No la néva mèio quando la néva pèzo – Di Cornelio Galas
Vardé quel che era suzèst nel 1630, sempre a Milan. El l'ha scrit Giuseppe Ripamonti
«...Giuseppe Ripamonti, cattivo ragionatore, buon latinista, cronista inesatto, ma sincero espositore delle cose de' suoi tempi, ha scritto la storia della pestilenza accaduta al tempo appunto in cui viveva, [Milano, 1630, quella che si trova anche nei “Promessi Sposi” di Manzoni – NdR] e fa una vivissima compassione la sola idea dell'esterminio, a cui soggiacque la nostra patria in quel tempo. Si tratta niente meno che della distruzione di due terze parti de' cittadini.
La crudelissima pestilenza fu una delle più spietate che rammemori la storia. Alla distruzione fisica si accoppiarono i più terribili disastri morali. Ogni legame sociale si stracciò, niente era più in salvo, né le sostanze, né la vita...»
Inutilmente i medici più istruiti divulgavano le prove degli ammalati che avevano veduti morire di pestilenza, che la plebe sempre li ruguardava come autori di una malignamente immaginata diceria...
Convenne finalmente col crescere della pestilenza e moltiplicarsi giornalmente il numero de' morti, disingannare il popolo e persuaderlo che il malore purtroppo era nella città, e laddove i discorsi nessun effetto producevano, si dovettero far manifesti sopra gran carri gli ammassi de' cadaveri nudi aventi i bubboni venefici, e così, per le strade dell'affollata città girando questo spettacolo portò infine la convinzione negli animi, e forse propagò più estesamente la pestilenza...
«La pestilenza andava sempre più mietendo vittime umane, e si andava disputando sulla origine di quella anziché accorrervi al riparo...
Fra tanti delorj si perdevano i cittadini anche più distinti e gli stessi magistrati; e in vece d'intimare a ciascuno di restarsene a casa, destinando uomini probi ai quartieri diversi per somministrare quanto occorreva a ciascuna famiglia, rimedio il solo che possa impedire la comunicazione, e rimedio che adoperato da principio avrebbe forse con meno di cento uomini placata la pestilenza; in vece, dico, di tutto ciò, si è comandata con una mal'intesa pietà, una processione solenne, nella quale si radunarono tutti i ceti de' cittadini, e trasportando il corpo di S. Carlo per tutte le strade della città, ed esponendolo sull'altar-maggiore del duomo per più giorni alle preghiere dell'affollato popolo, prodigiosamente si comunicò la pestilenza alla città tutta, ove da quel momento si cominciarono a contare sino a novecento morti ogni giorno.
«In una parola, tutta la città immersa nella più luttuosa ignoranza si abbandonò ai più assurdi e atroci delirij; malissimo pensati furono i regolamenti, stranissime le opinioni regnanti, ogni legame sociale venne miseramente disciolto dal furore della superstiziosa credulità; una distruttrice anarchia desolò ogni cosa, per modo che le opinioni flagellarono assai più i miseri nostri maggiori di quello che facesse la fisica in quella luttuosissima epoca; si ricorse agli astrologi, agli esorcisti, alla inquisizione, alle torture, tutto diventò preda della pestilenza, della superstizione, del fanatismo e della rapina; cosicché la prescritta verità in nessun luogo poté palesarsi.
Cento quaranta mila cittadini Milanesi perirono scannati dalla ignoranza...»
Ho trovà ste parole su en libro che avevo comprà (varda ti) propri el 28 magio del 1994).
El s'entitola «Osservazioni sulla tortura» e l'è de Pietro Verri (1782-1797).
Se ne’ su Gùgle savré de pù su sto scritór che l'è stà anca avocato e politico.
El libro a dir la verità l'è en libret dei «tascabili economici Newton», quei che se podéva crompàr per pòch alora: mìli lìre, disente ala grossa zinquanta zentesimi de adès.
Difàti i gò ancora tuti su 'n scafàl de la me libreria. E ogni tant vago a rilézerli.
Cossa vòl dir tut sto sbrodolamento?
Gnente, làsso a voi, se ghe n'avé vòia neh, far el confront tra la peste de alora a Milam e 'l coronavirus de adès.
Soratut su come s'è zercà de envignergh'en fòra. Su come i stéva alora e su come stém ades...
Bona domenega co la mascherina semper drìo...