Cagol: «Affrontiamo gli elementi di debolezza e criticità»
Nota della Segreteria Fim-Cisl Provinciale su industria e lavoro in Trentino
È stato pubblicato nei giorni scorsi il Rapporto annuale dell’economia delle Provincie autonome di Trento e Bolzano per i 2017 che evidenzia, nel positivo quadro economico generale a livello nazionale, il ritorno alla crescita del PIL provinciale dopo la sostanziale stagnazione degli ultimi 6 anni e la leggera contrazione nel 2016.
A guidare la crescita sono stati, in particolare, i settori dei servizi e dell’industria, specie quella manifatturiera che anche nei primi mesi del 2018 sta confermando e consolidando le ottime prestazioni, sia rispetto al mercato interno che all’export.
Migliora anche la redditività, nonostante condizioni di accesso al credito bancario molto differenziate tra le imprese, grazie alla progressiva riduzione degli oneri finanziari (cresciuti molto negli anni successivi alla crisi del 2008/9) e aumentano gli investimenti, ben visibili anche nel corso di questa prima parte del 2018 in molte industrie trentine.
Tutto bene quindi? Non proprio, in un quadro certamente positivo restano elementi di debolezza e criticità da affrontare.
Se da un lato la produttività del lavoro nel comparto industriale ha registrato un significativo aumento nel 2017, (a nostro giudizio più per effetto di una miglior saturazione delle produzioni, che ad un miglioramento qualitativo del processo produttivo), la dinamica generale della produttività del lavoro in Trentino stenta a tenere il passo di quella dell’Alto Adige, cresciuta tra il 2012 e il 2017 di circa il doppio rispetto alla nostra.
Anche la situazione del mercato del lavoro, per quanto in netto e generale miglioramento rispetto al calo occupazionale registrato soprattutto a partire dal 2012, presenta elementi di criticità.
In particolare continuiamo ad osservare nel comparto industriale il vasto utilizzo del lavoro temporaneo tramite agenzia, uno strumento certamente utile per compensare brevi picchi di lavoro durante le fasi di instabilità dei mercati, ma che ormai è diventato il canale ordinario di assunzione, anche in condizioni di domanda consolidata, che può durare anche per diversi anni all’interno della stessa azienda utilizzatrice.
Contratti più stabili non significa solamente maggiori diritti e tutele per i lavoratori, cosa che giustamente i sindacati rivendicano e altrettanto legittimamente le aziende (nei limiti imposti dalle leggi e dai contratti) cercano di arginare), ma sono anche il presupposto di percorsi di sviluppo professionale essenziali per vincere la partita dell’innovazione tecnologica e della competitività.
Il famigerato investimento nel capitale umano, chiesto dal sindacato e spesso celebrato (ma non sempre praticato) anche dalle imprese, non può che passare anche dall’instaurazione di rapporti di fiducia, di reciproco investimento e di fidelizzazione tra aziende e lavoratori e questo non può certamente avvenire perpetuando «contratti di affitto di manodopera» (questo di fatto sono i contratti di somministrazione) che si ripetono per anni e a volte con cadenza settimanale.
Solo rapporti duraturi creano le condizioni per percorsi di qualificazione adeguati alle sfide di qualità e professionalità cui sono oggi chiamate le maestranze in una moderna fabbrica 4.0, nei quali la formazione continua rappresenta un elemento centrale su cui ancora viene posta scarsa attenzione, basti vedere quanto su questa voce si investe in Italia rispetto a paesi come la Germania o la Francia. Guai a lasciare soli i lavoratori più vulnerabili su questi temi, per troppo tempo la formazione continua è stata riservata a dirigenti e quadri o utilizzata per corsi a catalogo per adempiere agli obblighi di legge o, peggio, per giustificare l’utilizzo delle risorse dei fondi interprofessionali.
Su questo tema l’introduzione del principio del diritto soggettivo alla formazione per tutti i lavoratori, fortemente voluto dalla FIM CISL nel vigente contratto nazionale dei metalmeccanici, rappresenta un importante e decisivo punto di svolta che necessità però di un altrettanto decisivo cambio culturale nell’approccio alla formazione come fattore di competitività delle imprese da un lato e di tutela del lavoro dall’altro. Molto resta ancora da fare ma la strada è segnata e lo strumento è pronto ad essere utilizzato.
Un ultimo commento su una delle frequenti lamentele da parte delle imprese: la disponibilità di manodopera, a loro giudizio inspiegabilmente carente. A dirlo sono le stesse imprese che pochi anni fa lasciavano a casa migliaia di operai (300.000 posti di lavoro persi in Italia nell’industria tra il 2008 e il 2013) e che oggi propongono contratti a tempo con paghe, anche a forza lavoro professionalizzata, più basse di qualunque altro paese sviluppato con cui l’Italia meriti di essere confrontata.
Su questo tema però, molto delicato, è bene restare lontani da semplificazioni e polemiche fini a se stesse, rifiutando gli stereotipi dei giovani bamboccioni o dei lavoratori assistiti piuttosto che di padroni sfruttatori.
Il mondo del lavoro è vario e sfaccettato, comprende anche questi estremi ma nel complesso assomiglia molto più ad un habitat in cui coesistono diversi interessi contrapposti ed alcune finalità condivise.
Il tema del difficile rapporto tra mondo dell’istruzione e del lavoro è uno di quelli su cui di dovrebbe giocare di squadra, il Trentino sta a mio giudizio lavorando da anni nella giusta direzione, sia a livello di istruzione secondaria (con istituti tecnici e professionali di qualità) che di universitaria, grazie anche agli investimenti di lungo termine fatti nel Polo della Meccatronica di Rovereto e nel Progetto Manifattura di Borgo Sacco, oltre che all’importante network che si sta realizzando tra atenei, fondazioni di ricerca e imprese del territorio.
Ciò detto le imprese non devono però aspettarsi, ne possono pretendere, che la scuola diventi un bancomat di tecnici fatti e finiti pronti all’uso da spendere nei periodi buoni del mercato.
La formazione oggi, e ancor più nel futuro, diventerà un percorso che accompagnerà il lavoratore in tutto il corso della sua vita professionale ed una parte rilevante di questo percorso si svolgerà nelle imprese e sarà svolto dalle imprese.
Ad ognuno quindi la sua parte, c’è «lavoro» per tutti e anche per il sindacato che su questa partita è chiamato a giocare un ruolo essenziale di educatore sociale, nel promuovere e veicolare la centralità della formazione.
Paolo Cagol