Sempre in alto mare l’incidente «militare» tra Italia e India
Alcune precisazioni sulle diverse posizioni assunte dai due paesi – Di A. De felice
Da quando due ufficiali della Marina Militare italiana sono stati arrestati a Kerala, c'è solo una cosa su cui India e Italia sembrano d'accordo: che una settimana fa due uomini indiani sono morti in uno scontro a fuoco da qualche parte al largo della costa dello stato meridionale indiano. Diversamente da ciò si scontrano su quasi tutto il resto, dipingendo un quadro confuso di ciò che è realmente accaduto.
Anche i fatti a corollario dell'incidente sono oggetto di controversia e sembra alquanto improbabile che l'Italia e l'India raggiungeranno un accordo in tempi brevi.
Di seguito le varie versioni dell'incidente, sulla base dei racconti ufficiali.
La versione indiana
La polizia del Kerala sta indagando due marine italiani, incaricati della sicurezza su una petroliera privata, per l'uccisione di due pescatori indiani.
Le autorità indiane affermano che i marine italiani avrebbero colpito ripetutamente la barca dei pescatori, poiché scambiati per pirati.
La polizia locale di Kochi e la Guardia Costiera indiana stanno cercando di comprendere se l'incidente è avvenuto in acque internazionali, dove l'India non avrebbe giurisdizione, o più vicino alla costa indiana.
La versione italiana
In Italia Ministero della Difesa sostiene che i due marine non hanno sparato sul peschereccio. Sostiene inoltre che sono state rispettate le regole d'ingaggio e che tutto ciò che i marine hanno fatto è stato sparare in aria e in acqua dei «warning shots» per scoraggiare la barca, sospettata di appartenere a una gang di pirati, a causa del suo avvicinarsi sempre di più alla barca senza ragioni apparenti.
Il Ministero della Difesa sostiene che, prima di sparare, gli ufficiali della marina abbiano anche messo in guardia la barca lampeggiando con le luci e seguendo tutta la procedure di sicurezza. La barca, dal canto suo, non avrebbe cambiato la rotta.
L'Italia inoltre ha fermamente escluso la possibilità che a bordo della barca ci fossero dei pescatori e non dei pirati.
Funzionari italiani sono sicuri che l'incidente è avvenuto in acque internazionali.
La terza versione
A rischio di avventurarsi nel territorio della teoria della cospirazione – India in campagna elettorale e Greci disonesti – ecco l'altra versione che sta girando negli ambienti marittimi.
Il 15 febbraio, lo stesso giorno l'incidente del Lexie Enrica, si è verificato un'altro incidente ai danni di una petroliera greca che si trovava alla fonda a sole 2,5 miglia nautiche al largo Kochi, registrato dall'International Chambres of Commerce a opera di circa 20 uomini che hanno tentato di abbordare il tanker. Ma, dopo la prima reazione del personale di bordo (non ci è dato di sapere quale) hanno desistito interrompendo l'attacco.
Sarebbe quindi ipotizzabile un caso di verosimile «scambio d'identità» tra le due petroliere.
Tuttavia non sembrano esserci le prove concrete a sostegno di questa teoria. Le registrazioni degli eventi da un punto di vista temporale (differiscono gli orari) nonché le coordinate geografiche riportare, unite alla assoluta e apodittica convinzione delle autorità Italiane circa il posizionamento della Erica Lexie in acque internazionali a cui si aggiungono le dichiarazioni della Guardia Costiera indiana circa la remota possibilità che nelle immediate vicinanze della Lexie vi fossero altre navi, rendono di fatto i due eventi separati, minimizzando di fatto ogni possibilità di collegamento tra di loro.
Aldilà del contesto e di come siano realmente avvenuti i fatti, l'incidente ha evidenziato un’ampia e pericolosa zona grigia sulla legalità della presenza dei marine italiani a bordo di navi private soprattutto sulla presunzione d'immunità da procedimenti giudiziari in un paese straniero che dovrebbe di fatto proteggere i militari italiani nell'esercizio del compito loro assegnato.
La spaccatura è profonda. Mentre l'Italia sta trattando la questione come un incidente diplomatico, per l'India è un fatto strettamente penale ed è la magistratura a gestire il caso.
La posizione italiana
L'Italia afferma che l'incidente è avvenuto in acque internazionali e, stante il coinvolgimento di una nave italiana battente bandiera italiana, i militari in essa imbarcata non possono essere perseguiti in India.
A sostegno della tesi viene citata la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare del 10 dicembre 1982, sottoscritta anche dall'India.
La posizione indiana
L'India dal suo punto di vista non è disposta ad affermare, senza un'indagine interna, che l'incidente si è verificato in acque internazionali.
Ma questo, a loro avviso, fa poca differenza. Dal momento che i morti sono indiani, New Delhi sostiene il loro sistema giudiziario dovrebbe esaminare il caso.
Affermano inoltre anche che i marine italiani stavano viaggiando su una nave mercantile privata, quindi non sono immuni da procedimenti penali all'estero, come gli italiani sostengono. Diverso sarebbe stato se fossero stati imbarcati a bordo di una nave militare.
I riferimenti normativi
L'articolo 97 della Conferenza delle Nazioni Unite sul diritto del mare (UNCLOS), come citato dalle autorità italiane, afferma che «fermo o il sequestro della nave, anche come misura di indagine, sono classificati in ordine di qualsiasi altra autorità diversa da quelle dello Stato di bandiera».
In questo caso lo Stato di bandiera è l'Italia. Ma per gli indiani, l'articolo citato è fuori contesto, in quanto si tratta di «giurisdizione penale in materia di abbordi o di qualunque altro incidente di navigazione».
Al contrario gli indiani si appellano all'Annesso III della convenzione di Montego Bay che, sotto il titolo della Convenzione di High Seas, 1958; all'articolo 2, stabiliscono certe libertà che sono poi ampiamente riconosciute dai principi generali del diritto internazionale, di cui la libertà di pesca è parte.
Mentre per combattere fattivamente la pirateria, l'organizzazione Marittima Internazionale (IMO) ha adottato una risoluzione del 1986 per la repressione di atti illeciti contro la sicurezza della navigazione marittima, allora conosciuta come «Convenzione di Roma», la diplomazia indiana sostiene e afferma che nel caso di specie ciò non sia applica perché non c'era illecito (l'atto di pirateria) e il fatto è stato commesso contro una imbarcazione di pescatori.
La colpa dei marine italiani, a detta delle autorità indiane, risiederebbe nel fatto di aver sospettato che i pescatori potessero essere pirati e come tali di averli ingaggiati.
Di conseguenza, questo caso sicuramente non rientrerebbe in nessuna delle disposizioni della convenzione UNCLOS o di qualsiasi altra convenzione collegata con la lotta alla pirateria internazionale.
Uccidere qualcuno è un reato e l'imputato deve affrontare le accuse.
Ma, come e dove, arrivati a questo punto dovrà essere deciso dalle autorità indiane, tenendo in stretta considerazione le condizioni diplomatiche tra l'Italia e l'India.
Antonio de Felice
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