Matteo Boato, in volo da New York alla Cina – Di Daniela Larentis
Il grande artista italiano è appena tornato da Hong Kong, un viaggio che segue quello recente in suolo americano – Nel prossimo servizio la versione in inglese
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Come abbiamo più volte sottolineato, Matteo Boato è un apprezzato artista italiano, nato a Trento, dove risiede, molto attivo sia in Italia che all’estero: in Europa, in Russia, in Giappone (ricordiamo la sua recente esperienza in Russia che prevedeva una prima mostra inaugurata presso il prestigioso Museo d’Arte di Nižnij Novgorod e, successivamente, a Kirov, Vladimir, Yeroslavl, in futuro a Mosca e S. Pietroburgo): qui in Trentino fra le varie esperienze artistiche ha partecipato a conferenze artistico/scientifiche presso il MUSE, il Museo delle Scienze di Trento, dove sono esposti alcuni suoi lavori, svolto attività didattiche al MART, il Museo di Arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto, inoltre ha partecipato qualche anno fa anche alla Biennale di Venezia ed è vincitore di alcuni concorsi internazionali per la realizzazione di opere d'arte pubbliche.
Sarà presente a Trento a breve con una mostra dal titolo «TRENTINO - olii su luoghi e paesaggi trentini» negli splendidi spazi espositivi di Sala Thun di Torre Mirana (Palazzo Thun) – Via Belenzani 3, angolo via Manci, 2, dal 9 giugno al 19 giugno 2016 (orario d’apertura: mar/dom 10-12; 16 – 19).
Eclettico artista, pittore di professione, ha da sempre rivolto i suoi interessi in molte direzioni: ha al suo attivo una laurea in Ingegneria civile, un diploma in chitarra classica, è infatti musicista per passione.
Prima di trasferirsi a Trento ha vissuto nelle città di Firenze, Bruxelles, Londra e Barcellona.
Da qualche settimana rientrato da un viaggio di lavoro a New York, è subito ripartito alla volta dell’ex colonia britannica Hong Kong, la metropoli cinese che nell’immaginario collettivo viene spesso da molti identificata con il suo suggestivo porto e il suo skyline mozzafiato.
La sua permanenza nella celeberrima città, collocata sulla costa meridionale della Cina, è frutto di un progetto nato un paio di anni fa, ora in fase di concretizzazione.
Abbiamo avuto il piacere di intervistarlo, a distanza di pochissimi giorni dal suo ritorno in Italia.
Qual è l’impressione che lei ha avuto di Hong Kong, appena arrivato?
«È una metropoli in cui si respira un’atmosfera di internazionalità, dove c’è una perfetta fusione fra oriente e occidente; per certi versi assomiglia a New York, se non altro per i suoi imponenti grattacieli, è infatti una città che ha uno sviluppo verticale; la cosa curiosa, tuttavia, è che accanto a questi giganti dal forte impatto visivo si trovano splendide costruzioni tradizionali di modeste dimensioni, un contrasto che mi ha particolarmente colpito, inducendomi a riflettere in senso filosofico sull’attenzione che è giusto porre non solo alle grandi cose della vita, ma anche alle piccole.
«Sono rimasto colpito anche dal ridotto spazio vitale a cui gli abitanti sono spesso abituati, lo testimoniano la ridottissima metratura tipica degli appartamenti, la stessa camera dell’hotel dove ho soggiornato.
«Quando ho fatto presente alla gallerista che mi ha invitato a Hong Kong il fatto che la gente sembrasse non avere necessità di spazio vitale, mi ha risposto citandomi un noto proverbio cinese, il cui significato sarebbe il seguente: a cosa ti serve una casa enorme? serve pochissimo spazio per vivere, tutto il resto è in eccesso.»
Come è nato questo progetto?
«Ho ricevuto l’invito dalla galleria Galerie Koo di Hong Kong, nella persona di Cecilia Koo, la quale ha da tempo mostrato interesse per il mio lavoro e mi ha chiamato per partecipare a una fiera del settore.
«Dal 2014 abbiamo avuto costanti contatti, mi è stato più volte richiesto l’invio di alcune mie opere.
«Il vincolo doganale ha fatto sì che le cose si siano concretizzate attraverso questo primo evento, a cui ne seguiranno altri.
«Il mio interesse va verso questa direzione, cioè portare avanti una collaborazione nel tempo. È infatti prevista una personale in galleria entro i prossimi sei mesi.»
Quante e quali opere sue sono state esposte e come ha reagito il pubblico?
«Ho spedito 12 opere di grandi dimensioni e alcune più piccole, i cui temi sono la piazza, la città; numeri sufficienti per organizzare una personale, anche se credo ne occorreranno il doppio per la prossima mostra.
«Il pubblico ha risposto con entusiasmo, sono molto soddisfatto perché il mio lavoro è piaciuto molto (avevo comunque ricevuto delle richieste di acquisto ancora prima di recarmi fisicamente a Hong Kong).»
Ci ha anticipato che a breve, quindi, ci sarà una prossima personale a Hong Kong: spedirà altre opere dall’Italia o le realizzerà sul posto come è accaduto in Russia, in occasione per esempio della mostra a Nižnij Novgorod?
«Porterò altri pezzi, il tema che affronterò sarà il paesaggio urbano, naturalmente realizzerò lavori legati a Hong Kong, una città che trovo spettacolare.
«Devo ancora ragionare sul fatto di realizzare o meno le opere, almeno in parte, in loco; è una possibilità che si prefigge stimolante e che non mi sento di escludere, del resto il problema del trasporto su lunga distanza e dei dazi doganali è tutt’altro che marginale.»
Che idea si è fatto di questa metropoli, una città che vive di contrasti, e come è il clima artistico?
«Il clima artistico è molto frizzante, estremamente stimolante: ho respirato una cultura e un’idea di società molto diversa dalla nostra. E’ una città cosmopolita, ho incontrato parecchi europei, inglesi prevalentemente, americani, asiatici, australiani, qualche giapponese, gente proveniente da tutto il mondo.
«La mia percezione generale è stata quella di un background di persone di limitate disponibilità economiche, molte delle quali fanno fatica a parlare l’inglese o che non lo hanno mai affrontato, in qualche modo dominante numericamente, tuttavia in occasione di questa mia esperienza ho avuto contatti con gente di livello culturale differente, gente che vive nella zona centrale della città e che ha avuto un percorso scolastico interessante.
«La sensazione è quella dell’esistenza di un buon livello educativo generalizzato, dove le due culture, quella inglese e quella cinese, si intrecciano armoniosamente, permettendo un arricchimento del cittadino: è stato, possiamo dire, mantenuto il meglio delle due culture.
«Alcune zone della città mostrano un tessuto sociale, tuttavia, molto diverso da quello europeo. Ho incontrato parecchia gente (persone che magari conoscono molte lingue, istruite), che alla domanda che lavoro fai? mi ha risposto con un attualmente faccio....
«Ciò riflette una mentalità molto diversa dalla nostra, sono persone che difficilmente incontrerei magari a Trento, dove mediamente si ha un percorso lavorativo più lineare: Hong Kong, come sono le metropoli in espansione, è una città in cui c’è molta flessibilità lavorativa, una città che offre molte opportunità, e questo è molto bello.
«A proposito di contrasti, pur essendo una città modernissima, Hong Kong, e in generale la Cina, è un luogo dalla tradizione erboristica millenaria, dove le persone di tutti i ceti sociali fanno ricorso non tanto alla medicina occidentale, farmaceutica in senso europeo, che propone i farmaci che noi tutti conosciamo, ma piuttosto a quella a base di erbe praticata dai medici cinesi.»
Ma non dimentichiamo che la flessibilità è una cosa bella quando c’è anche una certa offerta di lavoro. Lei è d’accordo?
«Certo, sono pienamente d’accordo. Io ho avuto l’impressione che vi sia lì molta offerta di lavoro, questa almeno è l’idea che mi sono fatto parlando con la gente con cui mi sono relazionato.»
A proposito del clima artistico riscontrato ad Hong Kong, lo potrebbe definire «globale»?
«Assolutamente sì. Il mondo artistico è molto vario, tuttavia pur essendo eterogeneo è in qualche modo accostabile.»
Ci potrebbe spiegare meglio questo pensiero, si riferisce alle tematiche affrontate o alle tecniche utilizzate?
«Direi ad ambedue: il mondo globale lo respiri realmente anche attraverso l’arte. In quella fiera c’erano più lavori intimisti, credo più in linea con il mondo asiatico, però in linea di massima l’ampissimo ventaglio di proposte si sarebbe potuto avere a Milano, a Londra o a Parigi.»
Quali erano gli artisti presentati dalla galleria in fiera?
«Erano presenti i lavori di molti importanti artisti locali, con opere completamente diverse dalle mie.»
Che cosa si intende esattamente con il termine «fiera» in ambito artistico?
«Generalmente il termine fiera ricorda il mercato e la vendita di vari prodotti, sia agricoli che legati alla casa, allo sport e al tempo libero, eventi rivolti a un ampio pubblico, alla massa; invece una fiera d’arte è tendenzialmente un evento di nicchia.
«Le gallerie che partecipano alle fiere sono selezionate accuratamente, non tutte possono accedervi, sono perennemente sulla scena, in una vetrina internazionale.
«Non c’è mai una fiera d'arte locale, sono manifestazioni che coinvolgono soggetti provenienti da tutto il mondo. Non tutte le fiere d’arte sono uguali, naturalmente, ce ne sono di diversi livelli, con proposte a diverso budget.
«In fiera, comunque, di qualsiasi fiera d’arte si tratti, partecipano le migliori gallerie, quelle in grado di sostenersi, di investire economicamente.
«Gli artisti, essendo lo spazio molto contenuto, sono dunque selezionati a loro volta: si tratta quindi una selezione di gallerie, le quali a loro volta selezionano artisti.»
Qual è la tipologia di pubblico, chi si reca alle fiere d’arte?
«È un pubblico pagante, quindi motivato. Le persone che si recano alle fiere d’arte vanno sostanzialmente per investire.»
Dove si è tenuta la fiera a cui ha partecipato?
«Nel Hong Kong Convention and Exhibition Centre (Centro congressi e fieristico della città): essendo una metropoli ha uno spazio espositivo enorme, di grande prestigio; sono entrato e prima di raggiungere il piano dove era allestita la fiera ho dovuto camminare per più di dieci minuti, nel bel mezzo di una fiumana di gente, tanto per rendere conto dell’idea della dimensione dell’edificio.»
Le sue opere sono mai state associate all’idea che si ha dell’Italia, a stereotipi ricorrenti, come la solarità ecc.? Quali lavori hanno maggiormente attirato l’interesse del pubblico?
«Sì, c’è stato chi ha associato l’uso di alcuni colori, ricorrenti in alcune mie opere esposte, all’Italia; è un fatto che desta curiosità, in quanto l’utilizzo di quegli stessi colori qui da noi viene da taluni associato invece alla Spagna.
«È come se l’espansività, l’allegria, fossero qualità che le persone non sappiano quasi riconoscere in se stesse o nell’ambito sociale in cui vivono, ma fossero attribuite in modo stereotipato a qualcun altro, quali peculiarità di qualche altra popolazione.
«L’Italia del resto, è associata spesso al buonumore, alla bellezza di città come Venezia, Roma, Firenze. Hanno comunque una visione diversa, rispetto a un inglese per esempio, dell’Italia.
«Le opere che hanno attirato comunque molto l’attenzione del pubblico, sono in particolare quelle in bianco e nero che ritraggono le piazze, forse perché maggiormente si avvicinano a lavori intimisti, sono opere che rimandano a concetti anche filosofici.»
A proposito di piazze: quelle di Hong Kong come le sono sembrate?
«Ci sono, ma non sono le piazze a cui noi siamo abituati in Europa. Quando qualcuno mi dava appuntamento in piazza, si trattava di luoghi d’incontro aperti, assolutamente nuovi, tendenzialmente sopraelevati, dei punti di diramazione.»
Un’ultima domanda a cui dovrebbe rispondere brevemente, senza pensarci troppo: cosa l’ha colpita delle persone che ha avuto modo di osservare, di incrociare quotidianamente per strada?
«Le persone là sembrano possedere una calma surreale, danno l’impressione di essere rilassati, di stare sempre bene.
«Una cosa che ha catturato la mia attenzione è il fatto che non ho mai visto nessuno sbadigliare.
«A me non piace lo sbadiglio, mi infastidisce e lì nessuno sorprendentemente sembra averne bisogno…»
Daniela Larentis – [email protected]