Matteo Boato, artista attento ai temi sociali – Di Daniela Larentis

Presente alla collettiva del 1° giugno a Palazzo delle Albere, ha da poco realizzato «Incontri», una scultura di grandi dimensioni in acciaio Cor-Ten – L’intervista

>
Matteo Boato è un artista noto, non solo a Trento e in Italia, è molto apprezzato anche all’estero, dove ha esposto in sedi istituzionali e in prestigiose gallerie (in Europa, è stato più volte in Russia, negli Stati Uniti, in Asia).
Fra le innumerevoli mostre al suo attivo ne ricordiamo solo un paio allestite nella nostra splendida città, quella organizzata nel 2017 al Muse, il museo delle scienze di Trento, e «Luoghi trentini» del 2016, la personale in cui aveva presentato una trentina di opere nella splendida location di Torre Mirana, nonché il percorso espositivo a cielo aperto di via Belenzani, predisposto nell’autunno del 2018 nel cuore cittadino, in occasione del Premio di Poesia Città di Trento.
La sua rigorosa ricerca artistica lo ha condotto nel tempo a sviluppare temi legati al luogo urbano, concentrandosi in particolare sulla piazza e sul centro storico, senza mai dimenticare quelli legati alla natura, come testimonia l’ultimo ciclo di opere intitolato «I mesi», dedicato agli alberi.
Da sempre attento ai temi sociali e all’ambiente, non perde occasione, attraverso la sua arte, di trasmettere la sua visione del mondo.
 
Sabato 1 giugno 2019 alle ore 17.00 verrà inaugurata la collettiva «Artisti a statuto speciale» nella splendida ambientazione del Palazzo delle Albere, alla quale partecipa assieme ad altri tre artisti che rappresentano il Trentino: Antonello Serra, LOME Lorenzo Menguzzato e Roberto Codroico (la direzione artistica dell’evento è affidata allo stimato critico e storico dell’arte Maurizio Scudiero).
Ha da poco ultimato «Incontri», un gigantesco mappamondo realizzato in acciaio Cor-Ten, una scultura di grandi dimensioni inaugurata oggi (31 maggio 2019) innanzi a un folto pubblico nel Parco della Nuova Residenza Sanitaria Assistenziale di Volano, sede distaccata dell’Apss Opera Romani di Nomi in Vallagarina, dove andranno a vivere numerosi anziani.
 

Matteo Boato al lavoro.

Il titolo è emblematico, rimanda al bisogno di tutti gli esseri umani di creare delle relazioni; in un mondo incerto come il nostro, dominato dalla paura e dall’indebolimento dei legami sociali, nonché dall’individualismo e dalla solitudine, un luogo divenuto inospitale, in cui i rapporti fra le persone sono sempre più consumati individualmente, quelle mani tese le une verso le altre ci fanno pensare a spazi in cui le persone possano condividere una storia comune, a luoghi relazionali, identitari, storici, ben lontani dai «non luoghi», come li definisce l’antropologo Augè, di cui noi tutti facciamo quotidianamente esperienza e in cui purtroppo sempre più spesso ci si incrocia senza incontrarsi mai: gli affollati supermercati, gli incroci autostradali, il cinema, i negozi, tutti quegli ambienti in cui si transita senza entrare mai in relazione con il prossimo.
 
Per uscire da un isolamento che è diventato globale occorre avvicinare le mani, dispiegarle, protenderle verso l’altro. È ciò che sembra suggerire con forza questo enorme globo metallico, invitando l’osservatore a una riflessione profonda anche sul senso che ognuno di noi attribuisce all’esistenza.
Siamo circondati da esseri umani, molti dei quali sono degli esclusi sociali, sono le persone che non sono più considerate utili al sistema per funzionare, come gli anziani. Si stima che entro il 2050 raddoppierà la popolazione con più di 60 anni e questo vuol dire che ci saranno molti più persone sole, bisognose di cure e di attenzioni.
 

Foto Marco Biagioni.

Questa scultura ci può ricordare quanto sia pericoloso specchiarsi nella lucentezza degli spicchi di cui è composta, in un immaginario ripiegamento narcisistico verso sé stessi, e quanto sia bello e intimamente gratificante, al contrario, avvicinare le mani in segno di incontro, aprirsi agli altri, ai giovani, ai meno giovani, soprattutto tendere la mano agli anziani che avrebbero molto da raccontare a chi volesse ascoltare la loro voce. Avrebbero sicuramente molto da dire.
Molto da insegnare anche a proposito di uno stile di vita più sobrio, quello probabilmente che ha caratterizzato la loro giovinezza, lontano dagli sprechi di una società dell’accumulo ormai alla deriva. 
 
Quelle mani in acciaio Cor-Ten ci parlano, sta a noi interpretare il messaggio (che sembrano veicolare anche attraverso l’armonia suggerita dalla loro disposizione, sembrano indicare un punto centrale verso cui focalizzare l’attenzione, come per dire che il focus della questione è sempre e comunque l’esigenza di recuperare i valori più autentici dell’esistenza, il vero dialogo fra le persone).
Una sfera che è anche, o potrebbe essere a nostro avviso, un po’ l’emblema di un mondo in cui sia possibile allargare gli orizzonti del proprio pensare. Un mondo migliore da consegnare alle future generazioni.
Curiosi di saperne di più abbiamo incontrato Matteo Boato e gli abbiamo rivolto alcune domande.
 

Valcanover 2019.

È del 2019 la mostra di Milano, durata fino allo scorso marzo. In aprile ha esposto una ventina di opere a Valcanover (lago di Caldonazzo), Trento. Ci racconterebbe qualcosa a riguardo? Secondo quale criterio sono stati raggruppati i dipinti?
«La mostra di Milano presso la galleria Art Luxory, che ha seguito una precedente e simile mostra a Bergamo presso AMSL Avvocati, è stata concepita come tappa conclusiva di un percorso pittorico pluridecennale iniziato con Le Case Danzanti e confluito nella tematica e serie titolata La Piazza (un’esposizione esaustiva è stata accolta e proposta dal MUSE nel 2017). I lavori esposti, di grande valore, se non altro affettivo, hanno aggiornato il mio piccolo pubblico milanese in merito all'evoluzione della tematica.
«Valcanover (la dependance del Ristorante Omonimo) è stata la scena di un lavoro di allestimento, potrei tranquillamente azzardare a definirlo, colossale per un'esposizione one shot di un giorno (anzi di 4 ore). Il risultato è stato favoloso dal mio punto di vista. Il ciclo di lavori coinvolti è titolato I Mesi e costituisce il dialogo pittorico con un cedro maestoso, che collega chi guarda la tela, e chi la dipinge, al cielo.
«Le tele di grande formato sono il frutto un anno e mezzo di lavoro tra il 2016 e il 2017. La sequenza è concepita per creare un bosco che si evolve nel tempo, uno scenario che coinvolge e circonda interamente lo spettatore, lo spinge a guardare in alto e prova ad accompagnarlo verso il cielo. Alla base vi è il concetto che la natura sia un dono in ogni suo angolo, in ogni sua manifestazione.
«Raccontando le centinaia di colori che un organismo vitale come il bosco offre durante un anno, ho provato a dipingere la ricchezza straordinaria che ci abbraccia quotidianamente, mettere su tela la musica che ci pervade mentre respiriamo in ambienti naturali. Ma per toccare il cielo dobbiamo amare la terra...»
 

Matteo Boato, I Mesi - Trittico 4, olio su tela - 360x150 cm - 2017.

«L’uomo e il lavoro» è il titolo di una collettiva a Lograto (Brescia) a cui aveva partecipato nel novembre scorso. Come ha affrontato artisticamente il tema proposto?
«Ho proposto alcune tele realizzate nel 2012 titolate Terra che nascono da una riflessione pittorica sul suggerimento benedettino Hora et labora. Un piccolo borgo o un monastero, situato sulle pendici di un colle, che simboleggia un mondo felice ed autosufficiente.
«L’organismo urbano e i suoi abitanti sembra generino la collina, ma al tempo stesso si può vedere il processo opposto dove le sue coltivazioni e la sua circolarità danno forza al paese. Gli uomini ricevono dalla terra quanto danno in termini di attenzione e cura alla stessa. Questi lavori recuperano il concetto antropologico di Vincenza Pellegrino definito suolo scomparso, un campo, terreno agricolo che ci rievoca ricordi d'infanzia e che oggi è pressoché sparito, a causa dell'eccesso di antropizzazione e del fatto che non abbiamo, come civiltà occidentale, più un rapporto diretto personale con la campagna. Il suolo scomparso è un luogo dell'anima, che dà pace e ci fa riconnettere con la natura.»
 

Matteo Boato - Pisa, olio su tela - 100x100 cm - 2010.

Potrebbe condividere con noi la genesi della scultura di grandi dimensioni in acciaio Cor-Ten e inox da lei realizzata?
«La scultura, già installata presso la A.P.S.S: Opera Romani a Volano, nasce come mia proposta partecipante ad un bando di concorso nazionale per un'opera d'arte destinata a quel luogo.
«È stata realizzata con un lavoro lunghissimo, più di 6 mesi, presso la carpenteria metallica Pacher di Levico Terme. Si tratta di una sorta di mappamondo di mani dal titolo Incontri composto da una sfera (diametro 2,00 m) in acciaio Inox e Cor-Ten che raggiunge il peso complessivo di 800 Kg.
«Come si nota in fotografia la scultura è collocata a livello terreno, nel parco antistante la struttura che la accoglie, come fosse una palla che rotoli nell'erba.»
 

Terra, olio su tela - 100x100 - 2009.

Che cosa simboleggiano le mani che avvolgono la sfera?
«Il tema trattato è quello dell’incontro e del dialogo culturale. Le mani simboleggiano innanzi a tutto le persone che quotidianamente vivono questi ambienti e le loro capacità comunicative, espressive, intellettive.
«Le mani sono il soggetto principe dello scambio interdisciplinare di cui si arricchisce e arricchirà giornalmente la residenza per anziani, ma vorrei, attraverso esse, alludere anche al rapporto tra passato e presente, tra tradizione e innovazione, tra antichi e nuovi valori che si trasmettono di persona in persona, di generazione in generazione».
  

Matteo Boato, Riga - Olio su tela -100x100 cm - 2018.

«Incontri», il titolo della scultura da poco inaugurata, rimanda al tema delle relazioni fra gli individui. Lei ritiene che la nostra società globale pur assicurando, da un lato, la protezione della libertà delle persone, dall’altro ne rimarchi l’isolamento? Siamo paradossalmente sempre più soli in un mondo dove le distanze sembrano accorciarsi grazie alla tecnologia?
«La tecnologia (sia le reti di comunicazione telefonica, internet, video; sia i mezzi di trasporto terrestri e aerei; sia la tecnologia di supporto lavorativo, produttivo, abitativo) nasce per alleviarci e rasserenarci la vita, e per favorire le relazioni sociali. In realtà le soluzioni che mano a mano l'uomo adotta hanno una doppia faccia.
«Si notano sempre più spesso coppie al tavolo di un caffè che passano il tempo non a discutere e comunicare tra di loro, ma al telefonino con qualcuno di non presente... Si vedono sovente famiglie intere al ristorante, ognuna con il suo apparecchio mobile a chattare con chicchessia o a viaggiare idealmente ed emotivamente dall'altra parte del globo senza gustarsi il momento sociale del ritrovo.
«Ma anche i mezzi di trasporto più sobri, scontati come l'auto, spesso accolgono individui che, soli, percorrono lunghe distanze ascoltando alla radio voci di persone che non hanno mai visto dal vivo e che non conoscono. Credo che la tecnologia non sia per nulla da demonizzare ma credo vada usata con moderazione e per fini determinati e chiari.
«Altrimenti la stessa finisce per fagocitare il nostro tempo, la nostra energia, la nostra vita, invitandoci alla creazione di un mondo virtuale dove in fin dei conti non siamo più noi stessi.
«Tornando agli smartphone, che a volte detesto, credo ci si renda subito conto non siano per nulla smart (intelligenti) come la definizione di marketing ci vorrebbe far credere, sono invece degli apparati che o dominiamo o permettono al mondo digitale e commerciale di dominarci.
«Detto questo, io apprezzo molto anche lo stare da solo, amo infatti il mio lavoro di pittore, di artista, proprio perché mi permette di vivere bene con me stesso, di essere introspettivo, di esprimermi direttamente senza filtri, in modo emotivo oltre che concettuale.
«Nel mio quotidiano la tecnologia digitale è la benvenuta, perché in realtà ha una funzione quasi esclusivamente di supporto comunicativo, mi permette come nessun altro mezzo di raggiungere un ampio pubblico.»
 

Cielo di Tetti - Olio su tela - 120x200 - 2002.

Sabato 1 giugno verrà inaugurata la mostra «Artisti a statuto speciale», la collettiva allestita a Palazzo delle Albere, curata dal critico e storico dell’arte Maurizio Scudiero. Che opere ha scelto per questa importante esposizione?
«Porterò quattro grandi tele, molto significative per il mio lavoro e dedicate a paesaggi urbani: Cielo di tetti (Pitigliano - Toscana), Pisa, Venezia e una veduta aerea di un borgo medioevale titolata semplicemente Terra
 
Lei è sempre molto attivo. A cosa sta lavorando, quali sono i suoi progetti futuri?
«Sto dedicandomi a un progetto pittorico (che si articola in 3 o 4 tele per ora, ma che potrebbe anche ampliarsi) che coinvolge ancora la tematica a me più cara: luoghi urbani e piazze. Dipingo con grande soddisfazione Bielefeld (Westfalia – Germania); in particolare la chiesa di St Jodokus e la sua bella piazza confinante.
«Nel contempo sto anche organizzando, con i dovuti tempi, più dilatati del previsto, e con il coinvolgimento dell'Ambasciata Italiana, una ampia esposizione di 47 olii su tela a Riga (Lettonia) con lavori dedicati interamente a questa città.»

Daniela Larentis – [email protected]