Trento, sul palco Portland «Sospiro d'Anima», il 26-27 gennaio
Storia della partigiana friulana Rosa Cantoni, scritta e interpretata da Aida Talliente
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In occasione delle celebrazioni della Giornata internazionale della Memoria il Teatro Portland ospita nell'ambito de La Bella Stagione una straordinaria doppia replica di Sospiro d'Anima, spettacolo dedicato alla figura della partigiana udinese Rosa Cantoni, scritto e interpretato da Aida Talliente.
In programmazione sia venerdì 26 gennaio che sabato 27 gennaio, in entrambi i giorni alle ore 21.00, lo spettacolo ha ricevuto importanti riconoscimenti in ben quattro festival di rilievo nazionale.
Ad interpretare Rosa Cantoni la sua concittadina Aida Talliente, attrice diplomata all' Accademia Nazionale d'Arte Drammatica «S. D'Amico» di Roma e pluripremiata autrice e interprete degli spettacoli che porta in scena a seguito di lavori di ricerca e studio.
Sospiro d'Anima è il frutto di una conoscenza diretta e approfondita tra la partigiana ed il suo alter ego scenico, infatti, come racconta la stessa Aida Talliente: «Lo spettacolo nasce dopo un lungo e intenso periodo di incontri con Rosa Cantoni, una delle più anziane partigiane della città di Udine, nata nel 1913. Mi è capitato di incontrare per la prima volta Rosa il 25 aprile di due anni fa, quando l’ho sentita parlare e raccontare la sua storia. Certamente una storia non comune, che abbraccia buona parte del secolo scorso. Ascoltando le sue parole si diventa silenziosi spettatori di tutto ciò che si è consumato nel corso del tormentato ‘900. Ci si muove in mezzo a volti, vicende e luoghi, in mezzo a continue guerre, scoperte, invenzioni straordinarie ed orrori. È proprio ascoltando la narrazione di questa donna semplice e allo stesso tempo straordinaria, che ho riscoperto l’importanza di sapere ciò che è accaduto prima di noi. Penso che conoscere il passato e le storie di uomini e donne che ci hanno preceduti ci fornisca uno strumento in più per comprendere il periodo buio che sta attraversando l’umanità.
Questa donna è stata protagonista nella lotta della Resistenza in Italia, subendo la deportazione al campo di Ravensbruk negli ultimi periodi della seconda guerra mondiale e attraversando tutte le vicissitudini del dopo guerra. Rosa è stata testimone e vittima diretta della più grande follia omicida del XX secolo, il nazismo, ma ne parla con calma e chiarezza e dedica la sua vita a raccontare, a scrivere la sua storia attraverso poesie, articoli e testimonianze.
Durante il nostro periodo di interviste, abbiamo scelto insieme alcune sue poesie, vecchie fotografie e, immagini, qualche documento, qualche oggetto e abbiamo ritrovato alcune musiche e canzoni del tempo. Le registrazioni dei suoi racconti sono durate molte ore. Il testo dello spettacolo nasce quindi dalle sue parole, ma durante la scrittura Rosa muore. È il 28 gennaio 2009.
A lei è dedicato questo viaggio: alla poetessa, alla scrittrice, alla donna piena di passione, nata nella mia stessa terra. Attraverso Rosa, ho potuto guardare attentamente ciò che sono diventati ora questi luoghi di con ne, e quello che erano un tempo: la bellezza e l’aria di tanti anni fa e il cambiamento così profondo che li ha trasformati in qualcos’altro e le parole di Rosa in mezzo, come un ponte tra il territorio che fu e quello che è ora.»
Dalle note di regia: «Siamo all’interno di uno spazio circolare, piccolo, intimo e delimitato da un cerchio di pietre e da sette lumi disposti lungo il perimetro. Al centro del cerchio cresce un albero bianco, scarno, morto. Alcune scatole e cassetti di legno coperti da un velo nero sono accatastati ai suoi piedi. Sembrano i mobili di una casa rimasta chiusa da molto tempo, oppure la tomba di una persona in un piccolo cimitero. Sopra i cassetti è seduta al buio una donna. Tiene una candela in mano. Ha il capo chino, gli occhi chiusi e sospira una canzone. Alle sue spalle, in fondo, appena fuori dal cerchio, c’è un uomo seduto. È vestito a lutto e ascolta il canto. Ha una fisarmonica in braccio. È un musicista venuto a suonare in questa festa d’addio. I due aspettano... aspettano le persone, aspettano da molto tempo. Sono lì per loro, per dare l’ultimo saluto, e finalmente, quando tutti arrivano, inizia una musica. La donna apre gli occhi e in silenzio guarda commossa tutti quanti. Si alza a gran fatica, lenta e fragile: è una donna anziana, una donna già morta ma che è ancora qui in questo mondo. Il suono dolce e vibrante della fisarmonica la accompagna mentre si avvicina al con ne segnato a terra dalle pietre. La donna vorrebbe stringere la mano di qualcuno, ma non può. Si ferma e inizia commossa il suo ultimo saluto. All’inizio è un benvenuto in questa terra di cose, che a tratti è davvero il salotto di una vecchina e che poi, durante il racconto, diventa tutti i luoghi del passato. Lei accoglie le persone care. Offre loro tutta la sua vita fatta di ricordi, volti, pensieri e passioni, chiusi dentro ai cassetti e alle scatole che vengono aperte, svelando lentamente il racconto.»
«La storia inizia proprio da alcuni volti: vecchie foto di famiglia chiuse in un piccolo cassetto. La donna le mostra e le consegna al pubblico. Per ogni foto racconta un aneddoto, un fatto accaduto; rivivendoli in prima persona anche lei, improvvisamente, torna giovane per brevi attimi. Da subito costruisce un legame intenso con il passato e il presente. Lei, anziana e già morta, parla con il pubblico e con se stessa dicendo che «...ci son morti più vivi dei vivi» e dicendo di «...avere ancora un po’ di tempo prima di andare... dove non si sa!». È una continua riflessione giocosa sulla vita e sulla morte, su tutto ciò che passa. E tutto passa... Sono interrogativi che lei pone a sé, al pubblico, a quel musicista venuto a suonare per lei e all’albero bianco che ha visto il tempo passare.»
«Poi d’improvviso il tempo del racconto cambia e ci s’immerge completamente nel passato, negli anni Quaranta, quando lei, la donna, era una giovane piena di vita, di sogni e di voglia di costruire un futuro migliore. Ora è dunque la giovane che racconta. La postura cambia, i tempi cambiano e gli oggetti iniziano a prendere vita. Da una morte iniziale, si passa ad un tempo d’Estate: il 1938, i racconti della fabbrica, i primi pensieri di rivolta contro il fascismo, il foulard rosso indossato per protesta, le prime poesie scritte e il tentativo di cambiare il mondo, la caduta del Duce nel luglio del ‘43, l’arrivo nella Resistenza e le corse in bicicletta come staffetta attraverso tutto il Friuli di allora. Torna giovane, poi a tratti vecchia, poi ancora giovane... ormai i due corpi si mischiano l’un l’altro e così la voce. È il caos. E sempre da giovane grida le ultime parole e il suo nome. Finalmente il suo nome che torna su una musica di festa. Questo è il suo Amore, la sua Primavera, la sua Resistenza. Danzando, il suo foulard rosso viene appeso all’albero. La giovane che danza ritorna la vecchia che danza e che raccoglie una manciata della sua polvere. E alla ne, con un soffio, la regala a questo mondo e, salutando, di spalle se ne va ... Rimangono i suoi oggetti, come tante piccole lapidi in mezzo alle pietre e alla terra. Rimane l’albero che ha visto passare il tempo e che ora è un monumento, con un campanello, un foulard e una foto. Rimane la musica che ha accompagnato la donna e il suo sospiro no a qui. E poi improvvisamente anche questa passa, torna il buio e il suono se ne va.»