«EX POST», alla Galleria Civica di Trento – Di Daniela Larentis

La collettiva curata da Gabriele Lorenzoni segue la presentazione dei quaderni ADAC, monografie dedicate ad artisti trentini – Intervista a Luca Coser

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«Ex post» è la mostra che segue la presentazione della seconda serie dei Quaderni ADAC dedicata ad artisti trentini, da poco inaugurata presso la Galleria Civica, nel cuore della città di Trento.
Curata da Gabriele Lorenzoni, l’esposizione sarà visitabile fino al 3 marzo 2019.
Negli anni Novanta Diego Mazzonelli dà alle stampe 30 monografie; oggi, a distanza di vent’anni Gabriele Lorenzoni e Lodovico Schiera, responsabile dei progetti editoriali del Mart, rinnovano e rilanciano quelle preziose pubblicazioni: ogni anno l’ADAC pubblicherà due Quaderni per la redazione dei quali verranno coinvolti storici e critici dell’arte di fama nazionale.
Il rilancio della collana parte con ben quattro Quaderni, dedicati a Laurina Paperina (1980), con un saggio di Chiara Agnello; Rolando Tessadri (1968) con testo critico di Matteo Galbiati; Luca Coser (1965) per il quale ha scritto Carlo Sala; Christian Fogarolli (1983) curato da Lorenzo Benedetti.
 
Il percorso espositivo di Via Belenzani si divide in quattro tappe, una per ogni artista invitato dal curatore a interpretare gli spazi della Galleria, la cui responsabile è Margherita de Pilati, con opere recenti, inedite o «site-specific».
Partendo da Luca Coser, l’artista presenta sei grandi tele realizzate tra il 2016 e il 2018 e un’installazione site-specific in cui si accumula una vera e propria stratigrafia della produzione grafica degli ultimi quindici anni.
Scrive Carlo Sala: «La ricerca pittorica portata avanti da Luca Coser nell’ultimo decennio si è caratterizzata per il costante intrecciarsi dei nodi della memoria personale e di quella collettiva, trasferendo sulla tela le suggestioni tratte da una pluralità di fonti (dal cinema alla letteratura), di umori e sensazioni che stanno alla base di un microcosmo visivo fondato su sollecitazioni dissonanti, in apparenza persino contraddittorie, ma che così trasfigurate trovano un loro pieno equilibrio nella costruzione globale dell’opera».
 

Rolando Tessadri, Tessitura, 2017 – Tecnica mista su tela, 140x160cm.
 
Seguono tre sequenze delle «Tessiture» di Rolando Tessadri che dialogano con l’architettura della Galleria, espandendone i limiti e ragionando sul concetto di angolo e di fuga prospettica.
Nella monografia a lui dedicata, Matteo Galbiati sostiene: «Tessadri con la sua vocalità astratta, fatta di una risoluzione formale, che si fa bastare solo le tracce dell’inizio minimo dell’esercizio geometrico e che ricava un fitto ragionare riflessivo sul valore misterico, quasi sciamanico, del colore, non fa altro che rinnovare l’esigenza di guardare e osservare nel profondo del sensibile. Ogni sua opera ha la primaria urgenza di intercettare l’attenzione di chi l’osserva per ripristinare nei suoi occhi la deducibile intuizione di leggere, oltre la superficie, l’anima profonda del pensiero».
 
«Ex post» prosegue al piano interrato con le Animazioni video e le installazioni abitate dagli antieroi di fantasia di Laurina Paperina, tra i quali «Shitman» e le star dell’arte contemporanea che l’artista celebra e dissacra.
Chiara Agnello spiega che «Laurina Paperina racconta tutto con un’attitudine irriverente e immagini nitide, nel tentativo di trovare un linguaggio il più preciso possibile come lessico e come resa delle sfumature del pensiero e dell’immaginazione (I. Calvino).
«Le sue storie sono ridotte all’osso e vivono in un rimando continuo fra realtà e finzione, fra l’universale e il personale. Critica, trasla, traduce segni e metafore, per mettere a nudo e ridicolizzare una contemporaneità fragile e contraddittoria.»
 

Inaugurazione della mostra.
 
La mostra si conclude con due sculture e due interventi site-specific di Christian Fogarolli che proseguono l’indagine degli ultimi anni sui concetti di alienazione e disagio mentale e fisico. L’artista aggredisce fisicamente le pareti della Galleria e propone al visitatore l’idea di una realtà oltre la realtà tangibile, ben descritta da Lorenzo Benedetti.
«La caratteristica peculiare del processo operativo e ispiratorio di Christian Fogarolli è quella di sapersi confrontare con documentazione, individui e storie reali, presenti o passate, che lo obbligano a passare continuamente da un mondo conturbante a uno razionale e lucido.»
Si tratta, a nostro giudizio, di una bella esposizione che vale la pena visitare.
Affascinati in particolare dalle opere di Luca Coser, artista di spicco nel panorama contemporaneo nonché docente presso l’Accademia di Belle Arti di Brera, abbiamo colto l’occasione per porgergli alcune domande.

La personale del 2000 presso la Galleria Civica di Trento, curata dell’allora direttrice Vittoria Coen, era incentrata su un ciclo di disegni che prendevano spunto dal primo film sonoro di Fritz Lang, il celebre «M, il mostro di Düsseldorf», più altri ispirati a film come «Viale del tramonto», firmato da quello che fu considerato l’erede di Lubitsch, il regista viennese Billy Wilder, e «L’Avventura» di Michelangelo Antonioni, riconducibile al cinema d’autore italiano. Qual era l’idea veicolata attraverso questo ciclo di quasi cinquecento opere su carta? Che cosa le univa idealmente?
«Tutto è iniziato casualmente. Durante un viaggio a Parigi ho acquistato un vecchio libro di foto di scena del film di Lang, film che conoscevo bene e che da ragazzino mi aveva lasciato atterrito. La visione delle immagini ha rivelato a me stesso qualcosa che stava sepolto nel profondo, una forte emozione, ho quindi deciso di disegnarle.
«Questa serie non si è esaurita con il film di Lang ma è proseguita con altri due, in una ideale trilogia. Il risultato finale ha coinciso con una sorta di autoritratto al femminile, lì dove i disegni fungono da maschera. Parlo di questi film per parlare di me stesso.»
 

Christian Fogarolli, Stone of Madness, Leucotomia, 2017 (dettaglio), pietre, oro, acciaio, olio naturale, vetro, 196 x 30.
 
Lei è da sempre attratto dal mondo del cinema, un suo ciclo di opere realizzate dal 2009 al 2011 rimanda al film «L’amico americano» firmato da uno che fu tra gli esponenti del Nuovo Cinema Tedesco, Wim Wenders, un regista i cui lavori appaiono contrassegnati da una fascinazione per la cultura americana. Qual era il fil rouge dell’intera raccolta?
«Il senso di disegnare le immagini di L'amico americano è lo stesso della trilogia Untitled Love Story di cui abbiamo parlato prima, ritrarmi attraverso immagini che divengono maschera, non sono io, sono un espediente per parlare di me stesso.
«Di questo film mi ha interessato la trama e un certo mood, quella strana luce malata, una malinconia tesa e drammatica che in qualche modo si sovrapponeva alla mia vita di quel periodo, alla paura della morte provata alla nascita di mio figlio. Wenders c’entra accidentalmente, se il film lo avesse fatto un altro sarebbe andato bene comunque.
«È stato scritto più volte di un mio omaggio a Wenders, niente di più sbagliato. Il film, come ho già detto, per me è semplicemente una maschera. Nient’altro.»
 
Gli ultimi anni della sua produzione artistica sono dedicati a opere su tela di grandi dimensioni come «Nascondiglio» o «Analisi del taglio dolce», del 2017, e dipinti come «Idea dell’ovale» e «Indolente», del 2018, in cui per esempio il bianco sembra avere un preciso significato. Come è avvenuto, in breve, il processo evolutivo che lo ha condotto fino ai giorni nostri?
«Sono abbastanza sicuro rispetto ai procedimenti tecnici, non lo sono altrettanto riguardo alle motivazioni che mi spingono ad affrontare formalmente una tela. Credo che tutto abbia a che fare con un'idea di ritrosia, di introversione. Amo le immagini che si allontanano, che si nascondono. E poi c'è la questione della maschera, che accompagna bene questo nascondersi. Il bianco nasce in me e nelle mie tele come un'urgenza, il desiderio di tornare sui propri passi, di rigenerare uno spazio riportandolo al silenzio, al vuoto... per riempire di questa urgenza i frammenti di immagine ancora visibili.»
 

Laurina Paperina, End of the Show, 2017, tecnica mista su tela, 125 x 145 cm.
 
A «Ex post» sono esposte alcune sue opere recenti e un’installazione «site-specific»: come sono state realizzate e che cosa rappresentano? Potrebbe condividere con noi un suo pensiero che sintetizzi ciò che ha voluto comunicare?
«In Ex Post la monografia parla degli ultimi miei 10 anni, le tele in mostra degli ultimi tre. Abbiamo optato per un'esposizione secca, diretta, pochi lavori e di grandi dimensioni.
«Anche in queste opere la poetica è la stessa di sempre, la definizione di immagini strappate alla mia memoria lì dove questa coincide a tratti con quella collettiva.
«Addossate a queste, una lenta stratificazione di elementi di disturbo e un moltiplicarsi di diversi piani di lettura, che finiscono quasi sempre per annegare in un bianco pudico, desideroso di rigettare idealmente l'osceno lì dove deve: nascosto allo sguardo.»
 
Come definirebbe la sua arte?
«In questi giorni penso al titolo di un racconto letterario di un grande del '900: Un posto pulito, illuminato bene. Mi piacerebbe fosse così».
 
Ha qualche sogno nel cassetto?
«Non smettere di crescere e invecchiare con il mio lavoro, affinché la morte, quando si presenterà, possa trovarmi vivo».
 
Daniela Larentis – [email protected]
 
Luca Coser, Applause, 2018 tecnica mista su lino, 190 x 180 cm.