Attento a ciò che disprezzi – Di Daniela Larentis
«La guerra, la più evidente manifestazione dell’odio fra gli uomini, non è forse la più grande infamia dell’umanità intera?»
Pensiamoci, che cos’è in fondo l’odio?
«Una risoluta ostilità che implica un atteggiamento istintivo di condanna associato a ripugnanza verso qualcosa oppure il desiderio di nuocere a qualcuno» come cita testualmente il dizionario della lingua italiana Devoto-Oli ?
E chi lo sa? Si può solo provare a capire.
Pitagora detestava le fave e pare che morì proprio per essersi rifiutato di mettersi in salvo in un campo di fave, ucciso dai suoi inseguitori.
Eraclito, che non nutriva una particolare simpatia per l’acqua (in «Sulla Natura» la condannò come la parte più infima dell’uomo), si ammalò di idropisia e provando a curarsi da solo finì sbranato (si fece spalmare di escrementi che poi seccarono al sole, attirando la ferocia dei cani; sembra pazzesco, ma pare sia andata proprio così).
Potrei continuare la lista, limitandomi a una semplice riflessione e cioè che è meglio non odiare nulla se non vogliamo condannarci a subire proprio ciò che più avversiamo al mondo!
A proposito dell’odio, il poeta, pittore e filosofo libanese Khalil Gibran affermava «Spesso ho odiato per autodifesa; ma se fossi stato più forte non avrei utilizzato quest’arma» e io mi trovo d’accordo con lui ancora una volta, perché chi è più forte non ha bisogno di odiare.
Odiare, inoltre, è un inutile quanto insensato spreco di energie.
Di questo potente sentimento si potrebbe dire di tutto e il contrario di tutto, la storia dell’umanità è intrisa di odio, purtroppo; quello che è certo è che è sempre esistito, basti pensare alla Bibbia: Caino, figlio maggiore di Adamo ed Eva (secondo la Genesi fu il primo uomo «nato» sulla Terra), odiò così tanto il fratello Abele che finì per ucciderlo.
Tanto per stare in tema religioso, una marea di gente a Gerusalemme inneggiò la condanna di Gesù, dopo che Pilato ebbe chiesto quale sarebbe stato il suo destino.
E quale arcano sentimento, se non l’odio, a infervorare la folla impazzita?
Se poi pensiamo ai miti greci, anche Alcmena odiava Pterelao, il re di Tafo (isola greca), colui che le aveva assassinato quasi tutti i fratelli. Cicerone era disposto perfino a sacrificare degli amici per togliere di torno i nemici.
Famose le sue parole. «Pereant amici, dum inimici una intercidant» (muoiano pure degli amici, purché insieme cadano i nemici – Cicerone, Pro rege Deiotaro, IX , 25).
Potrei fare decine e decine, anzi, centinaia di altri esempi.
Per tornare a tempi più recenti, anche Romeo e Giulietta, protagonisti della tragedia di William Shakespeare, appartenevano a due famiglie che si odiavano a morte, i Montecchi e i Capuleti (come molto tempo prima, nella leggenda narrata da Ovidio nelle Metamorfosi, le famiglie babilonesi di Piramo e Tisbe).
Parlando di questo sentimento, non posso non rivolgere un pensiero all’Olocausto e a tutto quell’odio, grazie al quale sei milioni di persone furono sterminate.
Uccise. Eliminate. Cancellate.
Ogni ulteriore commento a riguardo è superfluo. Come commentare un genocidio?
E quale stato emotivo, se non uno smisurato odio verso i più deboli, verso individui ritenuti diversi per stili di vita, persone affette da patologie psichiche o malformazioni fisiche più o meno gravi, indusse i nazisti a elaborare addirittura un programma di sterminio, un’epurazione, durante la Seconda Guerra Mondiale, la tristemente nota «operazione T4»?
La guerra, la più evidente manifestazione dell’odio fra gli uomini, non è forse la più grande vergogna dell’umanità intera?
Non è la più evidente ignominia, il più abietto disonore, la più deplorevole infamia umana? La più grande vergogna?
Siamo in pace quando non siamo in guerra, ma la guerra non è solo l’assenza di pace, è molto peggio.
Virgilio, poeta e filosofo latino, disapprovava la guerra e pensava che essa non fosse portatrice di salvezza («Nulla salus bello», ossia non c’è nessuna salvezza nella guerra - Eneide, XI, 362).
Egli descrisse le battaglie, nel suo famoso poema l’Eneide, trasmettendo l’idea che la stessa fosse un male per chiunque e che portasse sofferenza a tutti, tanto che Drance, in un famoso discorso, propone a Turno, l’antagonista di Enea, la pace fra i Latini e i Troiani (e il matrimonio fra l’eroe troiano e Lavinia). In caso di disaccordo, invita Turno a sfidare Enea a duello, in modo che perisca uno solo di loro due.
Machiavelli nel XVI secolo dedicò alla guerra addirittura un libro, intitolato «Dell’arte della guerra».
Ma è ancora uno strumento accettabile, alle soglie del terzo millennio?
Ognuno di noi dovrebbe chiederselo seriamente, al di là di ogni strumentalizzazione.
Nella «Dichiarazione sulla Cultura della Pace» (adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 13 settembre 1999) viene ribadito il concetto che le guerre hanno origine innanzitutto nella mente degli uomini ed è in quella sede che vanno cancellate per costruire la pace.
Le guerre sono generate dall’odio che è un sentimento pericolosissimo.
A proposito di odio, nel libro di Gino Strada «Pappagalli verdi», edito da Feltrinelli, è riportata la notizia che a Choman, in Iraq, perfino il cimitero era minato!
Ecco ciò che si legge. «In molti ci hanno detto che minare le sorgenti d’acqua e i cimiteri è stata pratica diffusa da queste parti. Sono luoghi che, si intuisce facilmente, la gente è costretta a frequentare…»
Non c’è davvero limite al peggio.
L’odio, con tutta la carica di energia negativa che si porta appresso, è un gran brutto sentimento e dovremmo cercare di liberarcene, qualora dovessimo sperimentarlo, dovremmo provare ad allontanarlo dalle nostre esistenze, estirpandolo come si fa con le erbacce.
Abolirlo dal nostro vocabolario e soprattutto dalle nostre menti. Dai nostri cuori.
Occorre scacciarlo. Rifiutarlo. A prescindere da tutto.
Alle volte esso rappresenta il rovescio della medaglia. L’odio allora è un po’ come l’amore non espresso (o non corrisposto), la stessa emotività incanalata in maniera differente.
Come dire che talvolta si odia ciò che non si può essere, si disprezza ciò che non si può avere, si detesta chi non ci ama. Chi non ci considera, in qual caso l’odio è molto simile all’amore, un amore infelice, certo, ma pur sempre in qualche modo amore, forse una richiesta d’aiuto, un urlo disperato nel buio dell’anima.
Un agghiacciante urlo come quello raffigurato nell’emblematica opera del norvegese Edvard Munch, il pittore espressionista ( l’Espressionismo fu un movimento culturale-artistico sviluppatosi in Germania nei primi anni del Novecento che trattava vari temi fra i quali l’amore e la morte) che ritrasse magistralmente un uomo che urla al mondo la sua angoscia.
Tutta la sua angoscia.
Angoscia, odio… Stati d’animo generati comunque dalla paura, la causa di moltissimi guai.
Noi uomini siamo un po’ come delle bottiglie; una volta riempite tracimano, quindi è meglio fare molta attenzione a ciò che vi si introduce.
Non è una banalità porre l’attenzione sul contenuto. Chi volendo una bottiglia colma d’olio d’oliva extravergine la riempirebbe con olio di sansa?
Credo che sia meglio fare il pieno di cose belle e di tutto ciò che può renderci migliori e farci stare bene.
Far star bene gli altri. E l’odio non è contemplato nella lista.
Limitiamoci a vivere la semplice rabbia, incanalandola in maniera creativa.
Non è più tempo per odiare. Per nessuno di noi.
Daniela Larentis