Il rapporto Censis/ 3 – Come si è trasformato l'«Italian style»
Nell'Italia dello «zero virgola» continua a gonfiarsi la bolla del risparmio cautelativo e non si riaccende la propensione al rischio
L'onda montante del turismo polimorfo
Il settore turistico ha registrato un costante incremento dei flussi anche negli anni della crisi.
Dal 2000 il numero complessivo di arrivi nel territorio italiano è aumentato del 33,3%, raggiungendo nel 2014 la cifra record di 106,7 milioni, con 378,2 milioni di presenze.
L'incremento maggiore riguarda gli arrivi di stranieri: sono stati 51,7 milioni nell'ultimo anno (+47,2% tra il 2000 e il 2014) e pesano ormai per il 48,4% del totale.
Ma anche i turisti italiani sono aumentati del 22,4% nel periodo: sono stati 55 milioni nell'ultimo anno.
E i dati più recenti disponibili, riferiti al primo semestre del 2015, confermano il trend di crescita: +1,8% di arrivi complessivi e +3,2% di turisti stranieri rispetto allo stesso semestre dell'anno precedente.
La platea degli estimatori del nostro Paese è sempre più globalizzata. Dal 2010 a oggi sono i cinesi (+137,9%), i coreani (+70,8%), i russi (+56,6%) e i brasiliani (+31,4%) gli stranieri per i quali si registrano le più forti variazioni positive.
E il turismo diventa diffusivo: gli arrivi nelle località marine (+17,2% nel triennio 2010-2013) e montane (+15,2%) ora crescono più di quelli nelle città di interesse storico e artistico (+13,2%), tradizionalmente mete prioritarie per gli stranieri soggiornanti in Italia.
Dal lato dell'offerta, nel periodo 2010-2014 gli arrivi nelle strutture extralberghiere (+23,8%) sono aumentati molto più di quelli nelle strutture alberghiere (+16,5%): +42,6% nei bed & breakfast, +33,2% negli agriturismi, +27,9% negli alloggi in affitto.
E poi c'è il caso Roma: il Colosseo nel 2014 ha avuto 6,2 milioni di visitatori (erano 2,5 milioni nel 2000: +148%), i Musei Vaticani 5,8 milioni di visitatori (3 milioni nel 2000: +93%), Castel Sant'Angelo 1 milione di visitatori (590.000 nel 2000: +69%).
La ritrovata fiducia che premia i beni durevoli
Auto ed elettrodomestici. Il ciclo declinante del consumo di beni durevoli parte dal 2007 e si protrae fino al 2013, poi registra una ripartenza: dalla seconda metà del 2014 e per tutto il 2015 sono proprio i beni durevoli a trainare la ripresa dei consumi familiari.
Le analisi previsionali presentano uno scenario incoraggiante. Tra coloro che in famiglia assumono la responsabilità degli acquisti principali, la quota di chi dichiara di avere fiducia nel futuro (il 39,8%) supera quella di chi non vede segnali positivi (il 22,4%), mentre la parte restante (il 37,8%) è ancora incerta.
Questa ritrovata fiducia si riflette sulle intenzioni di acquisto: il 5,7% delle famiglie (più del doppio rispetto all'anno scorso) ha intenzione di comprare un'auto nuova (se andrà così, si avranno nel 2016 circa 1,5 milioni di immatricolazioni, come non si vedeva dal 2008), il 5,7% nuovi mobili per la casa, l'11,2% nuovi elettrodomestici (quasi 3 milioni di famiglie), il 9,2% ha intenzione di ristrutturare l'immobile. Sono potenzialità nei consumi da scongelare.
Verso nuovi stili di consumo digitali e relazionali
Il Censis stima in 15 milioni gli italiani che fanno acquisti su internet, 2,7 milioni hanno comprato prodotti alimentari in rete negli ultimi dodici mesi e l'home banking è praticato dal 46,2% degli utenti del web. E il successo della sharing economy rende ancora più evidente i nuovi stili di consumo. Nell'ultimo anno il 4% degli italiani (circa 2 milioni) ha utilizzato il car sharing, ma tra i giovani la percentuale sale all'8,4%.
Il cambio di look dei piani terra delle città
I cambiamenti più diffusi nelle città in questi ultimi anni vanno ricercati nei «piani terra».
Tra il 2009 e il 2015 si osserva una riduzione dell'11,2% dei negozi di ferramenta, dell'11% dei negozi di abbigliamento, del 10,8% delle librerie, del 10,5% delle macellerie, del 9,9% dei negozi di calzature, dell'8,7% dei negozi di articoli sportivi.
Crescono invece del 37% i take away, del 15,5% i ristoranti, del 10% i bar, dell'8,2% le gelaterie e pasticcerie.
Ciò dipende da tre ragioni: il ridotto capitale necessario all'avvio di queste attività, la pervasività del cibo nella nostra vita quotidiana, l'iniziativa di molti stranieri attivi nel commercio.