«Gli incontri del giovedì»: 9 marzo 2017 – Di Daniela Larentis

Con Marco Bellabarba, professore ordinario di Storia Moderna presso l’Università di Trento, a Mezzolombardo si parlerà di Trentino e Trentini nella Grande guerra

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Il ciclo di serate predisposte dall’Associazione Castelli del Trentino denominato «Gli incontri del giovedì», organizzato dal presidente Bruno Kaisermann e dal vicepresidente, il giornalista, storico e critico d’arte Pietro Marsilli, prosegue con l’appuntamento del 9 marzo 2017.
Durante l’incontro, che si terrà come sempre alle 20.30 presso la Sala Civica di Mezzolombardo, Corso del Popolo 17, Marco Bellabarba, professore ordinario di Storia Moderna presso l’Università degli Studi di Trento, parlerà di Trentino e trentini nella Grande guerra.
 
Due parole sul relatore prima di passare all’intervista.
Marco Bellabarbarba è membro della Società di Studi Trentini di Scienze storiche, dell’Accademia roveretana degli Agiati di Rovereto, della Kommission für Bayerische Landesgeschichte presso la Bayerische Akademie der Wissenschaften, membro del Comitato di redazione degli «Annali dell’Istituto storico italo-germanico in Trento» e della rivista «Storica», nonché membro del Consiglio editoriale della Società editrice il Mulino per il settore scientifico della storia moderna.
Davvero lungo l’elenco delle sue pubblicazioni, fra le quali ricordiamo il volume «La giustizia nell'Italia moderna XVI-XVIII secolo», ed. Laterza, 2008, e «L’impero asburgico», Società Editrice Il Mulino, 2014, solo per citarne un paio.
Abbiamo avuto l’onore di porgergli qualche domanda, in vista dell’incontro di giovedì prossimo.
 
La Prima guerra mondiale è un evento che ha cambiato la storia dell’Europa e che ha segnato il destino del nostro territorio.
A grandi linee, quali sono state le motivazioni che hanno portato le varie potenze nazionali dei primi del novecento a fronteggiarsi militarmente?
«In un libro di qualche anno fa e molto apprezzato dai lettori, lo storico Cristopher Clark ha paragonato gli stati e gli imperi europei nell’estate del 1914 a dei Sonnambuli (questo era il titolo del libro) che precipitavano nell’abisso della guerra in maniera quasi inconsapevole, senza vedere o comprendere ciò che stavano compiendo.
«L’immagine è suggestiva e per molti versi efficace perché sgombra il campo dall’ipotesi, accreditata dalle potenze vincitrici a Versailles e a lungo ritenuta veritiera, che vi fosse un responsabile unico dell’entrata in guerra, ovvero il Reich tedesco e i suoi desideri di espansione imperialistica.
«In realtà ci furono molti e diversi fattori in grado di determinare il passaggio dalla neutralità all’intervento armato. Questi fattori si possono cogliere collocando la Grande guerra dentro un arco cronologico che la precede di molti decenni e in un orizzonte più vasto di cause: tra esse, per non citarne che alcune, possiamo pensare, in primo luogo, alla crisi dei sistemi politici rappresentativi (che fu più forte negli imperi centro-orientali), alla competizione per il dominio coloniale, al peso sempre più rilevante assegnato ai valori nazionali come espressione della potenza militare dei singoli stati.
«Per fare un esempio, l’entrata in guerra dell’Italia nel 1915, nonostante venisse propagandata come una decisione per acquisire le terre irredente, fu essenzialmente causata dalla paura del ceto politico italiano di essere tagliato fuori dalla competizione in corso tra le grandi potenze europee. In altri termini, l’irredentismo fu efficace sul piano delle giustificazioni ideali, ma non incise se non in minima parte sul processo decisionale.»
 
In estrema sintesi, quali furono le principali cause della fine dell’impero asburgico, a quando vengono fatte risalire le origini della crisi che ha poi portato ai noti eventi?
«Come, per quali ragioni, in quali tempi, l’impero asburgico sia crollato, è un dibattito che si sviluppa a partire dall’autunno del 1918 e prosegue fino a oggi, offrendo punti di vista a volte contrastanti.
«C’è chi ha sostenuto che l’impero fosse un organismo destinato a crollare già dopo le rivoluzioni del 1848/49 a causa della sua arretratezza economica e politica. Ma si tratta di uno stereotipo tanto diffuso quanto impreciso.
«Quando l’impero (o forse sarebbe meglio scrivere la duplice monarchia asburgica) arriva alle soglie della guerra, è straordinariamente ancora vivace e dinamico: ha un’economia in crescita, un sistema politico aperto (nella parte austriaca il suffragio universale entra in uso nel 1907), istituzioni educative di alto livello, tassi di alfabetizzazione ragguardevoli.
«Sarebbe difficile quindi paragonarlo a un organismo ormai sul punto di spegnersi. Non mi pare d’altro canto nemmeno del tutto condivisibile l’ipotesi di coloro che, partendo da queste considerazioni, affermano che, in assenza della sconfitta militare, l’impero sarebbe sopravvissuto.
«A mio parere, sia la decisione di entrare in guerra, sia il modo disastroso con cui fu gestita, rappresentano la cartina di tornasole di contraddizioni e problemi che laceravano da decenni l’impero: i contrasti nazionali irrisolti, la paralisi dell’amministrazione, il ruolo di supplenza rivendicato dalle componenti più conservatrici della società asburgica (come la diplomazia e soprattutto i militari) di fronte alla crisi della politica viennese.»
 
Quali saranno i punti inerenti alle vicende relative al Trentino e ai trentini nella Grande guerra che verranno toccati nell’incontro di giovedì 9 marzo?
«Poiché, mi pare, negli ultimi decenni è invalsa a volte la tendenza a considerare solo gli aspetti più eroici del primo conflitto mondiale, senza negare che essi vi furono cercherò di partire da un’analisi molto cruda (quasi numerica) dei suoi costi umani e materiali per il territorio trentino.
«È solo infatti partendo da un’analisi concreta dei risvolti locali del conflitto che se ne può misurare il valore di cesura, non solo politica, ma sociale, economica, culturale, che essa in effetti ebbe.
«Naturalmente ci sarà spazio anche per qualche considerazione sugli anni precedenti il 1914, allo scopo di comprendere meglio alcuni temi, come il lealismo asburgico o, all’opposto, il nazionalismo filo-italiano, sui quali si è da sempre dibattuto molto.»
 
Sono quasi passati cento anni dalla fine del primo conflitto mondiale, le cause che l’hanno provocato potrebbero in qualche modo riemergere nell’attuale panorama politico-sociale dell’Europa?
«È un quesito assai impegnativo: previsioni di questo genere sono sempre scivolose; oltre a ciò, gli studiosi di storia sono le persone meno adatte per immaginare il futuro.
«Ma di sicuro colpisce che si tornino oggi a evocare scenari così oscuri e minacciosi, dopo che per decenni nessuno li aveva più presi in considerazione.
«Se c’è qualche insegnamento da trarre nello studio del periodo bellico è che i conflitti attorno i confini (nazionali, regionali, locali) divampano inevitabilmente quando i centri, le capitali di un territorio, rinunciano al compito di governarli.»
 
Fra le molte prestigiose pubblicazioni che lei ha scritto figura il libro intitolato «L’impero asburgico» edito da Il Mulino, 2014. Potrebbe brevemente delineare l’importanza dal punto di vista metodologico dello studio da lei condotto, illustrando gli strumenti da lei utilizzati nell’analisi storica dell’impero asburgico?
«Quando ho cominciato a scriverlo, volevo un libro che raccontasse al pubblico italiano – non solo studiosi, ma soprattutto studenti o semplici appassionati – una storia che purtroppo oggi è quasi dimenticata, o fatta per frammenti: la storia dell’impero asburgico e degli italiani, dell’impero e degli slavi, dell’impero e degli ungheresi, e così via.
«Per reagire a questa visione troppo nazionalistica, settoriale e dunque errata dell’impero, ho provato a ricostruire una storia complessiva e sul lungo periodo di quella che rimane – ne sono abbastanza convinto – la più affascinante organizzazione pluralistica del continente europeo tra Otto e Novecento.»
 
Progetti futuri?
«Sto provando a imbastire una ricerca (ancora agli inizi) sulle premesse politiche e intellettuali dei trattati di pace del 1919. Allora le potenze alleate, com’è noto, decisero di condannare a morte la monarchia. Per varie ragioni: perché si riteneva che la monarchia asburgica fosse stata un complice, una specie di junior partner, del nazionalismo tedesco; o perché le diplomazie alleate (specialmente gli americani) ritenevano che nuovi Stati nazionali avrebbero potuto essere un ostacolo più efficace alla minaccia della rivoluzione comunista.
Ma ciò che mi incuriosisce è il fatto che, almeno fino al 1917, nessuno aveva messo seriamente in conto questa prospettiva. Dopo quell’anno, però, la scelta di dividere la monarchia apparve inevitabile. Alcuni storici e intellettuali, in particolare britannici, offrirono ai politici le loro conoscenze del mondo asburgico per disegnare a tavolino l’assetto di una nuova Europa che facesse a meno del vecchio impero; è a questo intreccio tra saperi storici e decisioni politiche che vorrei dedicarmi nei prossimi anni».
 
Daniela Larentis - [email protected]