Chi almeno una volta nella vita non è stato un po’ folle? – di Daniela Larentis

«Colui che vive nell’insana convinzione di non esserlo affatto è il più folle di tutti»

C’era un numero che faceva irritare Pitagora e cioè la radice quadrata di due, un numero diabolico perché non solo è infinito, ma infinitamente variabile e imprevedibile. Irrazionale.
I numeri hanno sempre avuto per taluni un grande fascino.
 
Il numero dieci, per esempio, era ritenuto non solo da Pitagora, ma pure da Filolao di Crotone (filosofo della scuola pitagorica), il creatore di tutte le cose.
Egli ipotizzò l’esistenza, al centro dell’universo, di un grosso fuoco attorno al quale ruotavano dei corpi celesti (terra compresa) e, accorgendosi che erano nove, ne aggiunse un decimo al quale diede il nome di Antiterra (non visibile a causa della sua anomala rotazione, a detta sua).
 
Fra le idee di Filolao ve n’era una davvero suggestiva. Egli era convinto che i pianeti attraverso il loro movimento producessero una musica celeste (concetto ripreso più tardi da Keplero).
I pitagorici in genere credevano nell’armonia, ossia l’arte di combinare più suoni in maniera gradevole.
 
La scienza armonica era infatti basata proprio sui rapporti numerici.
Senza andare nello specifico, mi limito a dire che la musica non serviva solo per cantare e ballare, ma aveva la funzione di «purificare dalle passioni» (cosiddetta «catarsi»).
 
Quando uno sembra impazzire si dice che dà i numeri.
E molti danno i numeri, specie al mattino, quando pur di attraversare la strada e risparmiare qualche manciata di minuti, si gettano con foga sulle strisce pedonali rischiando la vita già a inizio giornata.
 
Pazzi.
A proposito di pazzia, Erasmo da Rotterdam, filosofo del XV secolo, a un certo punto della sua vita si mise a girare l’Europa in lungo e in largo e in uno di quei viaggi conobbe quello che poi divenne un suo grande amico, il celeberrimo Tommaso Moro; un religioso come lui che, come poter dire, la pensava più o meno alla sua maniera riguardo alla gestione della religione da parte delle autorità ecclesiastiche.
 
Non si può dire provasse la stessa cosa nei confronti di Lutero: quest’ultimo credeva nella predestinazione, mentre Erasmo nella responsabilità dell’uomo.
Scrisse poi uno dei suoi libri più famosi (pubblicato in dodici lingue e in quaranta edizioni), Elogio della Follia, dedicandolo proprio all’amico.
 
La Follia, appunto, è la protagonista del libro.
Ella si presenta parlando con leggerezza, scherzando, tanto da lasciare il dubbio se prenderla sul serio o meno, e attraverso il suo modo di approcciarsi scanzonato, a tratti paradossale, spiega al lettore che tutto ciò che dà sapore alla vita è merito suo.
 
Così l’amore secondo il filosofo è pura follia e forse non aveva nemmeno tutti i torti a pensarla così!
Ma si è folli e quindi ci si innamora o ci si innamora e si diventa folli? Quali dei due stati precede l’altro?
 
Ci si innamora davvero di qualcuno o è più esatto dire di qualcosa che quel qualcuno suscita in noi, di una caratteristica fisica o caratteriale, di come quel qualcuno ci fa sentire, magari della proiezione di un nostro stato d’animo o del suo contrario? E se fosse dell’idealizzata e attesa risposta a un nostro bisogno?
In qual caso sarebbe davvero singolare perché ci si potrebbe innamorare di chiunque rispondesse a quel bisogno.
 
Se, per esempio, la Tizia avesse la segreta necessità di sentirsi protetta, qualunque uomo le offrisse protezione potrebbe in linea teorica essere il partner ideale.
Restringendo il campo, se la stessa Tizia avvertisse non solo il bisogno di venir protetta, ma fosse attratta anche dall’allegria, chiunque fosse sia allegro che protettivo potrebbe essere da lei amato.
 
Si potrebbero altresì aggiungere centinaia di altri elementi fino ad ottenere un mix di qualità riscontrabili comunque in più persone.
Forse che l’amore, quello con la A maiuscola, quello che ti sconvolge la vita, che non ti fa dormire la notte e che ti esalta di giorno, altro non sia che un qualcosa che noi stessi creiamo per rispondere al nostro personale desiderio di una vita straordinaria, in fondo meno banale? O se fosse invece l’incontro con un’anima affine a cui mostrare il nostro lato più vulnerabile, la nostra interiorità, qualcuno in grado di comprenderci davvero, di accettare quello che siamo realmente, ciò che noi chiamiamo amore?
E se più semplicemente fosse solo e unicamente una questione di chimica, di un qualcosa di assolutamente non prevedibile?
 
E chi lo sa, è inutile pensarci, tanto non lo sapremo mai.
Certo è che Erasmo, che pareva tanto intelligente (e lo era, per l’onore del vero, salvo scivolare poi su certi giudizi assai discutibili che farebbero sospettare l’opposto), non aveva una grande considerazione per il gentil sesso. Ahimè.
 
Sempre nell’ Elogio della Follia, riferendosi alle donne e parlando a nome della Follia stessa, asserisce quanto segue.
«… Giove si è rivolto a me, qui come in tutto il resto, e subito io ho dato un consiglio degno di me: associargli (nel discorso Erasmo si sta riferendo all’uomo) la donna, un essere sciocco e goffo, ma dolce e che muove il riso, che facendogli compagnia in casa desse sapore a addolcisse con la sua bizzarria irragionevole la tetraggine della mente dell’uomo.
Infatti quando Platone sembra in dubbio se ascrivere la donna al genere degli animali razionali o a quello dei bruti, si propone soltanto di mettere in luce la straordinaria irragionevolezza di questo sesso. Se poi una donna vorrà sembrare saggia, non combinerà altro che essere due volte sciocca, come se si conducesse un bue in palestra, contrariandone a viva forza le tendenze….»
 
E ancora, riferendosi ai desideri delle donne.
«Poi cos’altro desiderano in questa vita se non il piacere agli uomini il più possibile? Non è questo lo scopo di tanta toilette, di tanti cosmetici, di tanti bagni, di tante pettinature, di tante creme, di tanti profumi, di tante tecniche per sistemare, dipingere e atteggiare viso, occhi e pelle? Sono forse care agli uomini ad altro titolo che per la loro irragionevolezza? Cosa non permettono alle donne! Ma con quale garanzia, a parte il piacere? Le donne però danno piacere solo con la loro irragionevolezza. Nessuno lo negherà, solo riflettendo a quali sciocchezze riesce a dire e a fare l’uomo davanti alla donna ogni volta che ha deciso di godere del piacere da lei offerto. Eccovi dunque l’origine della prima e principale gioia della vita» (Erasmo da Rotterdam, Elogio della Follia, traduzione di Luca D’Ascia e prefazione di Cesare Segre ).
 
Mettendo, tuttavia, queste parole in bocca alla Follia, e non alla Saggezza (in qual caso ci sarebbe stato da obiettare un tantino), Erasmo non ha in realtà offeso il genere femminile, poiché il suo è un discorso folle, appunto, del tutto lontano dalla realtà.
Così, a dirla tutta, piace considerarlo a noi donne.
 
E come un discorso folle lo si deve valutare.
Ma alla fine, ha ragione Erasmo almeno sul resto? La vita, in fondo, è come egli sosteneva, straordinaria solo quando non la si prende troppo sul serio?
 
Che dire, se non che un pizzico di pazzia fa bene se non altro alla salute?
L’esistenza è fatta di colori, è intrisa di poesia e disseminata di sconsideratezza. La creatività stessa è follia, il sale della vita.
 
L’importante è rispettare gli altri, non fare del male al nostro prossimo. Irrinunciabile è il rispetto.
Poi, che importa se si è un po’ folli o meno?
 
Chiunque è stato un po’ folle almeno una volta nella vita.
Io credo che chi vive nell’insana convinzione di non esserlo affatto è il più folle di tutti. Il re dei Folli.