Parliamo della sindrome di Behcet – Di Nadia Clementi

Il dott. Luca Cantarini è reumatologo e ricercatore presso il Dipartimento di Scienze mediche, chirurgiche e neuroscienze dell’Università degli studi di Siena

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La «Sindrome di Behçet» è una malattia rara ad origine immunitaria il cui nome deriva da quello del dermatologo turco Hulusi Behçet, che per primo descrisse nel 1937 i tre principali sintomi di questa malattia: le afte orali e genitali ricorrenti e l’uveite.
Purtroppo, però, queste non rappresentano le sole manifestazioni cliniche che possono colpire chi è affetto da questo raro disordine infiammatorio. La malattia può coinvolgere anche le articolazioni, la cute, il sistema nervoso centrale, i vasi venosi e arteriosi e il tratto gastrointestinale, con sintomi che arrivano a compromettere severamente la qualità di vita.
Questa malattia ha una distribuzione geografica molto particolare: la prevalenza più elevata sembra aversi in Giappone e in Turchia, ma è alta anche in paesi del Mediterraneo come Italia, Grecia, Israele, Egitto, Libano e Siria seguendo l’antica via della seta.
Benché alcuni studi scientifici abbiano ipotizzato un’origine genetica, l’eziologia della malattia di Behçet è ancora sconosciuta, non facile da identificare, la cui terapia va approntata caso per caso in base alle caratteristiche cliniche.
I malati affetti da questa sindrome, infatti, utilizzano molti farmaci ma spesso risultano ancora off-label, ovvero ad oggi indicati per altre malattie. Purtroppo sono pochi gli investimenti dedicati alle malattie rare e il ridotto numero dei pazienti spesso rende difficoltoso effettuare studi clinici adeguati.
 
Come accade per ogni malattia rara, le difficoltà che le persone affette devono affrontare sono molto numerose: oltre al dolore, alle cure da sopportare e al disagio nella vita di tutti i giorni, si aggiungono anche la difficoltà di diagnosi, la mancanza di cure e la scarsità di centri medici e di ricerca che possano aiutare i pazienti.
Dal 2007 Simba Onlus, associazione italiana sindrome e malattia di Behcet, si occupa di informare pazienti e familiari, tutelarne i diritti, promuovere la conoscenza della malattia, ed infine di raccogliere fondi da destinare alla ricerca in questo ambito.
La sede legale di SIMBA è in Toscana, ma sono presenti referenti dell’associazione nella maggior parte delle regioni italiane che, volontariamente, si mettono a disposizione di tutti i pazienti, fornendo sia informazioni relative ai diversi centri di riferimento per la diagnosi e la cura della malattia presenti nel territorio nazionale, che sostenendo i pazienti stessi nel difficile percorso che porta all'accettazione della diagnosi attraverso un servizio gratuito di ascolto e sostegno psicologico.
Nei primi nove anni di lavoro l’Associazione SIMBA ha raggiunto il numero di 500 associati ed oltre 800 contatti, operando sia attraverso il sito web disponibile all’indirizzo www.behcet.it sia attraverso le pagine presenti su facebook, twitter ed instagram.
 
Su questa malattia e sull’importanza della divulgazione e della ricerca abbiamo incontrato il dottor Luca Cantarini, reumatologo senese attualmente ricercatore universitario presso la Sezione di Reumatologia del Dipartimento di Scienze Mediche, Chirurgiche e Neuroscienze dell’Università degli Studi di Siena.

 Chi è il dottor Luca Cantarini  
Luca Cantarini è nato a Siena (Italia) il 14 Gennaio del 1974. Laureato in Medicina e Chirugia nel 2002 presso l’Università degli Studi di Siena (110/110 e Lode), si è Specializzato in Reumatologia presso l’Università degli Studi di Siena nel 2006 (70/70 e Lode).
È stato Rheumatology Fellow presso il Rayne Institute (Lupus Research Unit) del Guy’s and St Thomas Hospital Trust, Londra, U.K, nel 2003.
Corso di Perfezionamento in Reumatologia Pediatrica presso l’Università La Cattolica, Roma (Italia) nel 2007. 
Ha conseguito il Dottorato di Ricerca in Biomedicina e Scienze Immunologiche, sezione di Reumatologia Sperimentale nel 2009.
Attualmente è Ricercatore Universitario presso la Sezione di Reumatologia del Dipartimento di Scienze Mediche, Chirurgiche e Neuroscienze dell’Università degli Studi di Siena.
 
Organizzatore del XII Congresso Nazionale di Reumatologia Pediatrica nel 2013, Organizzatore del IV Convegno Nazionale della Sindrome di Hulusi-Behcet nel 2014 e membro del Comitato Scientifico del 50° Congresso Nazionale della Società Italiana di Reumatologia.
Dal 2013 è Coordinatore del Comitato Scientifico dell’Associazione Nazionale Febbri Periodiche (AIFP); dal 2014 Segretario del Gruppo di Studio sulle Malattie Autoinfiammatorie della Società Europea di Reumatologia Pediatrica (PRES) (Settembre 2014-Settembre 2017); sempre dal 2014 è Segretario del Gruppo di Studio sulle Malattie Autoinfiammatorie della Società Italiana di Reumatologia (SIR) (Novembre 2014). Referente per la diagnosi genetica delle Malattie Autoinfiammatorie dell’Università Federale di San Paolo del Brasile (UNIFESP) negli anni 2012-2013.
 
Membro delle seguenti società scientifiche: Società Italiana di Reumatologia (2006), Società Italiana di Pediatria (2009), Gruppo di Studio Italiano di Reumatologia pediatrica (2009), PRINTO (Pediatric Rheumatology International Trials Organization) (2009).
Membro del Comitato Editoriale di «Annual Supplement devoted to Behçet's and Autoinflammatory Conditions»‏ della rivista Clinical and Experimental Rheumatology e Membro dell’Editorial Board della Rivista Mediators of Inflammation.
Il dott. Cantarini è autore o co-autore di 182 publicationi (7 in corso di pubblicazione) su riviste internazionali, dedicate principalmente agli aspetti clinici, genetici e terapeutici delle Malattie Autoinfiammatorie Sistemiche e della Malattia di Behcet.

Dottor Cantarini, quanto è diffusa la malattia di Behçet in Italia e come vengono seguiti i pazienti?
«La Malattia di Behçet si manifesta con una prevalenza di 0,3-6,6 casi per 100.000 abitanti e pertanto rientra nel gruppo delle malattie rare.
«La maggiore prevalenza si riscontra in Medio Oriente e Giappone, ma è particolarmente presente in tutta l’area del Mediterraneo.
«I maschi sembrano essere leggermente più interessati rispetto alle donne, mentre l’età di esordio si attesta generalmente tra i 15 e i 45 anni, sebbene non siano rari i pazienti pediatrici ed anziani colpiti da tale patologia.»
 
Come mai la diagnosi di questa malattia è così difficile?
«Le manifestazioni della malattia di Behçet sono spesso subdole e pertanto non sempre facili da inquadrare; a volte i pazienti stessi tendono a dare poco valore a manifestazioni cliniche come l’aftosi orale ricorrente e i dolori addominali, spesso attribuiti a stati ansiosi o etichettati come espressione del più comune colon irritabile.
«A volte anche un sintomo fastidioso come la cefalea può passare inosservato per molto tempo e solitamente queste manifestazioni trovano un legame unico solo dopo la comparsa di eventi clinici più gravi ed eclatanti.
«Tra le altre manifestazioni cliniche, ce ne sono infatti alcune quali l’aftosi genitale, l’artrite, l’uveite, l’interessamento infiammatorio cerebrale o gli eventi trombotici che spingono, invece, il paziente a rivolgersi al medico in maniera più tempestiva.
«In questi casi è più facile giungere ad una diagnosi precoce, ma tali pazienti sono solitamente gravati sin dall’esordio da manifestazioni più invalidanti.»
 
Quali sintomi devono far scattare un campanello d’allarme?
«Risulta sempre molto utile rivolgersi al proprio medico di famiglia di fronte ad episodi di aftosi orale ricorrente con afte spesso di grandi dimensioni, molto dolorose, che impiegano diverso tempo per guarire, soprattutto se alle afte si associano altri sintomi come ulcere genitali, artralgie o artrite, dolore addominale, cefalea intensa, febbre, episodi trombotici o tromboflebiti in giovane età.»
 

Fotografie Tratte da: Cantarini L e al. Clin Rheumatol 2015;34:1141-3.
 
Come si convive e cosa rappresenta questa malattia nella vita di una persona che ne è affetta?
«Non è possibile descrivere in maniera netta e definita l’impatto che questa malattia esercita sulla qualità di vita di una persona.
«La malattia in sé può avere un ventaglio sintomatologico così ampio e delle espressioni cliniche così variegate che in alcuni pazienti possono determinare un impatto emotivamente devastante con una qualità della vita scadente e una drastica riduzione delle relazioni sia in ambito lavorativo che sociale.
«Un grande ruolo in termini di emarginazione sociale e diffidenza è ricoperto anche dalla mancanza di fonti di informazione serie ed affidabili capaci di fornire messaggi chiari e comprensibili a tutti, evitando mistificazioni e terrorismo psicologico.»
 
La ricerca che ruolo ha nell’aiuto ai malati? Quali sono le ultime scoperte scientifiche a riguardo?
«La ricerca scientifica in malattie rare come la malattia di Behcet svolge un ruolo centrale, infatti è solo grazie agli studi svolti negli ultimi anni se adesso siamo in grado di capire meglio alcuni dei meccanismi alla base di questa malattia e molti altri studi attualmente in corso sono rivolti a sciogliere i tanti dubbi ancora da risolvere sia sulla patogenesi che sulla migliore gestione del malato.
«Le più recenti innovazioni terapeutiche rappresentate dai cosiddetti farmaci biologici, inibitori delle diverse molecole dell’infiammazione, che oggi ci permettono di dare una risposta terapeutica soddisfacente a quei pazienti che in passato non riuscivano a trovare giovamento dalle terapie convenzionali, sono l’esemplare frutto di alcuni dei tanti studi che faticosamente sono stati condotti in questo campo.»
 
A quali centri possono rivolgersi le persone che sospettano di essere colpiti da questa malattia?
«Negli ultimi anni l’interesse crescente verso questa malattia ha fatto si che nascessero diversi gruppi di studio e diversi centri specializzati nella ricerca e assistenza alle persone affette dalla malattia di Behçet, che sono distribuiti su tutto il territorio nazionale. Nell’ambito del nostro centro, il gruppo di studio abbina all’attività assistenziale quotidiana e attenta anche una serie di progetti di ricerca che vanno dall’analisi biomolecolare alla ricerca di tipo clinico. 
«Sulla base di questi presupposti siamo riusciti a raggiungere obiettivi significativi non solo nell’ambito della malattia di Behçet, ma anche nel campo della diagnosi e del trattamento di altre malattie rare come le malattie autoinfiammatorie monogeniche, tra cui le febbri periodiche ereditarie, e le malattie autoinfiammatorie multifattoriali, giovandoci del supporto di esperti nella ricerca biomolecolare e genetica. 
«Tali risultati, sono stati resi possibili in virtù della vasta rete di collaborazioni nazionali ed internazionali, attive ormai da molti anni, con numerosi centri di riferimento per tali patologie.»
 

 
L’Associazione SIMBA che ruolo ha nella vita dei malati? In che modo anche noi possiamo aiutarli?
«Affrontare un percorso diagnostico e terapeutico è in generale un momento difficile per tutti, ma nell’ambito di malattie rare come la malattia di Behçet diventa ancora più arduo e frustrante a causa della scarsa presenza di informazioni e riferimenti.
«Le associazioni dei malati rappresentano pertanto un punto fermo con il ruolo straordinario di dare sostegno emotivo e le giuste indicazioni a chi ne ha bisogno.
«L’associazione SIMBA ha dei meriti straordinari, riuscendo ad essere un riferimento per tutti i malati di Behçet, occupandosi di svolgere un ruolo divulgativo serio e impegnandosi nella difficile opera di supporto alla ricerca con iniziative sempre più impegnative.
«Noi medici siamo grati a queste persone che mettono a disposizione le loro energie e le loro competenze sostenendo anche il nostro lavoro.
Tutti possiamo aiutare associazioni come SIMBA sia con una partecipazione attiva agli eventi e alle iniziative promosse sia tramite donazioni, poiché qualsiasi forma di sostegno ha un grande valore.»
 

 
Esiste una cura? E soprattutto esisterà in futuro?
«I farmaci oggi a nostra disposizione sono sempre più efficaci e nella maggior parte dei casi è possibile instaurare un trattamento ottimale attraverso terapie personalizzate nei singoli individui in rapporto soprattutto alla combinazione delle diverse manifestazioni cliniche ed alla loro severità.
«Inoltre negli ultimi anni, con l’avvento dei farmaci biotecnologici, è possibile intervenire in modo più mirato bloccando i meccanismi che sono alla base della patologia.
«Ciononostante restano da chiarire ancora molti aspetti in merito al ruolo del sistema immunitarionella genesi della malattia e sull’eventuale possibilità di creare terapie sempre più specifiche ed efficaci.
«Il futuro sarà il frutto dell’impegno di tutti e la ricerca continuerà ad impegnare le sue energie per riuscire a dare risposte ai tanti dubbi ancora presenti.»
 
Nadia Clementi - [email protected]
Dott. Luca Cantarini - [email protected]

Centro di Ricerca sulle Malattie Autoinfiammatorie Sistemiche e sulla Malattia di Behcet. Unità di Reumatologia del Dipartimento di Scienze Mediche, Chirurgiche e Neuroscienze, Università degli Studi di Siena.
Per informazioni (ambulatori): [email protected]
Tel. 0577 586778 attivo tutti i giorni dal lunedì al venerdì dalle ore 16.00 alle ore 17.00.