«Almanacco 70, Architettura e astrazione» – Di Daniela Larentis

Alla Galleria Civica di Trento la nuova mostra a cura di Campomarzio, Margherita de Pilati e Gabriele Lorenzoni: resterà aperta in Via Belenzani fino al 14 maggio 2017

Aldo Schmid - Rapporti di tensione.
 
Presso la Galleria Civica di Via Belenzani, nel cuore della città, è stata appena inaugurata innanzi a un folto pubblico un’interessante mostra che indaga le connessioni tra architettura e arte astratta a Trento negli anni settanta.
Sarà visitabile fino al 14 maggio 2017.
Presenti all’inaugurazione del 10 febbraio il direttore del Mart Gianfranco Maraniello e l’assessore alla cultura Andrea Robol.
«Almanacco 70» è un progetto espositivo curato da Margherita de Pilati, responsabile della Galleria Civica, e Gabriele Lorenzoni, i quali si sono avvalsi del contributo eccezionale del gruppo di architetti Campomarzio, un collettivo che unisce esperienze pratiche e teoriche nei campi dell’architettura, dell’urbanistica, della ricerca e della comunicazione visiva, guidato da Pietro V. Ambrosini, Michele Andreatta, Alessandro Busana, Daniele Cappelletti, Enrico Lunelli (collabora con il collettivo la filosofa e sociologa Teresa Pedretti).
 

Andrea Robol, Margherita de Pilati e Gianfranco Maraniello.
 
Il reportage fotografico commissionato dalla Civica per l’esposizione è del fotografo portoghese Fernando Guerra, specializzato in fotografia d’architettura e vincitore di numerosi premi internazionali.
Il periodo su cui si concentra l’attenzione dei curatori è connotato da un clima di forte tensione innovativa, in quegli anni cruciali di cambiamento, il Trentino si trasforma da territorio rurale a società industriale e di servizi.
Trento diventa un vero e proprio laboratorio di sperimentazione, artisti e architetti si scambiano opinioni e suggestioni, condividono progetti e linguaggi.
La mostra, attraverso una selezione di materiale d’archivio e gli scatti di Fernando Guerra, ripercorre la storia di alcuni degli edifici più rilevanti progettati dagli architetti Marcello Armani, Luciano Perini e Gian Leo Salvotti, proponendo un inedito confronto visivo con le opere degli artisti Carlo Andreani, Italo Bressan, Mauro Cappelletti, Silvio Cattani, Bruno Colorio, Giancarlo Gardumi, Annamaria Gelmi, Diego Mazzonelli, Romano Perusini, Aldo Schmid e Luigi Senesi.
Una mostra che ne richiama alla mente un’altra, quella intitolata «Astrazione oggettiva – oltre la teoria il colore», curata nel 2015 da Giovanna Nicoletti, relativa alla storia dell’arte contemporanea del Trentino degli anni Settanta (i sei esponenti del movimento trentino denominato «Astrazione Oggettiva» furono Mauro Cappelletti, Diego Mazzonelli, Gianni Pellegrini, Aldo Schmid, Luigi Senesi e Giuseppe Wenter Marini).
 

Marcello Armani, Luciano Perini, Complesso Residenziale in Corso Alpini (Serpentone) - 1972.

 
La tesi dei curatori è che sul finire degli anni sessanta sia stato pianificato in Trentino un esperimento politico e sociale.
«Da una parte un territorio, quello del Trentino postbellico, ancora marcatamente rurale e soggetto a una forte emigrazione, dall’altra uno sviluppo economico in progressiva espansione, generato a partire da quel triangolo industriale italiano motore del miracolo economico e alimentato da un nuovo modello sociale, già ampiamente diffuso negli Stati Uniti, basato sul consumo di massa.»
Fu Bruno Kessler a fondare nel 1962 la prima facoltà di Sociologia d’Italia, destinata a diventare l’incubatore della rivoluzione culturale del Sessantotto.
Le prime occupazioni studentesche e le proteste operaie che si generarono proprio a partire dall’Università, rappresentano i segnali più evidenti di una rivoluzione sociale e culturale molto più profonda.
 

Diego Mazzonelli e Marcello Armani.
 
La diffusione della televisione, l’avvento di infrastrutture nazionali come l’autostrada A22 e lo sviluppo industriale riducono l’isolamento economico, sociale e culturale del Trentino; i rischi inevitabili di questo processo vengono avvertiti da intellettuali come Pier Paolo Pasolini, il quale scrisse: «Le strade, la motorizzazione ecc. hanno ormai strettamente unito la periferia dal centro, abolendo ogni distanza materiale.
«Ma la rivoluzione del sistema di informazione è stata ancora più radicale e decisiva. Per mezzo della televisione il Centro ha assimilato a sé l’intero Paese, che era così storicamente differenziato e ricco di culture originali. Ha cominciato un’opera di omologazione distruttrice di ogni autenticità e concretezza.
«Ha imposto cioè – come dicevo – i suoi modelli: che sono i modelli voluti dalla nuova industrializzazione, la quale non si accontenta più di un uomo che consuma, ma pretende che non siano concepibili altre ideologie che quella del consumo.»
 

 
Ricordiamo che il periodo che va dagli anni ’50 e ’70 del secolo scorso viene ricordato in Italia come quello del «miracolo economico».
Per effetto del piano Marshall, dal dopoguerra alla crisi petrolifera degli inizi degli anni settanta l’Italia conosce un’enorme crescita economica e un grande sviluppo industriale.
Cambiano gli stili di vita e si diffondono beni di consumo come automobili, televisori, lavatrici, frigoriferi.
La generazione del miracolo economico ha a disposizione un’enorme varietà di prodotti anche mediali. I media diventano una sorta di «cultura sottile» che si diffonde ovunque: ognuno, grazie all’aumento dell’offerta mediale, inizia a cercare i prodotti culturali più adatti alle proprie esigenze.
Nascono le televisioni private locali e le radio «libere» dopo la liberalizzazione dell’etere decisa dalla Corte Costituzionale nel 1976.
 

L'architetto Leo Salvotti, la dottoressa Margherita de Pilati e l'arch. Marcello Armani.
 
Di fronte al dilemma di uno sviluppo economico tanto necessario quanto destabilizzante, gli artisti e gli architetti locali sono chiamati a prendere una posizione netta: portare alle estreme conseguenze il processo di sviluppo e modernizzazione, oppure contestarlo, rifiutandolo apertamente.
Chi non percorre queste traiettorie estreme e divergenti, rischia di venire fagocitato dal processo di omologazione e di svalutazione, asservendosi passivamente a quella che Pasolini ha criticamente definito «l’ideologia edonistica del consumo».
Se l’esito più evidente degli anni settanta, almeno in campo architettonico, è il boom dell’edilizia di massa senza qualità, «Almanacco70» vuole ripercorrere le ricerche coerenti e personali di quegli architetti che hanno percorso traiettorie diverse e divergenti.
 

Giovanni Leo Salvotti de Bindis, Condominio Rosso e Nero - 1971 (A pié di pagina lo sviluppo)
 
Lungo il percorso espositivo si possono ammirare gli scatti che ritraggono alcuni dei numerosissimi interventi di edilizia residenziale, fra cui ricordiamo dell’arch. Giovanni Leo Salvotti De Bindis il condominio «Rosso e Nero» di Corso Buonarroti, Casa «La Gallina» a Calceranica, il condominio Italia 68 di Piazza Silvio Pellico; dell’arch. Marcello Armani la sede del Gruppo Del Favero, il Palazzo Stella e il complesso delle Torri di Madonna Bianca progettato con Luciano Perini; dell’arch. Luciano Perini, oltre il già citato quartiere di Madonna Bianca progettato negli anni settanta con Marcello Armani, il Centro della Cooperazione di Trento, il Centro Direzionale Europa, solo per ricordarne alcuni.
Una bella mostra che sta a dimostrare ancora una volta quanto, attraverso l’attività della Galleria Civica, il Mart ci tenga a rinsaldare il rapporto con il Trentino e con le pratiche culturali più recenti del proprio territorio.
 
Daniela Larentis – [email protected]