L'attentato a Beirut che ha ucciso 41 persone innocenti
È un attacco dello Stato Islamico in rappresaglia contro Hezbollah a causa del suo progressivo coinvolgimento nella crisi siriana
Ieri Beirut è stata scossa da un nuovo attentato che ha provocato la morte di 41 persone.
Due attentatori suicidi si sono fatti esplodere nei pressi del quartiere meridionale di Burj al-Barajneh, sobborgo a maggioranza sciita notoriamente controllato da Hezbollah.
La modalità dell’esecuzione, due esplosioni avvenute a breve distanza l’una dall’altra, ha fatto subito pensare a un attacco di matrice jihadista, ipotesi confermata dopo circa un’ora dalla rivendicazione diffusa sui social media da parte dello Stato Islamico.
Non è la prima volta che gruppi jihadisti colpiscono zone a prevalenza sciita, sia regioni che quartieri all’interno di città multiconfessionali.
In particolare, a partire dal 2014, questo genere di attacchi è aumentato in numero ed intensità.
L’attacco dello Stato Islamico rappresenta una rappresaglia contro Hezbollah a causa del suo progressivo coinvolgimento nella crisi siriana.
Infatti, se tra il 2011 e il 2012 Hezbollah si era limitato ad alcuni sconfinamenti in territorio siriano per compiere alcuni attacchi mirati contro alcuni gruppi jihadisti, tra cui al-Nusra, a partire dal 2013 le milizie sciite hanno modificato la propria strategia, aumentando la portata della loro azione.
Inoltre, a seguito dell’aumento del coinvolgimento russo nella crisi siriana, alcune milizie di Hezbollah si sono spinte addirittura sino ad Aleppo.
Tale impegno ha fatto si che le dinamiche della crisi siriana si siano ripercosse inevitabilmente sul già fragile equilibrio interno libanese, che tradizionalmente è caratterizzato da profonde faglie di contrapposizione su base etnico-confessionale.
In tal senso l’episodio conferma quanto la crisi siriana, al di là della sua dimensione interna, continui a avere delle forti ripercussioni sugli equilibri di tutti i Paesi della regione e, in particolare, sul Libano.