Storie di donne, letteratura di genere/ 127 – Di Luciana Grillo

Violaine Bérot, «Le parole mai dette» – Una specie di fiaba, in cui tutto ciò che è normale sembra capovolgersi, in cui i silenzi sono pesanti come pietre

Titolo: Le parole mai dette
Autrice: Bérot Violaine
 
Traduttore: Gurrieri T.
Editore: Edizioni Clichy 2016 (collana Gare du Nord)
 
Pagine: 180, brossura
Prezzo di copertina: € 15,00
 
Un romanzo breve in cui un narratore esterno segue la vita di una bambina, fin quando diventa donna.
Non è però un percorso semplice; vengono fuori rapporti familiari contraddittori, una figlia che si fa mamma e una mamma che vive da figlia, un uomo che è marito al 90% e solo al 10% padre, ma che comunque riesce a rappresentare, per la figlia, un modello ineguagliabile.
In nessuna delle 152 pagine di testo di questo libro c’è mai il nome proprio del padre, della madre, della figlia, né di tutti i bambini che nascono in questa strana famiglia e che crescono guidati esemplarmente dalla figlia/sorella maggiore.
 
Questa figlia/sorella sembra essere la risolutrice dei problemi, la fata con bacchetta magica che – spinta da un implacabile quanto massacrante senso del dovere – aiuta i piccoli a crescere, nutrendo tutti insieme uno straordinario e rispettoso amore per la madre che qualche volta esce dalla sua campana di vetro e li riceve.
Insomma, questa figlia maggiore «sa calmare i pianti e la collera dei fratellini e delle sorelline, prenderli in braccio, coccolarli, raccontare loro storie per aiutarli a prendere sonno, ascoltare le loro tristezze infantili…
«Il padre è convinto che la figlia maggiore possa compiere miracoli… Quella capacità di dare sollievo alla madre è certamente la cosa che più lo commuove, e questo deve confortarlo nella sua convinzione che la figlia maggiore sia una bambina fuori dal comune, un essere soprannaturale, una maga, o forse persino una fata.»
 
Durante l’adolescenza, la figlia maggiore sembra soffrire di una qualche malattia che la rende brutta, ma poi tutto passa e per lei la vita continua ad essere, fuori dalla famiglia, «un impenetrabile blocco di solitudine».
Raggiunta la maggiore età, la figlia maggiore chiede il permesso di andare via al padre che non si meraviglia, «non chiede nessuna spiegazione. Le fa soltanto promettere di telefonare regolarmente, o di scrivere, per non farlo preoccupare».
Così, la vita di questa giovane donna ha uno scossone improvviso.
Tutto ciò che sembrava immutabile, cambia di colpo; per lei comincia una vita nuova: un appartamentino sottotetto, un lavoro (prima lavapiatti, poi cameriera in un ristorante), un senso di autonomia, una libertà di pensiero e di azione, «un piccolo gruppo di ragazzi e ragazze un po’ più grandi di lei… Siamo piacevolmente sorpresi di vederla integrarsi molto velocemente… La sapevamo solitaria, inavvicinabile, ed eccola invece sorridere a quei ragazzi e a volte perfino abbozzare un accenno di risata alle loro battute… Intuiamo che è felice con loro… Ma non percepiamo niente dei suoi sentimenti. Non lascia trasparire niente.»
 
Poi, nella sua vita si incunea Jean, più fratello maggiore per lei che innamorato, ma l’aggravarsi delle condizioni della mamma la obbliga a tornare a casa, dove ritrova l’affetto tenero e premuroso dei fratellini, l’inguaribile apatia del padre e l’improvvisa «fuga» della madre che, a questo punto, non è più la figlia di sua figlia, ma una donna che, senza una parola, fa capire ad un’altra donna che è arrivato il momento di andare via.
Padre, fratellini e sorelline rimangono soli, perché anche la sorella maggiore torna in città, a Jean, ai disturbi alimentari, al timore e poi alla certezza di una gravidanza non voluta.
Gli eventi, pur sotto l’apparenza di una quotidianità alienata, si susseguono: l’aborto, il ritorno a casa della madre, la passione divorante per la lettura, il lavoro, l’addio a Jean – che non chiede spiegazioni, non si meraviglia, non implora un ripensamento – e, finalmente, Tom, un cliente del ristorante che la scuote dalla sua indifferenza.
 
La «figlia maggiore» vive un vero rapporto uomo-donna, è appagata, anche se sa che Tom ha già una moglie.
Anche questo periodo di grazia è destinato a finire. La ragazza torna a casa, le sembra di ricevere finalmente dalla madre tenerezza e affetto, si sente per la prima volta figlia e, quando infine rientra nel suo appartamentino di città, ci sarà il cuoco a cantarle la ninnananna che mai prima il padre o la madre avevano cantato per lei.
E torna bambina, ascoltando «le parole mai dette».
 
Questo romanzo è una specie di fiaba, in cui tutto ciò che è normale sembra capovolgersi, in cui i silenzi sono, più delle parole, pesanti come pietre.
 
Luciana Grillo
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