Waimer Perinelli racconta il Teatro Sociale di Trento – Di D. Larentis

Il noto giornalista e critico teatrale presenta in un libro i duecento anni di storia del teatro, centro della vita mondana e culturale di Trento – L’intervista

Il Teatro Sociale di Trento - Foto di Marco Comuzzi.
 
In un appassionante ed esaustivo volume dal titolo «Teatro Sociale di Trento - Duecento anni - 1819|2019 - Viaggio nella storia e negli spettacoli», il noto giornalista e critico teatrale Waimer Walter Perinelli ripercorre le vicissitudini di quello che non solo è stato, ma resta l’emblema della vita mondana di Trento, un teatro situato nel cuore del centro storico cittadino, il cui palcoscenico ha ospitato nei suoi due secoli di vita autori dai nomi illustri, offrendo momenti impareggiabili fin dal 1819, anno della sua inaugurazione.
Stiamo parlando di un gioiello architettonico che ha incantato e incanta ancora, attraverso la sua magnificenza e il suo splendore, la sua produzione musicale, teatrale, artistica, i diversi pubblici che si sono susseguiti nel tempo.
 
Ma che cosa è un teatro, che cosa rappresenta per gli abitanti di una città, di un territorio?
Lo si può innanzitutto intendere come uno spazio che coniuga identità e relazione; in un mondo tecnologico globale dominato dalla rete, dalla televisione, il teatro assume via via nuovi significati.
Andare a teatro non è più simbolo di distinzione sociale come nel passato, resta comunque prerogativa non tanto dei cosiddetti ricchi, intesi unicamente come possessori di beni materiali, di mezzi, ma dei ricchi dal punto di vista culturale, cioè di tutti coloro che considerano la cultura una ricchezza imprescindibile.
C’è chi dice che forse occorrerebbe sempre guardare con una punta di sospetto chi non capisce l’importanza di investire nella cultura, il nostro vero patrimonio, specchio della società che lo produce. 

Copertina del volume, Monique Foto.

La cultura è un concetto polisemico che può essere tradotto in vari modi, può essere pensata anche come un agire in un universo semiotico e sociale in continua ridefinizione, ha a che vedere con l’attribuzione dei significati, è un insieme di atteggiamenti, di valori condivisi; la Treccani la definisce, fra le varie accezioni, come «l’insieme delle cognizioni intellettuali che una persona ha acquisito attraverso lo studio e l’esperienza, rielaborandole peraltro con un personale e profondo ripensamento così da convertire le nozioni da semplice erudizione in elemento costitutivo della sua personalità morale, della sua spiritualità e del suo gusto estetico, e, in breve, nella consapevolezza di sé e del proprio mondo».
 
L’esperienza dell’andare a teatro è un’esperienza arricchente; attraverso il teatro lo spettatore si mette in ascolto; da sempre, osservando ciò che avviene sul palco in realtà osserva se stesso, la finzione teatrale mette in scena l’esperienza umana in tutte le sue declinazioni, in un continuo processo di costruzione di senso.
Questo prezioso libro ci svela molto della storia ma anche dello spirito degli abitanti di Trento, a partire dall’intraprendenza di Felice Mazzurana, l’imprenditore, «il caffettiere», «il locandiere», l’uomo dalla cui intuizione nacque l’idea di dotare la città di uno spazio che da subito si conquistò un posto di rilievo, che fu ed è ancora un punto di riferimento importante, un luogo simbolo di cui andare orgogliosi.
 
Questa è una pubblicazione che non è da intendersi come «l’ennesima storia del Teatro Sociale, ma un racconto», sottolinea Perinelli. Il racconto di un teatro, dei suoi spettacoli di elevata qualità artistica, dei suoi interpreti, dei suoi autori. È una narrazione che nasce da un dono, come lui stesso rivela, affidatogli dalla stimata giornalista e critico teatrale Laura Mansini. 

Storica locandina del  Club Armonia al debutto al Sociale con  Vecie Storie di Dante Sartori,  1927.

Non vogliamo anticipare troppo, del resto siamo dell’idea che i libri non vadano letti - potremmo dire - per interposta persona, ma vadano letti, assorbiti, fatti propri in maniera diretta, anche se utilizzare strumenti di interpretazione quali una recensione, un’intervista, un articolo, una presentazione ecc. può risultare assai gradito e anche utile, talvolta.
 
Segnaliamo alcune brevi note biografiche dell’autore, prima di passare all’intervista, anche se Waimer Walter Perinelli non ha certo bisogno di presentazioni, essendo molto conosciuto nell’ambiente culturale trentino (e non solo). Laureato in Sociologia all’Università di Trento, esercitatore presso la cattedra di Antropologia Culturale dell’ateneo, giornalista, vice caporedattore Rai, critico teatrale, capoufficio stampa del Teatro Stabile di Bolzano dal 1980 al 1992, Presidente del Centro d’Arte La Fonte, ha pubblicato numerosi saggi fra i quali ricordiamo quello intitolato «Massima espansione e crisi del teatro pubblico in Italia» in Sociologia della Comunicazione FAE Riviste Angeli Editore.
 
Ha collaborato con Ricciotti Lazzero alla ricerca per il volume «Le SS italiane» Rizzoli.
Nella collana del Centro d’Arte La Fonte ha curato le biografie e allestito mostre di pittori: «Giuseppe Angelico Dallabrida»; «Il cenacolo di Villa Stella» biografia di Oddone Tomasi; «Ricordo di Luigi Prati Marzari», «Vita e opere di Elio Ciola»; «I gemelli Edmundo ed Eriberto Prati»; «La grande arte di Caldonazzo» mostra a Palazzo Trentini, «Mario Manzini, ritorno a Verona» mostra a Palazzo del Capitanio di Verona e volume biografico del pittore.
Ha curato con l’Associazione Arte Timbrica di Aldo Pancheri la mostra a Palazzo Trentini di Trento, e il volume «Guerre o pace» in occasione del centenario della fine della Prima Guerra Mondiale, nonché «Viaggio nel colore e nel segno» a Palazzo delle Albere, esposizione dedicata a Renato Pancheri, a dieci anni dalla sua scomparsa, e ad Aldo Pancheri, figlio di Renato.
Abbiamo avuto il privilegio di porgergli alcune domande.
 

Waimer Walter Perinelli - Foto di Claudio Rensi.
 
Come è nata l’idea di scrivere un libro dedicato al Teatro Sociale di Trento?
«L’idea è nata da un dono. Luigi Pontalti, chiamato dagli amici del tempo Gigioti, uno dei fondatori e collaboratore del Club Armonia, donò agli inizi degli anni Ottanta del Novecento un fascicolo contenente appunti, brevi annotazioni, locandine, stringate note relative alla storia del Teatro Sociale alla giornalista e critico teatrale Laura Mansini, mia moglie, la quale successivamente lo affidò a me chiedendomi di scrivere un libro.»
 
Da un punto di vista metodologico come ha condotto l’analisi delle fonti?
«Il metodo è quello storico e antropologico; sono partito dall’analisi dei documenti che avevo a disposizione, il dossier di Gigioti Pontalti, dati scarni di cui ho preso visione e che ho verificato e completato, andando peraltro a consultare gli archivi della Biblioteca Civica di Trento, potendo contare sulla mia lunga esperienza maturata in ambito teatrale, sono stato infatti per 12 anni addetto stampa presso il Teatro Stabile di Bolzano.»
 
Il Teatro Sociale nacque dall’intraprendenza di un privato. Quando e in che contesto venne costruito?
«Fu il caffettiere e locandiere Felice Mazzurana ad avere l’intuizione, in una fase di trasformazione politica, sociale ed economica, di dotare la città di una nuova sala teatrale, quando entrò in crisi il teatro Osele (chiamato anche Oseli, un teatro che si trovava tra la Contrada Todesca, via San Pietro e piazza della Mostra, costruito a partire dal 1760 da Domenico Osele) che all’epoca mostrava segni di degrado e aveva bisogno di una ristrutturazione.
Mazzurana si rivolse quindi a coloro che potevano spendere soldi, i nobili, i borghesi, fondando, in estrema sintesi, una Società di Palchettisti e offrendo in prevendita i futuri palchi.»
 
Quale fu il grande merito di Felice Mazzurana?
«Felice Mazzurana fu un imprenditore privato che ebbe il merito di aver intuito che alla città di Trento serviva un nuovo teatro.
«Il figlio di Domenico Osele, Giovanni, non aveva certo rinunciato, anzi, voleva ristrutturare anche lui, però Felice Mazzurana ebbe, potremmo dire, un’iniziativa maggiore, una spinta maggiore, e riuscì a coinvolgere i nobili trentini e i ricchi borghesi trentini in questa sua iniziativa.
«Il suo merito fu quindi quello di aver fiutato l’affare e di aver dato alla città un teatro all’altezza dei tempi.»
 

Patrizia Milani in Il Barbiere di Siviglia di Beaumarchais, 1988-1989, regia  Marco Bernardi - Teatro Stabile di Bolzano.
 
Con quale opera il teatro venne ufficialmente inaugurato nella primavera del 1819?
«Il teatro venne ufficialmente inaugurato il 29 maggio 1819 con l’opera La Cenerentola di Gioachino Rossini (che poi nel tempo sarà uno degli autori più rappresentati, infatti poco dopo, già in luglio, verrà dato anche Il Barbiere di Siviglia).
«Maestro direttore fu il trentino Antonio De Gasperi, il quale era primo violino e direttore d’orchestra della Scuola Filarmonica. La reale apertura al pubblico avvenne però una settimana prima, il 23 maggio 1819, in quanto la data del 29 maggio coincideva con la Pentecoste; proprio per evitare malumori fra i cattolici più osservanti Mazzurana decise di proporre l’evento come la Serata dei Preti, infatti furono in molti a partecipare (Girolamo Graziadei si meravigliò del fatto che ci furono tantissimi preti di ogni ordine e grado presenti il 23 maggio, molti di meno il 29).
«L’incasso servì per pagare le maestranze, gli artigiani e i pittori che avevano costruito e decorato il teatro.»
 
Quali furono le ragioni che spinsero Felice Mazzurana a vendere la sua «creatura»?
«Il teatro entrò in crisi per una ragione sostanzialmente economica; innanzitutto era costruito di legno e, pur essendo per l’epoca un bel teatro, aveva bisogno dopo 14 anni di essere messo in sicurezza e di essere restaurato.
«Occorre tenere in considerazione che le opere erano costosissime; le molte spese dissanguarono il povero Felice Mazzurana, infatti nel 1833 il teatro vene chiuso in attesa di essere acquistato dal miglior offerente.
«Venne rilevato quasi subito da Vincenzo Panicali e Albino Caldelpergher, per poi essere venduto a distanza di poco più di un anno alla Società del Teatro (da cui deriva il nome Teatro Sociale) formata dai palchettisti.»
 
E poi cosa accadde in breve?
«Fu approvato uno Statuto che restò in vigore per 102 anni, fino al 1937. Nel 1848 e 1849, a causa probabilmente della Prima guerra d’Indipendenza, il Teatro Sociale restò chiuso per poi riaprire nel 1850 (con la riapertura tornò l’opera di Giuseppe Verdi).
«Nel 1859 il teatro chiuse nuovamente per poi riaprire dieci anni dopo. Furono anni di guerra e di progresso tecnologico, si pensi che proprio nel 1859 le vie del centro cittadino vennero illuminate con lampade a gas, la luce elettrica fu introdotta invece nel 1890.
«Fra varie traversie, restauri, chiusure e riaperture, si arrivò al nuovo secolo, nel 1914 il Teatro Sociale fu requisito dalle autorità militari per riaprire nel 1919, a guerra conclusa. Mutarono i tempi, si trasformò anche il pubblico, nel frattempo aprirono altre sale, fra cui il Modena.
«Negli anni Trenta il Teatro Sociale ritornò di proprietà privata, in quegli anni venne ridotta la proposta d’opera, a causa dei costi elevati, concedendo più spazio invece alla prosa, all’operetta e al cinema.
«Nel 1943 la stagione lirica si chiuse con Il Barbiere di Siviglia di Rossini, a causa della guerra in corso. Dopo la fine della Seconda guerra mondiale la società era profondamente cambiata, l’opera lirica continuava ad essere economicamente poco competitiva; una apprezzata rappresentazione operistica si ebbe con l’interpretazione di Gianna Pederzini, nel 1948.
«Una maggior fortuna rispetto alla lirica, dalla metà degli anni Quaranta al 1983 ebbe la programmazione drammaturgica.
«Fra i protagonisti trentini ricordiamo Edda Albertini, Anna Maestri e Anna Proclemer.
«La programmazione di prosa al Sociale fu poi promossa nel 1969 dall’assessore alla cultura Gios Bernardi, nel 1978 il Comune assunse in proprio la gestione della stagione.»
 

Ricordo di Riccardo Zandonai 1952 archicio Pontalti Mansini.
 
Quale fu la causa del ridimensionamento della stagione lirica?
«La causa fu di natura economica. Innanzitutto c’era la necessità di continui lavori di ristrutturazione, anche l’introduzione della luce a gas ebbe un costo, come quella della luce elettrica.
«Vi era grande difficoltà nel gestire a teatro i concerti operistici dovuta ai costi elevati che essi comportavano; le opere costavano tanto, ingaggiare un tenore costava parecchio.
«Il Teatro Sociale per oltre cento anni propose spettacoli di elevata qualità artistica con autori, intrepreti ed esecutori di grande spessore. Abbiamo citato nomi di celebri compositori come Rossini, ma dobbiamo ricordare anche Puccini, Donizetti, Verdi, Wagner, il nostro Zandonai.
«Tutto era costoso. La prosa, invece, che pure era presente in quegli anni, anche se in tono minore, lo era meno. Anche gli allestimenti erano meno costosi, le opere liriche richiedevano invece una grande scenografia.»
 
Per quanto riguarda la prosa, condividerebbe con noi il ricordo di qualche protagonista trentino del Novecento?
«Sono tantissimi, per la prosa cito Edda Albertini, Anna Proclemer, Anna Maestri, Marco Bernardi, Giancarlo Zanetti. Ricordo le parole del noto regista Marco Bernardi, direttore del Teatro Stabile di Bolzano dal 1980 al 2015, consulente artistico per il teatro del Centro Santa Chiara, il quale disse: “Non sarei diventato regista o comunque un protagonista del teatro – trentino ma anche nazionale e internazionale – se non ci fosse stato il Teatro Sociale”.»
 
Quando divenne pubblico completamente?
«Il Teatro Sociale di Trento divenne pubblico completamente nel 1984 con l’acquisto della Provincia. Nel 1987 venne dato il via alla ristrutturazione (i lavori del primo lotto iniziarono nel 1989).
«Durante i lavori di restauro descritti in diverse pubblicazioni dagli architetti Franco e Sergio Giovanazzi, intervenuti in una prima fase con l’architetto Paolo Margoni, venne rinvenuto un importante sito archeologico in piazza Cesare Battisti, un accadimento che allungò i tempi dell’intervento, il resto è storia recente.
«L’apertura del teatro risale al giugno del 2000; il grande protagonista dei primi 19 anni di nuova vita del Teatro Sociale è il Centro Servizi Culturali Santa Chiara.»

Lei ha maturato una grande esperienza nell’ambito culturale; assumendo una prospettiva sociologica, come è cambiato a suo avviso il pubblico nel tempo?
«Il pubblico è cambiato perché è cambiata la società. Inizialmente il pubblico del teatro era un pubblico nobile e borghese che amava vedere rappresentata la realtà sul palcoscenico.
«All’inizio il teatro era un luogo di élite, vi andavano le famiglie in vista, i grossi farmacisti, i grandi notai, chi comprava un palco lo faceva anche per aumentare il proprio prestigio, non averlo era veramente una condanna sociale, tanto che chi fu pigro nel comprarlo dovette acquistarlo dai furbi piccolo borghesi che ne avevano comprati in maggior numero per rivenderli.
«Le cose sono cambiate nel corso del tempo, anche se ancora adesso all’Arena di Verona o al Teatro Romano, per esempio, esserci è ancora simbolo di appartenenza a una categoria sociale.»
Riccardo Zandonai 1952 archicio Pontalti Mansini.

Nell’immaginario collettivo i fruitori abituali di teatro, volendone tracciare un immaginario identikit, avrebbero un grado di istruzione medio elevato e un’età medio-alta. I giovani come si inseriscono in questo ipotetico quadro?
«I giovani non sono colpevoli di nulla. I giovani vanno coinvolti. Devono essere quelli che propongono lo spettacolo a coinvolgerli, è chiaro che non puoi costringere un giovane a stare sei ore seduto in teatro, perché il giovane non ha più questa voglia e questo tempo, in più non si vede rappresentato e non si vuole rappresentare.
«E quindi non ha scopo per lui andare a teatro. Ma se ai ragazzi si propongono spettacoli adatti alla loro formazione e al loro senso del tempo e sensibilità personale allora ci vanno volentieri.
«La scuola ha il compito di preparare i giovani, l’insegnante che accompagna a teatro gli studenti prima li deve preparare su ciò che andranno a vedere!»
 
L’offerta teatrale è uno degli asset culturali che concorrono a uno sviluppo integrato del territorio. Cosa pensa a riguardo?
«È vero, io plaudo per esempio a certe iniziative come Coordinamento Teatrale Trentino ecc.; attraverso la diversificazione dei palcoscenici nelle diverse realtà si riesce a coinvolgere il tessuto sociale e culturale di un dato territorio e quindi penso che ancora adesso il teatro, per quanto abbia concorrenze spietate, prima di tutto il cinematografo, in secondo luogo la televisione e non solo, la rete, YouTube, può ancora, se proposto bene, rappresentare uno strumento di integrazione sociale, di educazione, di elevazione culturale.»
 
Una domanda di attualità. Qual è il punto di forza della stagione teatrale in corso e a che pubblici si rivolge?
«Come ormai da tradizione ci sono due rassegne, una la Grande Prosa e Altre Tendenze. Sono entrambe molto interessanti con alcune novità. La prima è il debutto di entrambe al Teatro Sociale, che dal 2015 è tornato il teatro per eccellenza della città.
«Il secondo aspetto importante è la presenza di autori classici quali Eschilo, Moliere, Goldoni, Miller e di nostri contemporanei quali Mark Haddon e Yasmina Reza senza dimenticare Andrea Castelli autore, interprete e regista di La Meraviglia.
«Fra gli interpreti spiccano Alessandro Haber e un gruppo di giovani quali Luigi Lo Cascio, Sergio Rubini, Anna Foglietta. Il Sociale avrà insomma tradizione e contemporaneità.
«Non è mai stato il solo teatro della città è stato sempre il più importante, prestigioso: lo specchio delle vanità dei trentini. Uno specchio dorato.»
 
Segnaliamo a chi fosse interessato all’acquisto del libro che lo potrà trovare presso la libreria Ancora di via Santa Croce e presso la libreria Il Papiro di via Grazioli a Trento.

Daniela Larentis – [email protected]