Terrorismo islamico: ancora sangue anche in Kenia

In pochi giorni, si è passati dal Pakistan al Kenia, dalla Tunisia e allo Yemen: centinaia le vittime

Quando qualche mese fa abbiamo aperti la pagina «Terrorismo internazionale», siamo stati accusati di eccesso di zelo.
Purtroppo invece non passa giorno che quella pagina non riceva nuovi articoli sul sangue versato nel mondo per mano di terroristi islamici.
In pochi giorni, si è passati dal Pakistan al Kenia, dalla Tunisia e allo Yemen. Centinaia le vittime.
La scia di sangue si allunga. E visto che si tratta sempre di persone innocenti, sarebbe bene che il mondo occidentale cercasse di porre fine al massacro indegno di questo mondo.

 Attentato in Kenia 
Il 18 marzo al-Shabaab, gruppo jihadista somalo affiliato ad al-Qaeda dal 2012, ha sferrato un attacco contro un negozio di Wajir, città keniota a 100 km dal confine con la Somalia, e ha causato la morte di 4 persone.
L’attacco, ultimo di una lunghissima serie che prosegue da oltre 2 anni, è parte della strategia di rappresaglia di al-Shabaab contro il governo kenyota, reo dell’invio di truppe in Somalia per combattere i gruppi jihadisti e contribuire alla stabilizzazione del Paese. 
L’area nord-orientale del Kenya, in particolare lungo l’asse Garissa-Wajir-Mandera, è stata nell’ultimo anno teatro di frequenti incursioni da parte del gruppo somalo, l’ultima, la scorsa settimana, contro il convoglio che scortava Ali Roba, governatore della regione di Mandera.
 
La porosità del confine tra i due Stati facilita lo spostamento dei miliziani di al-Shabaab, le cui capacità operative, ideologiche e propagandistiche si sono consolidate ed estese ben al di là confini somali.
La facilità di spostamento tra aree geografiche adiacenti si somma all’incapacità del governo di Nairobi di esercitare un potere reale sul territorio e nel garantire misure di sicurezza adeguate, sostegno umanitario alla popolazione e combattere il sottosviluppo socio-economico, tutti fattori che agevolano il proselitismo di al-Shabaab.
 
 Attentato di Tunisi 
Le indagini non hanno ancora chiarito del tutto la dinamica dell’attentato nel centro di Tunisi.
Pare che un commando composto da almeno 5 persone, armate di fucili d’assalto e granate, abbia tentato di fare irruzione nella sede del Parlamento.
Respinti dall’apparato di sicurezza, hanno poi ripiegato sul vicino museo del Bardo, in quel momento affollato da turisti soprattutto europei. I terroristi hanno aperto il fuoco e si sono asserragliati all’interno prendendo in ostaggio alcune persone, mentre molti altri visitatori sono riusciti a scappare incolumi dall’edificio.
Le Forze Speciali tunisine, senza avviare alcuna trattativa, hanno fatto irruzione nel museo uccidendo due uomini del commando e arrestandone uno. Il bilancio definitivo è di 23 morti, fra cui 4 cittadini italiani, e decine di feriti.
 
Al momento sembra che non sia ancora pervenuta alcuna rivendicazione ufficiale dell’attentato. Secondo alcune indiscrezioni, i tre terroristi identificati potrebbero essere dei foreign fighters tornati in Tunisia dopo aver combattuto in Siria e in Iraq nelle fila dello Stato Islamico (IS). Ad ogni modo in Tunisia esistono anche altre formazioni terroristiche, sempre di ispirazione jihadista, come Ansar al-Sharia e la Brigata Uqba ibn Nafaa.
Dal 2011 a oggi si calcola che almeno 4.000 giovani tunisini abbiano lasciato il Paese per aderire a gruppi jihadisti, spinti dal forte disagio sociale che caratterizza le province meridionali della Tunisia e diverse aree costiere, oltre ad alcuni quartieri periferici della capitale. In tali ambienti attecchisce facilmente il radicalismo salafita, al cui interno trovano la propria base sociale anche gruppi di chiara matrice jihadista
 
Dalla fine del regime di Ben Ali, avvenuta nel gennaio 2011, il processo di stabilizzazione politica e di instaurazione di un regime democratico portato avanti dal Paese si è dovuto scontrare con frequenti attentati, spesso aventi come obiettivo l’Esercito o personalità politiche ed istituzionali di rilievo.
I fatti più gravi risalgono al 2013, quando una decina di militari caddero in un’imboscata sul monte Chaambi e furono assassinati Chokri Belaid e Mohamed Brahmi, due importanti esponenti di partiti di opposizione.
Nonostante il terrorismo jihadista sia un fenomeno endemico in Tunisia, i presupposti per un’azione come quella avvenuta al museo del Bardo possono essere rintracciati nella caotica situazione della vicina Libia, dove un alto numero di foreign fighters si sta concentrando soprattutto negli ultimi mesi e dove i gruppi jihadisti hanno la possibilità di gestire diversi campi di addestramento situati in diversi punti del Paese.