Storie di donne, letteratura di genere/ 19 – Di Luciana Grillo
L’autrice racconta, con uno stile estremamente chiaro e lineare, sempre attentamente controllata, con piglio giovanile, del terremoto che la mise alla prova
Titolo: Dal Pindo al Gran Sasso
Autrice: Anna Maria Scotto di Marco
Editore: Hobos Edizioni, 2013
Prezzo di copertina: € 9.00
Anna Maria Scotto di Marco, laureata in Scienze Naturali e successivamente in Scienze Biologiche, genovese di nascita, pugliese di adozione, è stata per molti anni un’insegnante.
Dopo il pensionamento si è dedicata, oltre che a ricerche storico-artistiche e al volontariato, alla pittura (“croste per i suoi figli”) e alla scrittura autobiografica.
Da qui, nasce il suo primo romanzo, Dal Pindo al Gran Sasso, che tratta un tema di particolare interesse: il terremoto.
Di terremoti, in genere, si parla quando devastano un territorio.
Allora, per giorni e giorni, i media ci inondano di immagini terribili e crudelmente banali: donne che piangono, bambini impauriti, uomini che illustrano i danni subiti.
Anna Maria Scotto di Marco ha imbastito una storia che affascina il lettore soprattutto perché ha il sapore della verità.
Infatti è una storia vera, e i protagonisti che attraversano le pagine sono persone, non personaggi, con i loro nomi, le loro professioni, le loro vicende.
Tutto inizia il 6 aprile 2009, quando l’autrice si alza, prepara il caffè e, quasi automaticamente, accende la tv.
Da quel preciso istante, le immagini televisive e gli squilli dei telefoni – ora il fisso, ora il cellulare – non le danno più pace.
È una ragnatela di rapporti familiari e amicali che si interseca e si sovrappone: la figlia, l’amica, il fratello… tutti vogliono rassicurare o sapere o informare…
Anche le notizie si accumulano disordinatamente: aumentano i feriti di minuto in minuto, le scosse si susseguono, i campanili crollano.
E questo è solo l’inizio!
C’è chi reagisce con coraggio e determinazione, chi si lascia afferrare da una crisi di nervi, mentre si teme lo sciacallaggio e si deve decidere, velocemente, se partire o restare nella città ferita.
L’autrice, di pagina in pagina, di capitolo in capitolo, intreccia la vicenda del figlio Tommaso e della sua famiglia con quella di un giovane greco, Giorgio, responsabile di gruppi di studenti greci che frequentano l’Università abruzzese.
Al fianco di Giorgio, compare la moglie Rosanna, giovane e grintosa pugliese che ha dovuto affrontare e superare - per sposare il suo montanaro epirota, Georgios, - i pregiudizi e le rigidità della famiglia greca.
L’autrice, con uno stile estremamente chiaro e lineare, servendosi di un’espressione sempre attentamente controllata, con piglio giovanile, racconta anche questo, perché i protagonisti rimangano sempre persone, con il loro passato e la loro vita che il terremoto, con le drammatiche e inevitabili conseguenze, mette duramente alla prova.
Il breve romanzo, di lettura assai scorrevole, appassionante e sempre assolutamente vero, si conclude quattro anni dopo, ancora una volta in aprile: i bambini delle giovani coppie sono cresciuti, si ritrovano a Roma, c’è chi fa il pendolare Roma/L’Aquila, chi ha lasciato definitivamente la casa nella povera città ancora da ricostruire, chi ha nuovi progetti e tanto entusiasmo, chi invece si sente vinto e fa fatica a ricominciare.
Così si chiude questa storia che si dipana su due registri: in prima persona parla l’autrice, mamma, suocera e nonna premurosa; in terza persona scorrono le vite degli altri, persone capaci di affrontare le difficoltà e di superarle con intelligente fermezza.
Si lascia leggere, questo romanzo breve, e non passa invano nella mente dei lettori; perciò bisogna affidarlo anche ai ragazzi, agli adolescenti, perché si confrontino con la vita vera, mettendo da parte, per un po’ di tempo, i loro preziosi e inseparabili strumenti digitali.
Anna Maria Scotto di Marco ha scelto, dunque, per la sua prima prova come scrittrice, una storia vera, che parte dal dramma del sisma e segue l’intreccio di tante giovani vite, di qua e di là dell’Adriatico.
Anche la copertina risponde a una scelta di verità, perché propone la fotografia, scattata da uno sconosciuto fotografo, che ci mostra la faglia di Paganica in tutta la sua drammaticità, evocatrice del male che la natura, tante volte oltraggiata, può provocare all’uomo quando si ribella.
Luciana Grillo