Possibile nuovo crack finanziario per l’Argentina
Rischio default finanziario per il Venezuela, orfano di Hugo Chávez
Il Sudamerica sta attraversando nuovamente un momento di tensione.
Dopo il Brasile, di cui abbiamo avuto modo di sapere qualcosa grazie all’eco fornita dal Campionato mondiale di calcio, ecco cosa sta accadendo in Argentina e in Venezuela.
Dopo quasi un decennio di robusta crescita, l’andamento dell’economia argentina è stato molto deludente a causa dei bassi tassi di crescita, della scarsa competitività sui mercati internazionali e della sopravvalutazione della moneta, con conseguenti scompensi sulla bilancia commerciale.
La situazione è stata sfavorita dell’elevata inflazione nazionale e dalle politiche impopolari in materia monetaria, come la decisione del governo di ridurre l’uscita netta di dollari dal paese.
Il continuo ricorso a modelli e politiche di stampo peronista (quali il controllo dei prezzi e della valuta) rischia in maniera ormai ciclica di trascinare l’Argentina verso un nuovo crack finanziario come quello del 2001.
Le Conseguenze più immediate del difficile quadro socio-economico sono state le violente proteste (con 7 morti) e i saccheggi nelle principali città della nazione del mese di dicembre.
Inoltre, una recente decisione della Corte d’appello federale di New York costringe l’Argentina a pagare integralmente alcuni fondi d’investimento americani, che non avevano aderito alle ristrutturazioni del debito del 2005 e 2010.
Infine, a rendere ancora più incerta la situazione politica nazionale incide l’incognita rappresentata dallo stato di salute della presidente Kirchner.
Rischio default finanziario per il Venezuela
Il Venezuela orfano di Hugo Chávez si presenta oggi come un paese in paralisi, con un’economia al collasso, una popolarità del presidente in calo e con profonde divisioni interne al regime.
In questi mesi l’impostazione di politica economica del governo Maduro è stata improntata alla continuità: sussidi, politica dei prezzi bloccati sui beni di prima necessità e sul carburante nonché afflusso costante di denaro cinese (a settembre Pechino ha concesso un nuovo prestito da 5 miliardi di dollari al Fondo congiunto sino-venezuelano in cambio di petrolio).
Espedienti, questi, che stanno conducendo il Venezuela verso il default finanziario nel breve-medio periodo: inflazione su base annuale prossima al 38%, disoccupazione galoppante (7,8%), costante svalutazione del Bolivar (la moneta nazionale ha perso quasi il 39% del suo valore rispetto al dollaro), spesa pubblica alle stelle (+39% nel 2014), continui blackout energetici, produzione petrolifera in calo (-1,84% rispetto all’anno precedente) e l’emergere di un mercato nero del cibo e dell’energia.
Il direttore per l’area latinoamericana del Fondo monetario internazionale, Adrienne Cheasty, ha definito la situazione venezuelana “insostenibile”.
L’affermazione elettorale del Partido Socialista Unificado de Venezuela (Psuv) di Nicolás Maduro nelle elezioni locali (8 dicembre 2013) – considerato da molti analisti un referendum sulle reali capacità del presidente in carica – potrebbe, tuttavia, concedere al leader venezuelano l’opportunità di adottare misure impopolari utili al rilancio economico.