Coronavirus: il modello Trentino è in ginocchio

Si ricomincia? Come? Una crisi che porta tre emergenze: sanitaria, economica e sociale – A cura di Daniele Maurizio Bornancin

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Questo stato di emergenza, che attualmente interessa l’Italia tutta, durerà ancora per molti mesi, per cui quali saranno le conseguenze economiche e i tempi che caratterizzeranno la ripresa? Sarà indispensabile riorganizzare tutto il sistema produttivo, sociale e culturale o saranno tenute in considerazione le esperienze e le necessità delle aziende di ogni settore?
L’economia si è dovuta fermare e nessuno immaginava che in poche settimane si sarebbe diffuso un virus così silenzioso e invisibile che, di fatto, ha mostrato la fragilità della nostra società e ci ha costretto a modificare in modo repentino le abitudini di vita, portando tutto il sistema italiano a una recessione di ampia portata.
Un virus che ha reso evidente, in proporzioni differenti da regione a regione, la debolezza del sistema sanitario nazionale, anche se però ha tenuto soprattutto grazie alla disponibilità, competenza e sforzo degli operatori sanitari, dei medici e degli infermieri, che hanno dimostrato una forza e una resistenza esemplare, nel trattamento dei pazienti.
 
Comunque stiano le cose, dopo questa situazione ci si è resi conto che bisogna ripensare il sistema sanitario nazionale e trentino, dal numero dei posti letto, all’assistenza sul territorio.
I tagli alla sanità, adottati nel recente passato, sono diventati criteri da lasciare nel cassetto; su questo dobbiamo tutti esserne convinti.
Dovrà essere riesaminato il decentramento della sanità di tutte le Regioni e Provincie Autonome e le politiche sanitarie che hanno generato effetti sotto gli occhi di tutti. Un Pese diviso diventa un Paese più debole in tutto.
 
Nel quadro sanitario complessivo non possiamo dimenticare le molte persone che sono state colpite dal COVID 19 e che ci hanno lasciato, in maggior misura gli anziani nelle RSA o bloccati a casa, che oggi più che mai sentono l’ansia della solitudine e dell’isolamento forzato.
Il fatto poi che i familiari, oltre a non aver potuto assistere i loro cari nel momento del trapasso, non hanno potuto salutarli poi, per le misure restrittive adottate che vietano di accompagnare le salme, tutto ciò aggiunge dolore a dolore.
Questa è una generazione che se ne va in silenzio dalla propria terra e dalla propria comunità lasciando ricordi, storie di fatiche e di emigrazione, duro lavoro e impegno per costruire le realtà comunitarie che abbiamo ereditato.
 
Certo, l’emergenza sanitaria rimane la priorità assoluta, com’è fondamentale la tutela della salute di ogni cittadino, ma è seguita da un’altra emergenza, con proporzioni indefinite, che sta mettendo in ginocchio il «Made in Italy» e il modello trentino ed è quella economico produttivo.
In questo silenzio economico e finanziario vi sono aziende, operanti anche nel territorio trentino, che hanno gli ordini in casa, ma non possono evaderli essendo realtà le cui produzioni non sono inserite nel famoso elenco Ateco, che autorizza ad essere attivi.
Pensiamo ad altri comparti come le produzioni agricole, le vitivinicole, la ristorazione, i bar, i piccoli vignaioli, i parrucchieri e i negozi di vicinato delle varie zone trentine, o le piccole aziende artigiane e industriali del settore idraulico, elettrico e del legno. I conti, di questo sia pure involontario arresto delle attività aziendali, si faranno in seguito e in quel momento forse si scoprirà che non saranno sufficienti i provvedimenti sin ora adottati dal Governo centrale e dalla Provincia.
 
Questo, anche perché otto settimane di blocco delle attività pesano significativamente su ogni azienda, significa non poter contare su un fatturato costante, o meglio sulle entrate, che hanno permesso a ogni operatore di soddisfare sempre gli impegni di spesa delle utenze, delle tasse, le retribuzioni dei propri collaboratori e quindi può essere anche logico che gli effetti di questa crisi, possano portare qualche imprenditore a dover chiudere l’attività, magari non ora, ma alla fine dell’anno.
Nessuno mette in discussione che il mondo intero è stato colto di sorpresa da questa pandemia, infatti, nessuno conosceva gli sviluppi del virus e come combatterlo, ma è giunto il momento di risollevare l’intera società, anche se dovremo convivere con il Coronavirus ancora per qualche tempo.
 

 
Seguendo gli appelli dei vari rappresentanti delle categorie produttive e sociali, sia locali sia nazionali, è necessario ora un avvio in tempi brevi, per una sia pure graduale ripresa, per il bene delle comunità e di tutti. Un avvio con le garanzie di sicurezza.
È necessario un piano di riapertura delle attività che rispetti le linee guida, già stabilite dai vari decreti approvati dagli organismi preposti, che garantisca la sicurezza dei lavoratori, ma che permetta davvero di lavorare, anche perché il mancato e rapido riavvio dei settori produttivi potrebbe generare danni economici incalcolabili, oltre a quelli già subiti dalla maggior parte delle imprese.
Certo, le riaperture devono tener conto dei casi di contagio del virus, ma gli imprenditori devono avere risposte chiare, sul come, sul quando, o meglio di una data certa anche in tempi diversi. Un po’ ovunque si sono riscontrate varie forme di decisioni, di decreti spesso con interpretazioni poco chiare; forse non si riesce a capire che se mancano le produzioni, mancano gli ordini, mancano i trasporti, mancano le consegne delle merci, manca la vita delle imprese.
 
Il silenzio delle piazze nelle nostre città è oggi una realtà drammatica, triste, ma il silenzio del sistema produttivo è ancora più preoccupante, è una situazione che mette in difficoltà il futuro dell’intera nazione.
La situazione è di una gravità mai vista per la tenuta dell’economia generale. Non si dimentichi che se non c’è produzione, non ci sarà nemmeno occupazione, di conseguenza nascerà la terza emergenza: quella sociale.
È previsto che il 62% degli italiani (famiglie, single, coppie) abbiano bisogno di un supporto psicologico per tornare alla normalità.
Le domande all’INPS, per l’ottenimento del reddito di emergenza per il Coronavirus, di 600-800 euro per nucleo familiare, da marzo a maggio, sono in continua crescita con previsioni di un impegno di spesa, sul bilancio nazionale, di oltre un miliardo di euro.
 
La cassa integrazione in deroga, con retribuzioni ridotte, ha già triplicato le domande.
Gli aiuti alimentari presso le sedi della Caritas, le quali hanno quotidianamente difficoltà nella distribuzione delle borse di generi alimentari, sono in crescita.
Non sono queste nuove povertà che colpiscono di fatto, oltre agli anziani anche le famiglie?
Solo per addentrarci un po’ più da vicino nei meandri dei dati finanziari, il rapporto tra debito pubblico e PIL ha superato il 155% e quindi è insostenibile per il nostro Paese.
Nel 2020 si prevede che la ricchezza nazionale potrà scendere di 10 punti, peggio di quanto avvenuto nel 2009, l’anno della crisi finanziaria dalla quale si era faticosamente usciti.
In Trentino, che conta circa 27 mila aziende individuali, 10 mila imprese a conduzione familiare sotto i 15 addetti, comprensive di 12 mila aziende artigiane e circa 1.000 industrie, le previsioni per questo 2020 sono di un calo di fatturato tra il 50 e il 60 %, rispetto al 2019.
 
Nel territorio provinciale sono inoltre a rischio 15.000 lavoratori di ristoranti, bar, pizzerie e birrerie, anche perché la loro ripartenza, per le procedure dell’obbligo della distanza tra le persone, riduce la capienza dei locali di circa il 50%, ne consegue che il fatturato del 2020, sarà dimezzato.
Si sono riscontrate criticità operative nei rapporti con l’estero, per il blocco delle esportazioni, per i produttori di vino, spumante e grappe settori, insieme al turismo, di fondamentale importanza per il Trentino, che hanno prodotto una perdita di quote di mercato, in parte già sostituite dai competitor stranieri extra europei.
La macchina produttiva e dei servizi si è bloccata e la realtà delle aziende, in particolare delle piccole e medie, è messa a dura prova.
Non possiamo trascurare questa crisi economica, che rischia di essere più lunga e peggiore di quella sanitaria, perché c’è il pericolo di una desertificazione del tessuto industriale del nostro Paese.
 
Vale la pena, però, ricordare che nel quadro generale, che oggi si presenta, l’Italia è avvantaggiata, essendo la seconda potenza manifatturiera d’Europa, e si deve tener conto anche di questo nella ripartenza. Con la salute di tutti si potrà guardare al futuro con più serenità e ottimismo. Il lavoro senza salute non è possibile, così come non c’è salute senza lavoro.
La serenità deve comprendere anche quella delle imprese, o meglio delle piccole e medie imprese che costituiscono l’85 % della realtà produttiva italiana.
Oggi il problema di queste aziende, anche trentine, è dato dalla liquidità.
I tempi lunghi del fermo ordini fanno sballare i prossimi bilanci, anche di quelle unità produttive sane e con rating positivo, il cui trend rotazionale era basato sul portafoglio ordini, con una programmazione media di 4/6 settimane.
 

 
Le imprese si attendono, con riferimento alla liquidità, una presa di coscienza (in parte già avvenuta) da parte degli istituti bancari di credito, con prestiti agevolati e garanzie del Confidi provinciale e con una nuova linea di finanziamenti da 300 a 1.250 mila euro, ma per rispondere alle banche in modo positivo vi è la necessità di operare anche con nuovi sistemi, per evitare la chiusura di esercizi pubblici e altri negozi.
Il Governo e la Provincia hanno già messo in campo manovre con sostanziosi impegni di spesa sui rispettivi bilanci, per sostenere le imprese e il lavoro, ma c’è bisogno di un’immediata liquidità a costo zero.
Questi sono comunque prestiti, ossia denaro che poi le aziende devono restituire alle banche dopo 6/8 anni, ma se alle aziende non è permesso di lavorare o dovranno lavorare in modo parziale e non ci sono entrate, come faranno ad accantonare i risparmi per restituire il denaro alle banche, programmando di riuscire a restituire la somma in 3 anni anziché in 6/8?
Come si può pensare al dopo, al graduale ritorno alla quotidianità e come sarà questa normalità?
 
Nessun imprenditore pretende che gli amministratori usino la bacchetta magica per risolvere i problemi, ma tutti insieme chiedono certezze, soluzioni condivise che tengano conto delle proposte inserite negli accordi siglati tra i sindacati e le categorie economiche, sia per le urgenze finanziarie, sia per i ausili da inserire a favore della sicurezza dei lavoratori.
Le richieste degli imprenditori, introdotte negli accordi settore per settore, di una graduale apertura diversificata in base alle situazioni delle Regioni, sono scaturite dopo un lungo e difficile confronto tra le parti, come lungo è il periodo che stiamo attraversando, e tengono conto dei dati giornalieri dei contagiati dal Coronavirus e avanzati dagli Istituti scientifici e dai sistemi di comunicazione attuali.
 
Ebbene, se facciamo riferimento a uno degli ultimi dati, quello del primo maggio, che corrisponde al periodo dall’inizio marzo al primo maggio stesso, a livello nazionale vi sono stati 100.943 persone positive, 78.249 guarite e dimesse, 28.236 decedute, situazione questa in costante calo, che può fare ben sperare ad una svolta.
Questi numeri possono essere considerati piccoli segni, anche solo statistici, comunque incoraggianti che cominciano a dare un po’ di respiro e possono determinare la riapertura, sia pure scaglionata di diverse attività, e per le persone, la possibilità di muoversi un po’ di più pur con la dovuta disciplina.
Le aziende, nonostante tutto, escono da questo periodo frastornate, come dei pugili di un ring durissimo ancora in corso, ma ciò nonostante, con molta pazienza e responsabilità, rispettando le indicazioni, sono pronte a riaprire, guardando avanti ad un futuro per quanto imprevedibile, con fiducia e senza paura.
 
Le necessità per il futuro che tanto stanno a cuore agli operatori economici si possono così riassumere: semplificazione della burocrazia, investimenti in infrastrutture e telecomunicazioni, trasporti ed energia, sostegno alla ricerca.
Con riferimento alla ricerca, gli studi in atto di un’azienda farmaceutica italiana per la ricerca di un vaccino, che si prevede utilizzabile tra un anno, così come la scoperta dell’ozonoterapia dell’ospedale di Udine che ha dato buoni risultati, dimostrano la capacità dei nostri medici e ricercatori italiani nel cercare soluzioni idonee a sconfiggere questa nuova epidemia.
Oggi gli imprenditori hanno bisogno d’interventi rivolti alla mancanza di liquidità, all’annullamento del fatturato, alla riorganizzazione aziendale, a prestiti a lungo termine, e innovative forme di aiuti per rinascere.
 

Alcuni di questi provvedimenti di natura pubblica, potrebbero riguardare: indennità di disoccupazione per le aziende che chiudono, aiuti a fondo perduto, sostegno ai canoni di locazione fino a una percentuale del 30% per le imprese che operano nel ricettivo, commercio, turismo, artigianato e servizi per il periodo marzo-giugno; crediti d’imposta per le imprese che devono mettere in sicurezza sanitaria i locali di lavoro e per l’adeguamento alle disposizioni in vigore; sostegno all’accesso al credito, riduzione e/o cancellazione della tassa sui rifiuti e la tassa per l’occupazione degli spazi pubblici.
Certo gli interventi, meglio se limitati allo stretto necessario, non possono diventare, come spesso è accaduto in altre situazioni critiche, l’occasione per inserire altre forme di sostegno a più variegati settori per sanare situazioni precedenti e mai prese in considerazione.
 
La cosa più importante per il rilancio dell’economia, è comunque una pianificazione di misure straordinarie sulla semplificazione delle procedure che consentano di realizzare gli investimenti pubblici e privati, nel rispetto dell’ambiente e del paesaggio locale.
Diciamo che il tempo trascorso è stato troppo, bisogna mettere le aziende nelle condizioni di aprire e di lavorare, anche perché non si può prescindere dalla riapertura delle attività produttive.
Vi è anche la necessità di un ripensamento dei metodi di realizzazione delle opere attraverso accordi pubblico-privati.
Un patto collaborativo ad esempio, tra imprese locali (edili, idrauliche, elettriche ecc), per un vero futuro di rinascita.
Nel nostro caso è importante anche un progetto di ridefinizione del patrimonio legislativo provinciale dell’urbanistica provinciale e delle costruzioni, un’occasione per riprogettare l’economia locale salda sul territorio, utilizzando nuovi sistemi per mettere in moto tutte le produzioni.
 
È il caso forse di dimenticare le esternalizzazioni dei processi produttivi per il minor costo del personale, ma ora è il tempo di far rientrare molte produzioni in Italia, non solo per essere meglio controllate, ma per reimpostare il sistema industriale nazionale, il nostro Made in Italy.
Diciamo che la crisi può generare nuove opportunità, non solo vincoli, solo se si riprogetta il futuro insieme, perché solo insieme si vincono le sfide più complicate e difficili, così sarà anche in questo caso.
Sono comunque convinto che il domani sarà il tempo delle responsabilità e del valore del bene comune dove nelle dinamiche dovranno prevalere i doveri e non i particolarismi, le astuzie egoistiche e le furbizie o le stravaganti strategie. Sarà il tempo della partecipazione condivisa in ogni settore, della collaborazione dei lavoratori nella gestione delle imprese.
 
È necessario un forte coordinamento tra le Regioni e lo Stato, tra la Provincia e i Comuni, per non avviarsi verso un periodo di un’economia stanca difficilmente risolvibile.
Compito di tutti, non solo degli addetti ai lavori è salvaguardare il modello trentino, dando ampia fiducia agli imprenditori, alla loro disponibilità al dialogo che non è mai mancata in questi anni e che ha permesso di portare a termine molti obiettivi condivisi, che hanno fatto crescere la comunità tutta.
Voglio ricordare in questo frangente il terremoto del Friuli del 1976, pur nella diversità delle opinioni, il sistema politico locale e gli amministratori, in quel triste momento, si sono riuniti marciando nella stessa direzione. Il principio delle azioni per la ricostruzione di ogni singolo paese e di ogni comune, allora era: prima le fabbriche, poi le case, poi le chiese.
Un modello esemplare questo che ha fatto storia nel nostro Paese.
 
Certo preoccupa tutti la domanda su come concretamente organizzeremo la nostra vita collettiva, sociale e personale nel tempo a venire.
Forse prima di affrontare «il domani», abbiamo bisogno di un respiro profondo.
Il respiro che si chiama speranza.
Quella speranza che purifica la mente, tonifica la volontà, sostiene la costanza necessaria per andare sempre avanti e non tirarsi indietro.
Questo è lo spirito degli imprenditori, pronti a realizzare un vero miracolo trentino.
 
A cura di Bornancin Daniele Maurizio