Storie di donne, letteratura di genere/ 241 – Di Luciana Grillo
Patrizia Emilitri: «La bambina che trovava le cose perdute» – Una favola delicata che indaga il potere dei simboli, a cui sono legati i nostri destini
Titolo: La bambina che trovava le cose perdute
Autrice: Patrizia Emilitri
Editore: Sperling & Kupfer 2018
Genere: Narrativa Italiana contemporanea
Pagine: 280, Rilegato
Prezzo di copertina: € 16,90
Una storia delicata, una scrittura gradevole, un’atmosfera che evoca montagne, neve, cieli azzurri e, infine, una protagonista «speciale» che chiude gli occhi e vede gli oggetti che altri hanno perduto.
Noemi vende, oltre il vino prodotto dal padre e dai fratelli, composte, sciroppi, uvetta sotto spirito che prepara da sola, seguendo ricette tradizionali del suo paese, Vier, in Trentino, paesetto circondato da quattro castelli.
È qui che vive, dividendosi fra casa e bottega, cantina del papà e fratelli, Gilda – la vice mamma – e qualche amica.
Quella sua particolarità è nota più o meno a tutti, ma Gilda, forse per evitare che la piccola diventi una sorta di «fenomeno da circo», vuole che non se ne parli.
«Gilda mi ripeteva spesso che ero «speciale» e che non dovevo mai, mai trovare le cose che gli altri bambini perdevano. Ero strana anch’io? Avrebbero portato anche me nell’istituto con Viviana? Mi si sarebbero accorciate le braccia e le gambe? Avevo poco più di nove anni ed ero terrorizzata.»
La ragazzina cresce sapendo anche che per le femmine il destino è diverso, rispetto a quello dei maschi: «…lei aveva delle sorelle, non due fratelli che già per nascita si consideravano migliori di me. Fratelli che avrebbero ereditato la proprietà delle vigne e dei terreni. Io no. Così aveva detto mio padre e così aveva fatto».
E anche un ragazzo di cui si innamora dovrebbe seguire le leggi di famiglia, ma non è il ragazzo giusto per lei. Noemi capirà e soffrirà: «Giurai a me stessa che mai più avrei permesso a un uomo di approfittarsi di me e, soprattutto, non ne avrei mai sposato uno».
Poi, all’improvviso, in paese scompare un segnatempo portafortuna: i residenti sentono di non poterne fare a meno, il maresciallo indaga, si serve anche di mezzi moderni, come i social network che però «hanno dato la possibilità a tutti di sentirsi ciò che vogliono: giudici, avvocati, forze dell’ordine, soldati, cuochi, modelle, biologi, medici… tutti sono assolutamente esperti. Tutti sanno cosa si dovrebbe fare e come e quando. Tutti imparati».
Chi non si esprime sui social, lo fa a parole: sono le donne che si riuniscono spesso nella bottega di Noemi e parlano, parlano, parlano…
A Noemi pensano tutti, lei sì che potrebbe dare una mano, lei che era capace di trovare «una posata d’argento, un libretto di assegni, una cambiale e una collana di corallo»… a lei si rivolgono persino i giornalisti, «alla signora Noemi, mi han detto che può sapere qualcosa di più».
Ma Noemi vorrebbe nascondersi, andar via, allontanare da sé quegli sguardi, «gli sguardi che mi seguono fin da bambina, l’espressione tra il sospettoso e l’intimorito che avevano le mie compagne quando chiedevo loro di giocare nel cortile della scuola… ero attorniata da persone che non facevano altro che sorridermi e compiacermi ed ero sola… più fingevano di coinvolgermi più mi allontanavano e, da bambina allegra e chiacchierona sono diventata una ragazza taciturna e ombrosa, e un’adulta diffidente, soprattutto nei confronti dell’amore».
Il segnatempo riappare, la sua temporanea scomparsa rimane misteriosa per i paesani, Noemi ritorna a sorridere e, chissà, a credere anche nell’amore.
L’autrice ringrazia chi l’ha aiutata, consigliata, supportata e conclude con un’espressione assai significativa: «Grazie ai lettori, ai tanti messaggi che ricevo sulla mia pagina Facebook.
Senza di voi, non esisterei.»
Luciana Grillo – [email protected]
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