Il rapporto Censis/ 4 – Tutti i numeri dell’immigrazione
Gli stranieri in Italia inseguono una traiettoria di crescita verso la condizione di ceto medio, differenziandosi così dalle situazioni di Parigi e di Londra
L'immigrazione apocalittica e i processi minuti di integrazione
Gli stranieri in Italia inseguono una traiettoria di crescita verso la condizione di ceto medio, differenziandosi così dalle situazioni di concentrazione etnica e disagio sociale che caratterizzano le banlieue parigine o le innercities londinesi, dove l'islam radicale diventa il veicolo del rancore delle seconde e terze generazioni per una promessa tradita di ascesa sociale.
Tra il 2008 e il 2014 in Italia i titolari d'impresa stranieri sono aumentati del 31,5% (soprattutto nel commercio, che pesa per circa il 40% di tutte le imprese straniere, e nelle costruzioni, per il 26%), mentre le aziende guidate da italiani diminuivano del 10,6%.
A fine settembre i migranti sbarcati in Italia sono stati 132.071, il 10% in meno rispetto allo stesso periodo dell'anno scorso.
Nei primi nove mesi del 2015 le 42.801 domande di asilo hanno portato nel 23,6% dei casi all'attribuzione della protezione umanitaria, nel 15,8% di quella sussidiaria e nel 5,5% al riconoscimento dello status di rifugiato.
L'altra metà, al netto dei possibili ricorsi, andrà incontro a un diniego e all'obbligo, non sempre rispettato, di lasciare il nostro Paese.
Erano 70.652 gli stranieri irregolari rintracciati in Italia nel 2008, ma la cifra si è ridotta a 30.906 nel 2014 e sono stati 23.112 nei primi nove mesi del 2015.
I rimpatri hanno avuto un picco nel 2011 (25.163), seguito da un netto calo fino a oggi: 10.559 tra gennaio e settembre del 2015.
Lo sforzo delle istituzioni per ampliare la rete dell'accoglienza è testimoniato dal numero di posti più che quadruplicati in due anni, dai 22.000 del 2013, prevalentemente concentrati nelle regioni meridionali, ai 98.000 del settembre 2015, distribuiti in tutte le regioni.
Ma l'integrazione è un processo che, se certamente va accompagnato dall'alto, si compie nella fisiologia dei comportamenti quotidiani.
Il 66% dei giovani italiani di 18-34 anni si dichiara favorevole ad accogliere nel nostro Paese le persone che fuggono da guerre e miseria, mentre tra gli anziani la percentuale è molto più bassa (37,2%).
Il 44% degli italiani, inoltre, ritiene che è cittadino italiano chi nasce sul suolo italiano, per il 33% chi vive in Italia per un certo periodo di tempo minimo (non importa dove sia nato), per il 19% chi ha genitori italiani.
Lo «ius soli» (il diritto di cittadinanza agli immigrati acquisito automaticamente con la nascita in un territorio) è quindi il criterio privilegiato.
Politica e società ancora fuori sincrono: la politica come performance delle riforme
Quanto più lo Stato non rappresenta un baluardo sicuro per gli individui rispetto alle minacce al loro benessere, tanto più la politica deve farsi performance: deve tagliare con il passato ed essere percepita come veloce, efficace, risolutiva.
Ma resta un deficit di fiducia nei cittadini. La globalizzazione continua a dividere gli italiani: conserva un valore positivo solo per il 39%, il 47% ne dà invece un giudizio negativo, il 14% è incerto.
Sul libero mercato gli italiani esprimono un consenso largo: il 66% ne dà un giudizio positivo, solo il 25% si mostra critico, il 9% non ha un'opinione in proposito.
Ma allo stesso tempo il 39% considera positivamente il protezionismo, contro il 46% che esprime una valutazione negativa e il 15% di dubbiosi.
Solo il 23% degli italiani ritiene che l'Ue tenga opportunamente conto dei nostri interessi nazionali (contro una media europea, riferita ai rispettivi interessi nazionali dei diversi Paesi membri, pari al 40%), mentre due terzi (il 67%) sono convinti del contrario.
Gli italiani si distinguono per un livello di fiducia accordato alle diverse istituzioni politiche più basso di quello espresso dai concittadini europei: solo quote minime hanno fiducia nei partiti politici (9%), nel Governo (16%), nel Parlamento nazionale (17%), e la percentuale di quanti ripongono fiducia nell'operato delle autorità regionali e locali (il 22%) è meno della metà di quanto si riscontra in media nel resto del continente (47%).
Bassi anche i giudizi di fiducia su Commissione europea (39%) e Bce (35%).
Il restringimento del welfare che alimenta gli squilibri sociali
La spesa sanitaria pubblica, cresciuta dal 2007 al 2010 da 101,9 miliardi di euro a 112,8 miliardi, negli ultimi anni ha registrato una inversione di tendenza, con una riduzione tra il 2010 e il 2014, attestandosi nell'ultimo anno a 110,3 miliardi.
La spesa sanitaria privata delle famiglie, invece, dal 2007 al 2014 è passata da 29,6 a 32,7 miliardi, raggiungendo il 22,8% della spesa sanitaria totale.
La percentuale di famiglie a basso reddito in cui nell'ultimo anno almeno un membro ha dovuto rinunciare o rimandare prestazioni sanitarie è elevata: il 66,7%.
E sono 7,7 milioni le persone che si sono indebitate o hanno chiesto un aiuto economico per pagare cure sanitarie.
Anche l'andamento del Fondo nazionale per le politiche sociali testimonia il progressivo ridimensionamento dell'impegno pubblico, nonostante il parziale recupero degli ultimi tre anni: 1.565 milioni di euro nel 2007, 43,7 milioni nel 2012, 400 milioni nel 2015 (-74,4% nell'intero periodo).
Un andamento simile riguarda anche il Fondo per la non autosufficienza, che nel 2012 non è stato neanche finanziato, per poi salire a soli 400 milioni di euro nell'ultimo anno.
Il ricentraggio decisionale e la deriva politica dei territori
La quota di liste civiche sul totale delle liste che si presentano alle elezioni nei Comuni capoluogo è salita dal 30% al 65% tra il 2007 e il 2015.
Tale crescita corrisponde all'esigenza delle élite locali di affermare il proprio diritto all'autogoverno, relativizzando il peso dei partiti politici di appartenenza.
Il fenomeno del trasformismo è poi in crescita. Ad oggi il tasso in Parlamento (eletti che cambiano schieramento rispetto agli eletti totali) è del 19,5% (non arrivava al 19% nell'intera Legislatura precedente).
I «cambi di casacca» sono in media 5 al mese nei Consigli regionali, 6,1 nel valzer parlamentare: un valore molto più alto di quello della precedente Legislatura (3,0).
Il rapporto Censis/ Fine