Catturati in Sardegna 18 terroristi di Al Qaeda

Tra gli arrestati anche gli autori della strage del mercato di Peshawar, in Pakistan. Nelle indagini, coinvolte le Digos di 7 province italiane

L'arresto dell'Imam a Cagliari. Nell'immagine in basso, il reparti operativi.
 
È in corso una vasta operazione antiterrorismo contro una organizzazione fondamentalista presente in Italia, con base in Sardegna e presente in 7 regioni, legata a Al Qaeda.
Dalle prime ore del mattino gli uomini dell'antiterrorismo della Polizia di Stato hanno effettuato 18 arresti.
Tra loro ci sarebbero gli autori di numerosi e sanguinari atti di terrorismo e sabotaggio in Pakistan, compresa la strage del mercato di Peshawar, avvenuta nell'ottobre del 2009 al Meena Bazar, nella quale vennero uccise più di cento persone.
Le indagini, dirette dalla Procura distrettuale di Cagliari e coordinata dal Servizio centrale antiterrorismo (Sca) della direzione centrale della Polizia di Prevenzione, stanno coinvolgendo le Digos di sette province italiane.
Le ordinanze di custodia sono a carico di appartenenti a un'organizzazione dedita a attività criminali transazionali, che si ispirava a Al Qaeda e alle altre formazioni di matrice radicale, sposando la lotta armata contro l'Occidente e il progetto di insurrezione contro l'attuale governo in Pakistan.
 
Dall’indagine della Digos di Sassari, che ha permesso di sgominare il network fondamentalista, sono emerse intercettazioni dalle quali risulta che due membri dell’organizzazione hanno fatto parte della rete di fiancheggiatori che in Pakistan proteggevano lo sceicco Osama Bin Laden.
L’attività investigativa ha permesso di riscontrare come l’organizzazione provvedeva a alimentare la rete criminale destinando una parte del proprio impegno al fenomeno dell’introduzione illegale sul territorio nazionale di cittadini pakistani o afghani che, in taluni casi, venivano anche destinati verso paesi del nord Europa.
Per eludere la normativa che disciplina l’ingresso o la permanenza sul territorio nazionale di cittadini extracomunitari, gli indagati utilizzavano sistemi semplici e collaudati.
In alcuni casi facevano ricorso a contratti di lavoro con imprenditori compiacenti in modo da poter ottenere i visti di ingresso. In altri casi percorrevano la via dell’asilo politico facendo passare gli interessati, attraverso documenti falsi e attestazioni fraudolente, per vittime di persecuzioni etniche o religiose.
L’organizzazione forniva supporto logistico e finanziario ai clandestini, assicurando loro patrocinio verso i competenti uffici immigrazione, istruzioni sulle dichiarazioni da rendere per ottenere l’asilo politico, apparecchi telefonici e sim, contatti personali.