Repubblica Centrafricana, non più lacrime nella guerra civile
Un presidente in fuga, ribelli che seminano morte, truppe che difendono un governo fantasma: in Centrafrica tutto precipita – Di Miryam Scandola
È un pezzo sofferto quello che ho scritto sulla Repubblica Centrafricana, perché in quei luoghi ci sono stata pochi mesi fa. Sapere che i bambini che ho conosciuto (tra cui quello di cui parlo) sono in balia della guerra civile è straziante. Non so se l'articolo possa interessare i nostri lettori, ma avevo bisogno di scriverlo. Grazie, Miryam. |
Pamalà ha sei anni. O forse cinque. In Repubblica Centrafricana le anagrafi e i compleanni non servono. Per questo non esistono.
Sembra piccolo, quando lo stringi, ma poi senti, tra i vestiti e nei gesti, tutta la sua innocenza abusata. Tutta una strana malizia lo avvolge.
Ha appena una manciata di anni ma una storia che racconta di troppi dolori.
Nato e abbandonato da un padre che non esiste e da una madre che, stretta nei suoi deboli diciotto anni, scappa dai militari che la cercano da mesi per il furto di una bottiglia di candeggina, Pamalà si tiene abbracciato alla sorellina Ester, l'unico pezzetto di famiglia che non l'ha lasciato.
Vive, da quando è stato dichiarato dalla vita figlio di nessuno, in un piccolo orfanotrofio gestito dalle suore nel quartiere di Bimbo, vicino alla capitale Bangui.
È un minuscolo Eden di gioia quel centro per orfani. Dove giocano e ridono, insieme, figli di prostitute, di madri-bambine, di «streghe» rinchiuse in carcere per la loro magia nera.
Ma fuori, aldilà del cancello, che cerca di separare l'infanzia dal dolore, c'è il fango vero della miseria.
E da qualche giorno anche il sangue della guerra.
Fino a qualche mese fa la capitale era l'unico luogo sicuro del Paese. A nord, nei pressi di Birao, i ribelli Seleka, perlopiù ciadiani, sudanesi e qualche sparuto centrafricano, spadroneggiavano ma non si arrischiavano a raggiungere Bangui, roccaforte del governo.
Dal dicembre scorso hanno però iniziato ad avanzare pretese sul governo e a chiedere la destituzione del presidente Francois Bozizè, salito al potere nel 2003 con un colpo di stato.
Ma il mancato rispetto degli accordi di Libreville che prevedevano la fine del potere del presidente e la formazione di un governo che includesse le forze d'opposizione, ha mosso i ribelli che, nella giornata di ieri hanno oltrepassato per la prima volta la linea rossa, nelle vicinanze di Damara, a 70 km a nord della capitale.
Alcune agenzie riferiscono che l'avanzata del fronte Seleka ha raggiunto il palazzo presidenziale, nella furiosa ricerca di Bozizè, che nel frattempo ha scelto la fuga nel vicino Congo.
Secondo Misna, nel pomeriggio di domenica i rivoltosi sono stati fermati da un contingente sudafricano, inviato dal governo di Pretoria «per garantire la sicurezza nella capitale».
Ad est, per complicare le cose si aggiungono i saccheggi degli uomini ugandesi del LRA (Lord's Resistance Army) capitanati, si mormora, dal criminale di guerra Joseph Kony [il bastardo che arruolava i bambini soldato – Vedi nostro servizio].
Intanto il popolo della gente normale che vuole solo continuare a lottare contro la quotidiana povertà, da qualche tempo, ha iniziato a comprare insieme alla farina di manioca anche il machete, da tenere nella propria catapecchia, rigorosamente senza porta, per difendersi.
Mentre qualche truppa francese è arrivata in loco per assicurare l'espatrio dei connazionali e mentre Parigi chiede una riunione d'urgenza del Consiglio di sicurezza dell'Onu, i bimbi dell'orfanotrofio di Bangui, fanno le simulazioni per l'emergenza.
Si nascondono nel dormitorio ad ogni sparo.
I più piccoli, come Pamalà, piangono ancora. I più grandi non lo sanno più fare.
Miryam Scandola