«L’alpino Miotto è stato ucciso in un combattimento»
Il ministro La Russa fornisce una nuova versione dei fatti Ma anche questo ha certamente una sua logica
Non è morto colpito da un cecchino
isolato, ma nel corso di un combattimento vero e proprio. Matteo
Miotto è corso su una piazzuola per sparare da una posizione
migliore, ma purtroppo è stato colpito a morte, nelle casualità
sfortunata che conosciamo.
Questa la nuova versione dei fatti, fornita dal ministro La Russa
che si è recato oggi a Herat.
La conoscenza di un'altra versione sulla dinamica che ha portato la
morte a Matteo Miotto ha spinto alcuni nostri lettori a chiederci
un commento.
Come si può capire, noi non possiamo conoscere né la dinamica né le
ragioni per cui siano state fornite versioni diverse sulla morte
del povero alpino, per la semplice ragione che non c'eravamo.
Però possiamo spiegare alcune condizioni che forse aiutano a
comprendere il perché.
Va premesso che nessuno, nel nostro Paese, può impedire a un
giornalista di pubblicare una notizia non «classificata»
(R-riservata, RR-riservatissima, S-segreta, SS-segretissima). Ma
anche una notizia suscettibile di classificazione può essere
pubblicata, se il giornalista vi ha assistito personalmente.
Questo ovviamente non toglie che il buonsenso (in testa a una
montagna di altre ragioni) impedisca al giornalista di pubblicare
notizie che possano mettere a rischio la sicurezza dei nostri
militari.
In questo contenitore, dai contorni non molto precisi di primo
acchito anche per un navigato giornalista, ci si trova a muovere
quando si è corrispondenti di guerra.
Comunque sia, questa responsabilità deve essere accettata come
parte integrante di chi invia corrispondenze dal fronte.
Che il ragazzo di Thiene sia morto prima in una maniera e poi in
un'altra, può significare ad esempio che in un primo momento sia
stato deciso di non compromettere una situazione non ancora
conclusa.
Magari poteva essere controproducente far sapere che i talebani
erano andati a segno in un combattimento. È un'ipotesi
esemplificativa, sia ben chiaro, ma che serve a spiegare perché la
conoscenza della verità avrebbe dovuto essere ritardata quanto
basta.
Quello che non è accettabile, ammesso che sia vero, è che il
ministro della difesa sia stato informato solo quattro giorni
dopo.