Matteo Boato, «Woman» – Di Daniela Larentis

La corposa serie di opere a china su tela, eseguita dall’artista trentino nell’ultimo periodo di pandemia, rinvia per lo più al movimento e alla danza – L’intervista

Matteo Boato, Woman - China su tela, 100x100 cm - 2020.
 
Matteo Boato, noto artista trentino apprezzato sia a livello nazionale che internazionale, durante la pandemia non ha snaturato le sue piazze; per lui rappresentano il centro privilegiato della relazione umana nel contesto urbano, non ha voluto svuotarle, le ha però animate, dando vita a un progetto di videoarte davvero interessante dal titolo «The life in one day», composto da cinque video che mostrano, attraverso i suoi quadri, la vita che scorre nell’arco temporale di un giorno.
Intorno alle sue piazze affollate, il sole compie una rotazione di 360°, rivelando ombre e luci che variano fino a tornare alla posizione iniziale. Per Boato la piazza è un luogo affascinante e misterioso.
Le sue piazze ritraggono luoghi di incontro e socializzazione, luoghi identitari, luoghi della memoria, spazi gremiti di cui abbiamo tutti una grande nostalgia.

Dipingerle vuote sarebbe stato, in un certo senso, un arrendersi di fronte alla tragedia che ci ha colpiti tutti, meglio ricordarle pullulare di vita. Del resto, siamo «animali sociali» come già notava Aristotele, legati da rapporti di interdipendenza.

La nostra sopravvivenza dipende dalle nostre interazioni, dalle attività che abbiamo in comune, è nella nostra stessa natura cooperare, così come è una necessità vivere una vita di relazione.
Questa riflessione potrà sembra scontata ma non lo è per nulla, le misure adottate per far fronte all’emergenza sanitaria in atto, tanto necessarie quanto dure, ci hanno messo di fronte alla nostra limitatezza: siamo nati per interagire, destinati a una vita di relazione autentica.
Ogni individuo, infatti, attraverso la sua rete di relazioni ha un certo potere sociale: isolati siamo fragili e vulnerabili.
 

Matteo Boato, «The life in one day – 3» ©
La vita in un giorno. Intorno ad una piazza gremita, dipinta da Matteo Boato, il sole compie una rotazione di 360° manifestando ombre, segni e particolari pittorici diversi mano a mano che le ore passano fino a tornare nella posizione iniziale. (Progetto di Matteo Boato, chitarra: Matteo Boato)
 
Ricordiamo, fra le innumerevoli mostre al suo attivo, un paio di esposizioni allestite nella nostra città: la personale organizzata nel 2017 al Muse, lo splendido museo delle scienze di Trento, e quella intitolata «Luoghi trentini» del 2016, con l’esposizione di una trentina di opere nella splendida location di Torre Mirana, senza dimenticare il percorso espositivo a cielo aperto di via Belenzani, predisposto nell’autunno del 2018 nel cuore cittadino, in occasione del Premio di Poesia Città di Trento; del 2019, citiamo anche la personale allestita presso la Casa della Cultura a Caldonazzo, Trento, curata da Waimer Perinelli, presidente del Centro d’Arte La Fonte.

Sue opere sono attualmente in esposizione a Palazzo Arzberg Freihaus, ad Arsio, in val di Non, Trento.
Se durante il confinamento, nel periodo iniziale della pandemia, Matteo Boato nei suoi lavori aveva continuato ad utilizzare il colore, in tempi più recenti si è dedicato allo studio della figura femminile, dando vita a opere monocolore eseguite a china su tela, dapprima molto spirituali, confluite poi in una serie che richiama la fisicità, legata al movimento e alla danza.
 

Realizzazione di quadro ad olio su tela per il MUSE - Museo delle Scienze di Trento.
Matteo Boato, Piazza Duomo di Trento; musica di J.S.Bach (Chaconne), alla chitarra M.Boato; video di Davide Dalpiaz, 2017. ©

 
Curiosi di saperne di più abbiamo avuto il piacere di rivolgergli alcune domande.
 
A cosa sta lavorando?
«Da alcuni mesi ho avuto modo di approfondire uno studio sul corpo umano femminile, eseguendo un ciclo di opere legato al movimento, alla danza; sono chine su tela bianca, pura, una tecnica che non ho mai usato in passato. I lavori sono in parte terminati, fino ad ora ho realizzato una quarantina di tele.
«Mi sono poi dedicato alla video-arte, realizzando un progetto dal titolo The life in one day, composto da cinque video che mostrano, attraverso i miei quadri, la vita che scorre nello spazio temporale di un giorno. Intorno alle mie piazze gremite, il sole compie una rotazione di 360° manifestando ombre, segni e particolari pittorici diversi mano a mano che le ore passano fino a tornare nella posizione iniziale.
«Li considero opere a sé, il quadro in questo caso è il mezzo. Io stesso ho musicato i video suonando alla chitarra. Per dare vita a questo progetto ho scelto dei quadri che ho dipinto in passato, prima del diffondersi della pandemia, in questo modo prendono vita, animandosi.»
 

Matteo Boato, Dance 1 - China su tela, 150x50 cm - 2021.
 
Può commentare la prima opera afferente al ciclo «Woman» di recente realizzazione?
«L’ho immaginata come una donna eterea, in un certo senso sembra scendere in terra, forse viene dallo spazio, io la collego allo spazio perché è molto spirituale, non fisica. La tecnica utilizzata per questa serie di opere delle dimensioni di un metro per un metro è china su tela, in qualche modo è legata a una mia necessità di pulizia interiore, emotiva, vissuta durante la pandemia.
«È un andare oltre la fisicità, durante l’emergenza sanitaria mi sono trovato, come tutti, isolato, in difficoltà, in quanto non era possibile lavorare spostandomi, partecipare a mostre, viaggiare, rapportarmi agli altri in maniera usuale. Si fa veramente fatica a vivere serenamente in questo periodo, io soffro molto per questa condizione di isolamento forzato.
«Le opere di questo ciclo sono poi confluite in una serie di opere più fisiche, in figure più terrene legate al movimento e alla danza, eseguite con la medesima tecnica. Potrei dire che questa donna spirituale è scesa posando i piedi sulla terra e incarnando un’idea di donna armoniosa ma più fisica.»
 
Cosa le manca di più della vita che conduceva prima della pandemia?
«Come dicevo, durante la pandemia mi sono sentito isolato, non ho potuto esprimermi liberamente ma solo in modo limitato, non potendo fare mostre, spostarmi. Mi è mancato il contatto umano diretto, le relazioni sono tutte filtrate, c’è un distanziamento fisico e mentale a 360° che certo non aiuta.»
 

Matteo Boato, Dance 2 - China su tela, 150x50 cm - 2021.
 
Lei viaggiava spesso oltreconfine, ha in previsione qualche mostra all’estero una volta finita l’emergenza sanitaria in atto?
«Avevo a suo tempo posticipato per motivi non legati alla pandemia la data di una mostra a Riga, in Lettonia. L’ultima mostra a Riga risale al 2018, un ciclo corposo di lavori, una cinquantina di opere legate a questa città davvero meravigliosa. Spero di poter riprendere presto questo progetto e tutti gli altri che avevo in corso. Chiaramente la pandemia ha sconvolto tutti i piani…»
 
Secondo lei il processo creativo quanto è legato al concetto di libertà? Formulando la domanda in altro modo le vorrei chiedere se, avendo avuto più tempo a disposizione, la sua creatività ha trovato terreno fertile per potersi esprimere al meglio nel periodo della pandemia…
«Io se non mi sento libero, almeno con il pensiero, non riesco a dipingere, non mi sento cioè libero di scegliere i soggetti, i colori, le tematiche, di muovermi nello spazio per prendere spunto dalla realtà che mi circonda.
«Le misure che sono state adottate per così lungo tempo, al fine di fronteggiare l’emergenza sanitaria, hanno ucciso qualsiasi spirito avventuriero. Un anno e due mesi sono lunghi, una mostra all’estero non si organizza in poco tempo, è un investimento a lungo termine, come altri eventi richiedono una lunga programmazione. Non a caso le opere che ho realizzato durante questo ultimo periodo non sono colorate e hanno a che vedere con la spiritualità da una parte e dall’altra con la necessità di armonia e di movimento.
«Il processo creativo può esplodere se si lavora sulla situazione compressa, però a lungo andare logora. Il processo creativo è, almeno nel mio caso, un eccesso di energia che in qualche forma viene espresso, raccontato, vissuto artisticamente attraverso il lavoro. Se l’energia ti viene tolta, viene bloccata, chiaro che anche il processo creativo a lungo andare può risentirne…»
 

Matteo Boato, Dance 3 - China su tela, 150x50 cm - 2021.
 
Le sue piazze non si sono svuotate con la pandemia…
«No. Io non riuscivo ad accettare la piazza vuota… sarebbe stato troppo doloroso per me svuotarle. Il motivo principale per cui io lavoro è poter esprimere artisticamente l’energia che circola, la mia arte è un’espressione positiva e di libertà, deriva da ciò la mia spinta creativa.
«Non a caso le donne della serie di cui ho parlato prima sono in bianco e nero, nel realizzarle ho fatto appello a tutta la spiritualità possibile.»
 
Oggi la vita del pianeta è in pericolo, lei si è sempre dimostrato sensibile al tema dell’ambiente: sta lavorando ancora al ciclo dedicato agli alberi?
«Quel ciclo è finito. Qualora lavorassi di nuovo sulla tematica legata all’ambiente e al nostro pianeta, lavorerei molto volentieri sulla montagna. Sono suggestioni che non ho ancora del tutto concretizzato, ho solo eseguito degli schizzi. Faccio fatica in questo momento ad essere in questo senso ottimista; la pandemia avrebbe potuto provocare un effetto collaterale positivo in termini di riduzione di inquinamento ambientale grazie alla diminuzione degli spostamenti delle persone, ciò non è avvenuto.
«Pensiamo invece allo smaltimento delle mascherine, dei bicchierini di plastica delle bevande, pensiamo alle protezioni in plastica ecc., potrei fare molti altri esempi, non c’è stato in realtà questo respiro della terra, non c’è stato un vero cambiamento, anzi, prima le persone andavano in giro pedalando e ora siamo invasi da biciclette con pedalata assistita e monopattini elettrici.
«C’è un film d’animazione co-prodotto dalla Walt Disney Pictures, è intitolato WALL.E, che rende bene l’idea. È ambientato nel futuro e il protagonista è un robottino che resta da solo a pulire una New York piena di spazzatura, mentre tutti gli abitanti sono imbarcati sulla nave spaziale a mangiare, bere, ingozzarsi di cibo. Ho l’impressione che andremo verso quella direzione, verso un futuro in cui la gente non sarà più nemmeno capace di camminare...»
 
Progetti futuri?
«Mi piacerebbe esporre in Francia, in Spagna e a Bruxelles, dove prima della pandemia avevo delle possibilità concrete, poi si è tutto fermato.
«Speriamo di poter ripartire, lasciandoci presto tutto alle spalle…»

Daniela Larentis – [email protected]