Storie di donne, letteratura di genere/ 7 – Di Luciana Grillo
M. Rosaria Dominis: La panchina di pietra – Dedicato a tutte le bambine senza paese
Titolo: La panchina di pietra
Autrice: M. Rosaria Dominis
Editore: De Ferrari 2010 (collana Oblò)
Pagine: 264
Prezzo di copertina: € 15
Disponibile anche usato a € 7,50 su Libraccio.it
Questo romanzo è dedicato «a tutte le bambine senza paese» e dunque, prima ancora di cominciare a leggerlo, sappiamo che un senso di spaesamento, di sradicamento, di solitudine pervaderà le pagine di questo libro in cui il presente, difficile e misterioso, si intreccia con un passato lontano, fatto di guerra e di paura.
Flora è una bambina in fuga dalla Dalmazia in seguito agli eventi bellici che le hanno portato via il papà.
Accanto a lei, come lei impauriti e disorientati, i parenti: la mamma fredda e indifferente, «mantenuta dai parenti e in perpetuo disaccordo con tutti». Gli zii presi dai loro problemi e dalla necessità di sistemarsi in una terra così diversa dalla loro; la nonna, vero punto di riferimento, laboriosa e amorevole.
Flora sente l’esigenza di ribellarsi a certe imposizioni, ad abitudini ormai vecchie, a scelte che non sono le sue.
Gli abiti che le manda la zia dall’Australia, la povertà alla quale deve adattarsi, la casa modesta, le belle stoviglie e l’argenteria che sembrano stridere con quella nuova vita, la ricca signora di cui la nonna Tonci diventa dama di compagnia sono motivo di sofferenza per lei, che, crescendo, diventa un’adolescente scontrosa, incerta se accettare passivamente le scelte di sua madre o invece combattere per convincere, sempre sua madre, che non si debba vivere sulle spalle degli altri o continuare a vendere quadri antichi, icone, gioielli...
Certo, per una ragazzina che ha conosciuto l’agiatezza, vivere in una dépendance invece che nella villa, uscire ed entrare dal cancello laterale e non da quello principale, almeno all’inizio, è esercizio complicato: così come fare buon viso a cattivo gioco, girare nel parco imparando a conoscere fiori e piante, giocare con i pettirossi...
Fra le tante panchine, Flora ne sceglie una tutta sua.
Lì si siede e sogna, si immagina adulta, bella, elegante.
Poi, rinfrancata dai sogni, torna a casa, infagottata nel maglione «lavorato ai ferri con lane disfatte», ma serena e appagata dal profumo delle castagne arrostite.
Gioca con le bambole, la madre la prende in giro, mentre lei drappeggia sui loro corpi tessuti e straccetti, come fossero manichini.
Le piace cucire, vorrebbe diventare sarta, ha estro, invece viene mandata a studiare per diventare maestra, in un collegio dove si sente di peso, perché non sempre la retta può essere pagata.
Teme di essere rimandata o bocciata, si sdebita con le suore cucendo le divise per le collegiali; impara così le regole di base della sartoria.
Di stagione in stagione, Flora diventa grande, «un fiore» ed i nipoti della ricca signora la invitano un’estate ad uscire con loro.
Ma mamma Bruna «non si compiaceva per quelle amicizie...» e questa volta, forse, aveva visto giusto!
Dopo una delusione d’amore, Flora non vuole tornare in collegio, ed anche la mamma accetta l’idea che diventi sarta, pur dimostrando, in certe occasioni, di vergognarsi quasi di quella figlia dalle modeste pretese.
Dopo qualche tempo, Flora lascia la mamma, la nonna, la panchina di pietra per andare a lavorare lontano.
«Flora avrebbe desiderato più partecipazione, approfondimento e sostegno. Avrebbe voluto poter sentire sua madre vicina anche nella lontananza, ricordare le sue parole, sapere di poter contare sul suo appoggio. Le sembrava, uscendo di casa nel modo in cui stava uscendo, di tuffarsi nel grande mondo completamente sola.»
E la sua vita cambia radicalmente, ma non in meglio...
Il romanzo procede spedito, entrano in scena altre figure, Flora si lascia andare.
L’amicizia di Marta e di sua figlia Cristina in qualche modo riempie quel vuoto, l’assenza di amore che la tormenta.
Ma gli eventi si accavallano, Flora accetta una proposta di matrimonio e diventa vittima di un uomo perverso, che molto aveva da farsi perdonare dalla prima moglie e poi anche da Flora, diventata la sua seconda moglie.
Una tragedia si catapulta infine su Flora che, solo dopo aver molto sofferto, troverà pace, benessere e serenità.
Questo romanzo si legge con avidità, sia perché la storia è appassionante, sia perché è molto ben scritta, con linearità e rigore, senza sbavature.
Ci fa conoscere una realtà storica ancora poco nota e quello sradicamento che tanti individui oggi vivono sulla loro pelle, quando le guerre o la miseria li spingono verso luoghi lontani.
L’autrice ripropone con attenzione il contrasto madre/figlia, il problema di rapporti familiari vitali, ma difficili e, solo verso la conclusione, svela un segreto inatteso, che spiega sentimenti e comportamenti...
Luciana Grillo