Storie di donne, letteratura di genere/ 278 – Di Luciana Grillo
Waltraud Mittich, «Micòl» – La storia di una bella bionda, sola in un mondo che ha dimenticato cosa sia l’umanità
Titolo: Micòl
Autrice: Waltraud Mittich
Traduttori: Giovanna Ianeselli, Stefano Zangrando
Editore: Alpha & Beta 2017
Pagine: 123, Brossura
Prezzo di copertina: €12
Micòl è il nome di donna che immediatamente fa pensare a Giorgio Bassani, al suo romanzo «Il Giardino dei Finzi-Contini», a Ferrara, alla comunità ebraica, ai giovani vestiti di bianco che giocavano a tennis o andavano in bicicletta, prima che le leggi razziali li disperdessero per sempre.
L’autrice di questo piccolo libro si autoracconta: «Io sono la narratrice della storia che sta per essere raccontata… È il racconto intorno a un libro che ha accompagnato quella ragazza, quella donna».
Dunque, Mittich parte dal libro, cita il film di De Sica e l’attrice che interpretò il ruolo di Micòl - Dominique Sanda - e segue le vicende che accompagnarono la famiglia, i Finzi-Contini, «ricchi e distinti ebrei italiani» e soprattutto la bellissima Micòl per la quale «il passato è un tempo che non svanisce… per noi più del presente conta il passato, più del possesso il ricordarsene».
Secondo l’autrice, Micòl ritorna a Ferrara nel 1946, poi va a Venezia, ha voglia di lasciare l’Italia come tanti altri ebrei perché «diffidava di uno Stato che per sei anni ne aveva portato avanti la persecuzione» mentre un editore come Einaudi si rifiutava «di pubblicare Se questo è un uomo di Primo Levi».
E va a Londra, studia Emily Dickinson, torna in Italia a sessant’anni per partecipare a un grande incontro fra donne in una villa veneta, sempre avendo nella mente e nel cuore il passato: «commemoro i morti, ne serbo la memoria».
A volte la narratrice sembra prendere coraggio, ammette che la lettura de Il giardino dei Finzi-Contini ha influenzato la sua vita: «Essere toccati nel profondo dagli orrori dell’Olocausto attraverso un singolo destino è un’esperienza che non si dimentica», vorrebbe che una regista forte come Emma Dante «mettesse in scena la vita e la morte di Micòl».
Intanto Micòl viaggia, va a Vukovar, vede bambini abbandonati e forse «fu questo il suo più grande dolore», poi per un anno si sposta nell’ India meridionale per mettersi «sulle tracce dei grandi, ma non grandiosi, declini degli europei… sulle tracce di mia madre, degli Herrera, di origine sefardita occidentale. Una madre ortodossa in tutto».
La narratrice continua a immaginare, vede Micòl come una «tessitrice di relazioni… attivista di pace» che viaggia instancabilmente, dalla Svizzera alla Russia, quando ha ormai più di cinquanta anni e ciocche bianche fra i capelli biondi e si impegna per la CGIL, «il più importante sindacato italiano negli anni settanta», apprezzando l’opera di Enrico Berlinguer, «la cui arte di tacere seduce le persone… il suo segreto dimora nelle forme cave del suo tacere. Chi potrebbe saperlo meglio di lei, cresciuta nel silenzio del giardino, sopravvissuta ai lager e al silenzio che li avvolgeva?»
Pur avendo vissuto in tanti diversi Paesi ed avendo imparato tante lingue, secondo la narratrice Micòl «per tutta la sua vita sogna nella sua madrelingua, l’italiano… sta in ascolto della propria lingua madre, e questo è sorprendente ma coerente, nelle canzonette dei cantautori e ancor più delle cantautrici. Si rifugia chiaramente nelle loro parole, si abbandona a una dolce mollezza, ma restando sempre in agguato».
Micòl vive esperienze diverse, anche rapporti omosessuali con la Volpe, ma «il clima politico e sociale rendeva loro difficile vivere liberamente la relazione. Ciò nonostante per un certo periodo furono felici… Ma Micòl, ritornata dai campi di sterminio… viva tra i vivi… si era portata dietro la paura…».
Mittich ci dice che Micòl morì a ottant’anni a Vukovar, ma ci offre anche altre possibilità, rivede una Micòl cinquantenne nella Ferrara degli anni sessanta, sola dopo la morte di genitori e fratello, e una trentacinquenne che gioca a tennis… sola, sempre sola.
La narratrice mi ha ricordato l’uomo originale e sognatore delle Notti bianche, o anche l’impiegato del piccolo aeroporto che Franco Stelzer descrive in Cosa diremo agli angeli, l’uomo che vive guardando le vite degli altri, immaginando parole e movimenti…
Micòl è più grande di tutti, bella bionda e sola in un mondo che ha dimenticato cosa fosse l’umanità.
Luciana Grillo – [email protected]
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