla difesa dei propri cittadini all’estero.
E così, a poche ore dall’insediamento del Gabinetto di Yatsenyuk e dell’esplosione del separatismo in Crimea, il Cremlino ha disposto l’invio di una delegazione della Duma (Parlamento) che incontrasse e coordinasse le azioni con i movimenti secessionisti filo-russi in Ucraina.
Inoltre, il Ministero dell’Interno e quello degli Esteri hanno agevolato le procedure di concessione del passaporto russo a tutti i cittadini ucraini russofoni che lo richiedessero, specialmente nelle regioni orientali e meridionali.
Questa operazione, definita «passaportizzazione», permette l’immediata concessione della cittadinanza. In questo modo, i separatisti ucraini filo-russi sono diventati automaticamente cittadini della Federazione, consentendo al governo di Mosca di intervenire militarmente in loro difesa, secondo quanto previsto sia dalla Costituzione sia dalla dottrina militare, che autorizza l’utilizzo della forza armata per difendere i diritti e la vita dei cittadini russi fuori dai confini nazionali.
Infatti, il Presidente Putin ha ufficialmente dichiarato che Mosca possiede il pieno diritto di tutelare l’integrità dei propri cittadini e dei propri interessi in un contesto fortemente instabile come quello ucraino, dove le comunità russe, a suo dire, sono minacciate dal nazionalismo ucraino.
Al momento, l’intervento militare russo ha coinvolto circa 12.000 uomini, inizialmente provenienti dalle infrastrutture militari di Sebastopoli e Simferopol e successivamente trasportate con un imponente ponte aereo dai distretti militari Centrale e Meridionale.
Tra il 26 febbraio e il 1 marzo, l’intera Crimea è passata sotto il controllo delle Forze Armate moscovite, che hanno anche assicurato il controllo delle vie di comunicazione strategica terrestri, aeree e marittime.
Infatti, le unità della Flotta del Mar Nero e la fanteria di Marina hanno effettuato il blocco delle basi navali e aree ucraine, nonché dei porti e degli aeroporti civili.
Inoltre, diversi soldati russi hanno affiancato le milizie crimeane nella presa dei palazzi istituzionali e delle stazioni radio e televisive.
Appare evidente come l’azione politico-militare voluta da Putin ricalchi lo schema seguito nel 2008 in Georgia, quando i cittadini delle due repubbliche secessioniste di Abkhazia e Ossezia del Sud sono stati «passaportizzati» in modo da giustificare un legittimo intervento russo in loro difesa.
Tuttavia, a differenza del caso georgiano, in Ucraina, l’azione del Cremlino è apparsa più diretta e aggressiva.
Questo si rileva, in quanto, sino ad ora, in Crimea non si sono verificati episodi di violenza contro la comunità russa come, invece, era accaduto in Georgia.
Inoltre, mentre nel 2008 l’allora presidente georgiano Saakashvili aveva colpito per primo i peacekeeper russi e la popolazione osseta e abkhaza, in Ucraina il governo di Kiev ha mantenuto un atteggiamento cauto e attendista.
Quindi, in questo senso, l’azione russa in Crimea appare meno legittima sotto il profilo giuridico di quanto lo possa essere sotto quello politico. Il Cremlino, in questo caso, sembra aver agito secondo la dottrina dell’intervento preventivo.
Sotto il profilo prettamente politico, la Russia ha tenuto fede al proprio ruolo di difensore mondiale del legittimismo, ospitando Yanucovich all’interno del proprio territorio ed affermando che Euromaidan e la deposizione del Presidente in carica rappresentano un colpo di Stato da parte di forze ultra-nazionaliste sospinte dall’Europa e dagli Stati Uniti.
Tuttavia, il Presidente Putin non ha mai apertamente e ufficialmente difeso Yanucovich, sia perché una simile azione appare politicamente insostenibile sia perché tra i due personaggi non c’è mai stata reale stima.
La presidenza russa ha dovuto, nel tempo, sostenere Yanucovich poiché egli era l’unico candidato possibile per tutelare gli interessi della comunità filo-russa in Ucraina. Infatti, dopo il massacro di Pizza Indipendenza a Kiev, la cui responsabilità politica e morale pesa sulle spalle di Yanucovich, Mosca non intende compromettere la propria partita in Ucraina prendendo le difese di un personaggio divenuto così scomodo e inserito nella lista dei ricercati internazionali.
Non è da escludere, dunque, che in futuro, qualora emergesse una figura in grado di unire, compattare e guidare il fronte secessionista filo-russo, Putin decida di abbandonare l’ex Presidente ucraino dopo che questi è stato già scaricato sia dal suo Partito delle Regioni sia dai potenti oligarchi ucraini.
Per la Federazione Russa non è neppure immaginabile l’ipotesi di vedere i propri interessi in Ucraina messi a repentaglio.
Il dossier ucraino, infatti, ha un’importanza vitale per il Cremlino. Nel contesto delle repubbliche ex-sovietiche, l’Ucraina ha un peso specifico molto alto per la Russia.
Dal punto di vista simbolico, la maggior parte dei russi non concepisce la separazione tra Russia e Ucraina, ma considera i due Paesi un unicum storico indivisibile.
Ad Odessa e in Crimea sono presenti i maggiori sacrari extraterritoriali russi che commemorano la Seconda Guerra mondiale o, come la indica la storiografia russa, la Grande Guerra Patriottica.
E, per il Cremlino, Kiev rappresenta un partner irrinunciabile sia per ragioni militari, legate alla presenza della base di Odessa, sede della Flotta del Mar Nero e principale avamposto russo fuori dal territorio nazionale, sia per ragioni industriali, dovute al fatto che l’est dell’Ucraina e la Crimea ospitano complessi vitali per il comparto della Difesa russo (aereonautica, componenti per missili e cantieristica navale).
Come se non bastasse, in Ucraina transitano due dei principali gasdotti che riforniscono l’Europa (Gasdotto della Pace e gasdotto della Fratellanza).
Si tratta di due arterie fondamentali per l’economia e la politica estera del Cremlino, in quanto per esse continua a passare la maggior parte del flusso gasifero diretto ad ovest, almeno finché non entreranno a pieno regime il South Stream e il North Stream, i due gasdotti del Mar Baltico e del Mar Nero costruiti proprio per bypassare il turbolento territorio ucraino.
Appare evidente, dunque, che qualsiasi concessione o cessione di quote di influenza in Ucraina rappresenterebbero un danno sensibile per le fondamenta della potenza russa, mettendo addirittura in dubbio lo status del Cremlino di grande attore globale.
Di fronte all’unilateralità russa, la Germania, grande sostenitore delle rivolte di Euromaidan e dei movimenti e partiti filo-europei, è apparsa impotente e poco efficace.
Tale incapacità di contrastare l’aggressiva politica estera di Mosca ha caratterizzato anche l’azione dell’Unione Europea, che ha cercato di muoversi seguendo sia la direttrice diplomatica sovranazionale di Bruxelles sia quella nazionale di Varsavia, Berlino e Parigi.
Tuttavia, le divisioni interne e l’assenza di una vera politica estera e di difesa comune hanno invalidato qualsiasi tentativo di arrestare l’escalation russa e di creare un forum negoziale tra Kiev e Mosca.
Al momento, la crisi ucraina appare come una problematica prettamente tedesca e non dell’Unione Europea nel suo insieme.
Infatti, Berlino è stato il grande sponsor di Euromaidan e del filo-europeismo di Kiev poiché desiderava, e tutt’oggi vorrebbe in linea con la pluridecennale politica di allargamento ad est dell’Unione Europea, una maggiore liberalizzazione del mercato ucraino per favorire la propria espansione commerciale.
Sulla debolezza delle posizioni unioniste pesano senz’altro due fattori: il primo è costituito dalle diverse priorità di politica estera che ogni Paese europeo possiede e tutela rispetto all’agenda comune UE; la seconda riguarda la dipendenza energetica russa a cui l’Europa è sottoposta, condizione che limita notevolmente le possibilità di manovra di Bruxelles.
Un dato preoccupante circa l’atteggiamento poco incisivo dell’Unione Europea è emerso ancor prima che la crisi ucraina si manifestasse in maniera violenta, esattamente durante le negoziazioni con l’Ucraina per l’Accordo di Annessione.
Infatti Bruxelles, oltre ad offrire condizioni economicamente meno favorevoli rispetto alla Russia (160 milioni di euro contro 15 miliardi di Mosca), è apparsa poco chiara e convincente sui contenuti dei trattati, lasciando aperto il campo all’euroscetticismo di una buona parte dell’establishment ucraino.
Al pari dell’Unione Europea, anche gli Stati Uniti si sono dimostrati in difficoltà nei confronti della perentorietà russa, esattamente come nel 2008 con la crisi georgiana.
Infatti, se si escludono le condanne formali e l’azione in sede di Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, Washington sembra non aver adotto alcun argomento in grado di far desistere Mosca dal proprio intento.
L’amministrazione Obama paga, in questo caso, la sua mancanza di attenzione verso l’Europa e lo spostamento delle proprie priorità di politica estera sui dossier mediorientali e asiatici.
Inoltre, sul comportamento statunitense aleggiano le ombre dell’aver sostenuto forze ultra-nazionaliste in Ucraina, fattore che ha esposto Obama e il partito democratico alle critiche dei rivali repubblicani.
Prospettive future e il possibile ruolo dell’Italia
L’attuale situazione in Ucraina appare fortemente fluida e complessa. Innanzitutto, occorre sottolineare come il separatismo esploso in Crimea possa rapidamente espandersi anche ad Odessa e nelle regioni orientali, conducendo l’Ucraina verso una possibile divisione.
Il fenomeno secessionista, infatti, appare autentico e genuino al di là dei condizionamenti e del sostegno da parte della Russia.
Oltre allo scenario politico polarizzato che oggi caratterizza il Paese, ad alimentare la possibilità della divisione ucraina sussistono fattori di carattere politico ed economico.
Infatti, le tendenze emerse da Euromaidan lasciano presagire che il nazionalismo ucrainofono potrebbe diventare l’elemento aggregante di un malcontento che, sebbene abbia colpito la Presidenza di Yanucovich, è rivolto contro tutta la classe dirigente e a tutti i partiti tradizionali ucraini, compreso l’UUP, Yulia Timoshenko ed i suoi luogotenenti.
Nella migliore delle ipotesi, nelle prossime elezioni presidenziali potrebbero affermarsi due outsider del panorama nazionale, ossia Svoboda e Udar, il partito dell’ex pugile Vitalij Klitsko.
Si tratta di due formazioni nazionaliste, anti-russe e fortemente europeiste. Inoltre, Udar è anch’esso sostenuto dalla Germania e dalla Cancelliera Angela Merkel, elemento che lascia intuire come Berlino abbia ancora un radicato ascendente sulle questioni politiche di Kiev.
Tuttavia, la crescita di Udar, Svoboda e delle organizzazioni ultra-nazionaliste spingerebbero ulteriormente le comunità russofone verso il ricongiungimento con Mosca.
Dal punto di vista economico, la sopravvivenza del prossimo governo ucraino non può prescindere da un sostanzioso prestito internazionale che ne impedisca il default.
Qualora Kiev completasse la propria scelta europeista, non potrebbe più ricevere fondi da Mosca e, dunque, dovrebbe orientarsi verso altri creditori, come il Fondo Monetario Internazionale.
Questa prospettiva non entusiasma la popolazione locale, conscia del fatto che la restituzione del prestito al Fondo necessiterebbe sacrifici finanziari e fiscali non indifferenti.
Non è chiaro, dunque, quanto il popolo ucraino sia disposto ad accettare uno scenario simile a quello della Grecia.
Anzi, qualora Kiev dovesse attuare una politica di austerity troppo asfissiante, ci potrebbe essere il rischio di nuove ondate di protesta e di una conseguente crescita del sostegno alla destra radicale.
In quel caso, lo scenario ucraino somiglierebbe pericolosamente a quello ungherese che ha permesso l’ascesa di Fidesz e di Viktor Orban.
Sotto il profilo internazionale, l’inasprimento del sentimento secessionista aiuterebbe in maniera evidente la Russia.
Appare ancora poco chiaro fin dove voglia spingersi il Presidente Putin. Probabilmente, il Cremlino è perfettamente consapevole di non poter favorire l’ascesa di un governo filo-russo a Kiev e, dunque, potrebbe investire sull’opzione della divisione del Paese.
In questo momento, Mosca pare voglia assicurarsi la tutela dei propri interessi strategici minimi, ossia la Crimea, proteggendo il comparto industriale legato alla cantieristica navale e soprattutto la base di Sebastopoli, sede della Flotta del Mar Nero.
Infatti, per la Russia appare irrinunciabile il suo attuale ed unico sbocco sui Mari Caldi, elemento che permette di spiegare il perché di un così rapido e deciso utilizzo delle Forze Armate.
Occorre sottolineare come la base del Mar Nero permetta alla Russia di avere una significativa presenza navale nel Mediterraneo, senza la quale il Cremlino non avrebbe mai potuto attuare la politica di deterrenza e supporto militare verso la Siria e il regime di Assad.
Ne consegue che il mantenimento di una importante presenza militare in Crimea permette a Mosca di proiettare la propria influenza nel Mediterraneo e in Medio Oriente, lasciando inalterato lo status russo di superpotenza globale e non soltanto continentale.
Nel breve periodo, dunque, non sarebbe da escludere un’annessione de facto della Crimea in attesa del referendum popolare che ne sancisca il ricongiungimento alla Russia anche de iure.
Diverso il discorso per le regioni orientali e Odessa, dove l’impiego di unità militari significherebbe un’invasione su ampia scala con rischi operativi e politici alti nonché con costi economici importanti.
Tuttavia, l’ingresso di truppe russe nell’est dell’Ucraina appare un’ipotesi possibile, soprattutto se il governo ucraino, di fronte alle crescenti manifestazioni filo-russe a Kharkhiv e Donesk, decidesse di impiegare la forza.
In ogni caso, è poco probabile che un eventuale intervento russo punti su Kiev, quando i reali obbiettivi del Cremlino si trovano molto più a est.
Il miglior risultato possibile per Mosca, qualora tutti i movimenti separatisti riuscissero a realizzare l’annessione dei propri territori alla Federazione Russa, sarebbe quello della creazione di due Stati distinti, uno ucraino occidentale senza sbocchi al mare, corrispondente a Kiev, Leopoli e le regioni del nord, ed uno ucraino orientale, comprendente tutta la costa del Mar Nero e le regioni del levante.
L’eventuale divisione del Paese potrebbe avvenire sia in maniera pacifica, attraverso il negoziato tra la parti in conflitto, sia in maniera traumatica, nel caso in cui le componenti russofone e ucrainofone non riuscissero a dirimere le controversie in sede istituzionale.
La crisi ucraina ha evidenziato le debolezze dell’Unione Europea e ha gettato le basi per il peggioramento delle relazioni tra Russia e Germania.
In una situazione di questo tipo l’Italia, secondo miglior partner europeo della Russia, potrebbe ricoprire un ruolo di eccezionale valenza politica e ritagliarsi lo spazio per ottenere futuri benefici politici ed economici. I buoni rapporti con Mosca permetterebbero all’Italia, alla vigilia del semestre di Presidenza europeo, di porsi come forza mediatrice con la Russia e tra le diverse fazioni in lotta in Ucraina.
Il governo di Roma, nel difendere il principio di inviolabilità dell’integrità territoriale di Kiev, potrebbe contestualmente sostenere la necessità di tutela dell’autodeterminazione dei popoli, offrendo alla comunità russofona di ucraina una cornice legale internazionale entro la quale far valere le proprie istanze e alla Russia un argomento per sostenere il secessionismo locale e la difesa dei propri interessi scongiurando l’escalation nell’suo della forza.
La dipendenza italiana dal gas russo e l’interscambio commerciale con il Cremlino sono due fattori strategici che impediscono a Roma di sposare posizioni eccessivamente anti-russe.
Uno scenario di divisione dell’Ucraina potrebbe avere un ritorno positivo per l’Italia, in quanto non comprometterebbe i rapporti con Mosca e contestualmente, non scongiurerebbe il percorso di integrazione europea della Kiev filo-occidentale.
Anche il ritorno economico potrebbe essere positivo, in quanto le relazioni commerciali con la Russia resterebbero intatte e, contestualmente, si aprirebbero le possibilità del mercato ucraino integrato nell’UE.
Infine, di fronte ai buoni uffici italiani, una Germania accontentata nelle sue aspirazioni egemoniche orientali potrebbe fare maggiori concessioni al governo di Roma in sede di altri dossier europei.
La mediazione italiana potrebbe risultare decisiva per evitare il rischio di inclinazione dei rapporti tra Russia ed Europa.
Oltre ad un poco auspicabile raffreddamento delle relazioni diplomatiche, uno dei rischi principali è legato all’interruzione delle forniture di gas che, oltre a mettere in ginocchio l’Ucraina, potrebbero avere effetti sugli altri Paesi europei che hanno nel Cremlino il principale fornitore energetico.
Non è da escludere, dunque, che il peggioramento della crisi ucraina possa spingere la Russia ad un nuovo uso politico e militare delle leva energetica, come accaduto nel 2006 e le 2009.
Il peggioramento del dialogo tra Russia e Occidente potrebbe anche influire su altri dossier internazionali che vedono coinvolti Mosca, Bruxelles e Washington, quali la Siria e l’Iran. Infatti, l’irrigidimento russo dovuto ai fatti ucraini potrebbe determinare l’adozione di un approccio più duro da parte di Putin nei negoziati sulla Guerra Civile siriana e sul nucleare iraniano.
In virtù di queste considerazioni non sarebbe da escludere che l’atteggiamento poco incisivo degli Stati Uniti nei confronti della crisi ucraina possa avere lo scopo di bilanciare il rapporto con Mosca in quegli altri scenari che vedono partecipi le due potenze.
Infatti, un’eventuale concessione statunitense in Ucraina potrebbe ammorbidire le posizioni russe su Siria e Iran.
Marco Di Liddo
Analista Centro Studi Internazionali