Ospedale San Camillo di Trento, un tesoro che si chiama Giusto Pignata – Di Nadia Clementi
Parliamo di interventi in «laparoscopia» con Direttore dell’Unità Complessa di Chirurgia Generale Tecnologie Mini-Invasive dell'Ospedale S. Camillo di Trento
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Il dott. Giusto Pignata è uno dei i chirurghi italiani più qualificati in interventi di laparoscopia. È di Treviso e opera al san Camillo di Trento che grazie a lui, è divenuto un centro di eccellenza.
Il prof. Piagnata ha gentilmente concesso in esclusiva per il nostro giornale questa intervista raccontandoci l’amore per la sua professione e il suo impegno per offrire ai pazienti interventi sempre meno traumatici e invasivi.
Breve Curriculum prof. Giusto Pignata |
Dottor Giusto Pignata, che cos’è la laparoscopia?
«La videolaparoscopia (VLS) è un’evoluzione dell’approccio chirurgico che rende in molti casi superati i classici interventi con apertura dell’addome. Essa viene eseguita attraverso piccole incisioni e l’uso di una particolare strumentazione, che rende inutili le lunghe incisioni che normalmente vengono impiegate con la chirurgia tradizionale.
«La laparoscopia(dal greco lapara = addome e scopeo = guardo) è stata introdotta negli anni 40 dapprima per un impiego diagnostico medico, quindi negli anni 70 per alcuni interventi ginecologici. Ma da metà degli anni 80, quando fu eseguita la prima colecistectomia laparoscopica, si è andata diffondendo fortemente, sia per la continua richiesta dei pazienti che per il miglioramento della strumentazione e la miglior conoscenza tecnica. Dagli anni 90 il numero, la tipologia e la complessità degli interventi eseguiti con questa metodica si sono enormemente ampliati.
«La storia della chirurgia degli ultimi 20 anni è stata caratterizzata dal progressivo incremento della chirurgia laparoscopica. Le procedure mini-invasive, basate sull'utilizzo di una piccola video-camera e strumenti specifici per uso endoscopico, hanno permesso di eseguire le differenti procedure chirurgiche addominali senza ricorrere ad estese incisioni.»
Che vantaggi presenta rispetto alla chirurgia tradizionale?
«Il vantaggio è enorme, in quanto il dolore postoperatorio è minimo. Il paziente può alzarsi e bere il giorno dell'intervento, mangiare il giorno dopo e può essere a casa entro 2 giorni per la maggioranza delle procedure minori. Inoltre da un punto di vista estetico il risultato è lampante rispetto alla chirurgia convenzionale.
«Il ridotto trauma sull'organismo determina una minore attivazione di quelle sostanze che vengono liberate normalmente in corso di interventi chirurgici. Il basso livello di queste sostanze riduce il malessere ed il senso di spossatezza nel postoperatorio e permette all'organismo di mettere in atto quei meccanismi di autoguarigione che gli sono propri.
«I vantaggi della chirurgia laparoscopica rispetto a quella convenzionale sono così riassumibili:
Il ridotto dolore postoperatorio permette di effettuare respiri profondi, ventilando i propri polmoni e riducendo i rischi di complicanze respiratorie postoperatorie. Questo effetto è dovuto alla limitata estensione delle ferite muscolari.
Minor rischio di Sanguinamento.
Minor rischio di Infezioni.
Quindi ridotta assunzione di antidolorifici rispetto alla chirurgia tradizionale.
Rapida ripresa delle proprie attività, infatti il paziente è in grado di alzarsi poche ore dopo l’intervento ed il giorno successivo di camminare agevolmente.
Rapida dimissione: la maggioranza dei pazienti fa ritorno a casa entro 2 giorni.
Rapida ripresa della funzione intestinale, riduce i disagi tipici del postoperatorio , quali addome gonfio ed impossibilità ad evacuare. possibilità di alimentarsi il giorno dopo.
La rapida mobilizzazione e l’allettamento minimo e quindi ridotta incidenza di alcune complicanze respiratorie, circolatorie e cardiache.
«È stato inoltre dimostrato come la chirurgia laparoscopica provochi un aumento delle difese immunitarie, a differenza di quella tradizionale che invece le deprime. Infatti è ridotta la secrezione di quelle sostanze, dette mediatori dell'infiammazione (TNF, Interleuchine, citochine), che intervengono nel processo postoperatorio di guarigione e quindi la depressione immunitaria postoperatoria viene inibita.
«È quindi molto indicata per i pazienti più deboli od anziani o comunque per i pazienti ad alto rischio, proprio per la riduzione delle complicanze postoperatorie che comporta.»
Quali interventi possono essere fatti con la laparoscopia? Quali patologie?
«Le controindicazioni e i limiti della metodica sono quelle proprie della chirurgia tradizionale, quindi non dettate dalla patologia ma dalle situazioni generali del soggetto che lo mettono a rischio anche nei confronti dell’intervento chirurgico in generale.
«Controindicazioni assolute possono essere legate alla impossibilità di eseguire un’anestesia generale, mentre controindicazioni relative sono legate alla dimensione della lesione, a stati occlusivi, a grave compromissione dei parametri vitali.
«Praticamente tutti gli interventi chirurgici sono stati riprodotti con le tecniche mini-invasive, ma solo una parte di questi è stata riprodotta in maniera standardizzata e quindi routinariamente eseguibile.
«Queste metodiche necessitano però di una adeguata formazione del personale medico e paramedico che la eseguono, e dunque è ragionevole che vangano eseguite solo in Centri che abbiano una specifica competenza.»
Un’operazione in laparoscopia dura più a lungo di una tradizionale?
«Non necessariamente, bisogna sfatare il concetto che la chirurgia mini-invasiva duri più a lungo rispetto alla chirurgia tradizionale o che è una chirurgia diversa. Le metodiche laparoscopiche riproducono le tecniche chirurgiche tradizionali standard sia nei tempi che nella tecnica.
«Ripeto che necessitano però di una adeguata e specifica formazione.»
Da quand’è che lei opera in laparoscopia?
«Ho eseguito il primo intervento di colecistectomia nel 1990 e la mia prima resezione di colon nel 1992, quindi sono oltre vent’anni.»
Ci vuole una particolare predisposizione per operare in questo modo?
«Fondamentalmente ci vuole una preparazione psicologica molto importante, perché il chirurgo deve allontanarsi dal tavolo operatorio, quindi operare a distanza e cambiare l’approccio tattile (la sensibilità delle mani viene trasferita all’apice degli strumenti), avere una conoscenza esatta della posizione degli strumenti in rapporto alla posizione del proprio corpo.
Ha fatto studi particolari prima di dedicarsi alla laparoscopia?
Negli anni in cui è iniziata la chirurgia mini-invasiva ho avuto un periodo di formazione di 9 mesi presso la Cleveland Clinic Foundation in Ohio (America) per lo studio e la fattibilità delle procedure mini-invasive nell’animale da esperimento, per poi trasferirle all’uomo.
Sono stato comunque fra i pionieri nello sviluppo e nella trasmissione di queste metodiche non solo in Italia ma anche in Europa, in particolare per la chirurgia dell’esofago, dello stomaco e del colon-retto.
Come si fa a lavorare con i bisturi fidandosi di un monitor?
«È una questione di esercizio e di progressione dell’esercizio, come avviene in qualsiasi pratica sportiva. Inoltre è molto importante la perfetta conoscenza dell’anatomia e dei dettagli anatomici, in maniera tale da riprodurre sempre, nel limite delle possibilità della situazione, lo stesso intervento chirurgico, riducendo così i possibili imprevisti.»
Quante operazioni avrà fatto nella sua vita?
«Lavoro come chirurgo da quasi trent’anni per cui è difficile fare una stima esatta, ma penso che siano diverse migliaia, sia negli Ospedali dove ho lavorato, ma molte anche come consulenze presso altri Ospedali nazionali che esteri (molte delle quali diffusi in teleconferenza allo scopo formativo e didattico).»
Lei è un grande nel mondo della laparoscopia. Ha aperto nuove vie? Può dirci qual è il suo segreto?
«Sì, ho esplorato nuove vie di accesso chirurgico e mi sto dedicando molto alla chirurgia laparoscopica con unico accesso chirurgico (dall’ombelico), non tanto per la piccola chirurgia ma per la chirurgia maggiore, in particolare per la chirurgia colo-rettale, dove noi contiamo una delle più grandi casistiche europee.
«Non c’è nessun segreto, solo la dedizione e il rigore scientifico, associato alla curiosità da sempre di esplorare nuove strade nell’intento di migliorare e di ridurre il trauma chirurgico mantenendo l’alta qualità della prestazione erogata.»
So che ha avuto un riconoscimento presso l’Universitaria di Belgrado. Sta allevando una scuola di giovani chirurghi che seguono le sue orme?
«Sì, dal 2011 sono Visiting Professor presso l’Università degli Studi di Medicina e Chirurgia di Belgrado, la più grande università dei Balcani, dove insegno tecnologie mini-invasive agli studenti, agli specializzandi e agli specialisti di chirurgia generale.
«Sono Professore a contratto delle Scuole di Specializzazione di Chirurgia Generale dell’Università di Firenze, Genova e Napoli.
«Inoltre sono docente di Tecnologie Mini-invasive per la Scuola Speciale di Chirurgia Mini-Invasiva dell’Associazione dei Chirurghi Ospedalieri Italiani (A.C.O.I.) e della Società Italiana di Chirurgia (S.I.C.).
«Molti chirurghi nazionali ed esteri frequentano routinariamente le nostre Sale Operatorie per apprendere le procedure chirurgiche mini-invasive.»
Consigli da dare a chi deve scegliere tra un metodo e l’altro?
«Per il paziente consiglio ovviamente le tecniche mini-invasive per i vantaggi sopra riportati, ma nello stesso tempo consiglio di scegliere un buon Centro con alti volumi di attività e una bassissima percentuale di conversione (passaggio dalla tecnica laparoscopica alla tecnica aperta).
«Non dobbiamo dimenticare che queste procedure nel mondo hanno a tutt’oggi dei bassissimi volumi di attività, che per la chirurgia maggiore (dati riportati dalle schede di dimissione), raggiungono in percentuale a fatica la doppia cifra.»
Consigli da dare a chi vuole intraprendere la sua strada?
«Tantissimo studio, sacrificio e dedizione, associato ad una grande cura ed allenamento del proprio corpo. È una chirurgia molto faticosa.»
Lei è di Treviso, ha eseguito la prima formazione. Adesso è primario in Trentino, al San Camillo. Contento della scelta fatta? Si trova bene da noi? Ci resterà a lungo? Sta allevando chirurghi trentini con la sua tecnica?
«La mia formazione professionale è stata fatta presso l’Ospedale Regionale di Treviso, dove mi sono formato in chirurgia toracica e addominale classica e in chirurgia dei trapianti d’organo (rene e pancreas), con brevi periodi di stage presso Ospedali di riferimento esteri. Quindi all’età di 39 anni sono diventato Primario presso l’Ospedale di Monfalcone, da dove – sette anni dopo - sono passato a Trento.
«Sì sono contento della scelta fatta perché reputo il Trentino una area molto accogliente. Lavoro in una bella realtà, dove non esistono restrizioni all’implementazione ed alla diffusione delle nuove tecnologie.»
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Nadia Clementi - [email protected]