Le opere di Giuseppe Penone in dialogo con lo spazio al Mart – Di Daniela Larentis
La splendida mostra del celebre scultore è visitabile al Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto dal 19 marzo al 26 giugno 2016
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«Giuseppe Penone|Scultura», è il titolo della spettacolare mostra che viene inaugurata oggi al Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto, curata da Gianfranco Maraniello.
È un percorso espositivo sulla pratica della scultura in stretto rapporto con l’architettura progettata da Mario Botta e i differenti ambienti del museo.
Il celebre scultore, presente con le sue opere nelle principali collezioni internazionali, ha partecipato alle più importanti manifestazioni artistiche del panorama contemporaneo.
Protagonista della stagione dell’Arte Povera, Penone ha sviluppato negli anni un suo linguaggio autonomo che ridefinisce i parametri stessi della scultura.
Su questa pratica si incentra tutta la mostra.
Giuseppe Penone - Spazio di luce - Dettaglio.
Dal 19 marzo al 26 giugno 2016, oltre sessanta opere ripercorrono alcuni dei principali momenti della sua ricerca artistica, con particolare attenzione alla produzione più recente.
Penone, nato a Garessio nei pressi di Cuneo nel 1947, vive e lavora tra Parigi e Torino. Le sue opere sono parte integrante delle principali collezioni museali nel mondo, quali Tate Gallery, Londra; Centre Georges Pompidou, Parigi; Musée d´Art Moderne de la Ville de Paris; MAXXI, Roma; Castello di Rivoli, Torino; Stedelijk Museum, Amsterdam; Museum of Modern Art, New York; e Museum of Contemporary Art, Los Angeles.
Tra le numerosissime personali ne citiamo solo un paio fra le più recenti: «Giuseppe Penone. Regards croisés», Musée cantonal des Beaux-Arts de Lausanne (2015) e «Giuseppe Penone: Being the River», Nasher Museum o Art, Durham, North Carolina (2015).
Ricordiamo che Penone ha co-rappresentato l’Italia alla 52.Biennale di Venezia (2007) ed è stato insignito del Praemium Imperiale dalla Japan Art Association nel 2014.
Giuseppe Penone - Trattenere 6 anni di crescita - Dettaglio.
E ora questa esposizione al Mart, in cui le sue opere sembrano segnare il territorio museale.
Sin dall’ingresso in museo, con una monumentale installazione inserita nel vano scale, architettura e scultura si intrecciano, esaltando le caratteristiche dell’una e dell’altra: l’espressività dello spazio e quella della materia, l’esperienza della luce e quella del volume.
L’albero di bronzo e oro, ancorato alle pareti, produce un abisso di luce che pare sfondare la copertura del museo.
«Osservando il suo interno, il nostro sguardo percorre lo spazio di luce occupato dall’albero e diventa albero», – ha spiegato l’artista, il quale nella sua carriera ha esplorato diversi materiali: il bronzo, il marmo, il legno, la terracotta, il cristallo, l’onice o il fogliame. L’albero, che l’artista considera «l’idea prima e più semplice di vitalità, di cultura, di scultura», è da sempre uno degli elementi centrali del lavoro.
Gli ampi spazi espositivi del secondo piano, pura architettura liberata dalle pareti interne, sono delimitati semplicemente dai muri perimetrali e dai pilastri e ricevono la luce zenitale dagli alti lucernari finalmente aperti.
La mostra si collega così alle condizioni ambientali, alla luce naturale e, idealmente, allo straordinario paesaggio montano che circonda il Mart.
Come scrive il regista Alain Fleischer nel suo saggio in catalogo: «Ogni epoca e ogni disciplina è contraddistinta dal grande artista che la firma. Ci fu un’epoca in cui la storia della scultura portava la firma di Rodin, poi ci fu quella di Brancusi, di Giacometti. Direi che la nostra epoca sia quella in cui la scultura porterà la firma di Penone. […].
Penone inventa sforzandosi di perseguire una verità della materia. Reinventa una necessità della scultura come spiegazione del mondo […].
Oggi Penone non è nella storia della scultura, è colui che produce un particolare momento storico».
Oltre al testo di Fleischer, il catalogo, pubblicato da Electa, contiene testi dello stesso Penone e di Gianfranco Maraniello.
Giuseppe Penone - Gesti vegetali.
A proposito della meravigliosa scultura dal titolo «Spazio di luce» che accoglie il visitatore in entrata al museo, ecco come la descrive il direttore del Mart (pag.15).
«L'albero si è nutrito di luce. Le tracce della crescita sono negli anelli concentrici che anno dopo anno si sono formati come testimonianza del suo sviluppo.
«Il fusto ha proseguito la propria propagazione finché un corpo di cera si è fatto custodia della forma del vegetale, per poi concedersi al bronzo, a una fusione, originando una scultura di notevoli dimensioni.
«La sagoma appare sezionata in cadenze regolari, con calibrati intervalli nell'ideale congiuntura delle parti di un tronco o meglio di un'imponente scorza di duttile lega metallica che sembra catturare un vuoto corrispondente alla spettrale presenza dell'albero di partenza.
«Disponendosi alla base dell'opera e osservandone la doratura in fogli della superficie interna si è colti da una vertigine. La distanza delle sezioni lascia percepire il dinamismo concentrico delle basi di ciascun elemento della scultura come fossero nuovi anelli o circonvoluzioni di una spirale che anima l'abisso di luce in cui è sprofondato lo sguardo incantato dalla straordinaria distesa dell'oro zecchino.
«Il bronzo fitomorfo sembra così concentrare e fissare in una percezione istantanea il nutrimento e, quindi, il processo e il tempo occorsi all'albero per la sua crescita.»
Giuseppe Penone - Corteccia 1983.
Spiega poi: «Il ricorso al metallo nobile ha un determinante valore metaforico che trova una decisa prossimità nel modo in cui tale materiale viene utilizzato nella sacralità delle icone.
«Non può darsi un pigmento nel lambire le figure dei santi, i cui profili confinano esclusivamente con lo sfondo di pura luce che per analogia evochi quello spazio non riconducibile al mondo della rappresentazione affidato invece ai colori.
«L'iconostasi, infatti, è propriamente il luogo della mediazione tra visibile e invisibile, rivelazione dell'immateriale e, come insegnava Pavel Florenskij, occasione del darsi stesso delle cose come prodotte dalla luce che è simbolizzata dall'oro.
«Senza forzare interpretazioni che contraggano troppi debiti con forme di spiritualismo o pratiche mistiche, non si deve tuttavia trascurare la ricorrente tensione dell'arte verso la propria stessa condizione aurorale, verso quell'origine da intendersi come spazio di libertà sottratto a omologate e diffuse pratiche che, soprattutto in un'epoca che conosce e persegue l'efficacia dell'immagine mediatica, riducono lo specifico di pittura e scultura a iconografia.
«Tale emancipazione dal rischio di asservimento illustrativo in un continuo riflesso e costitutivo ritardo rispetto a idee e prodotti della società è stata con evidenza proposta nella seconda metà degli anni Sessanta, quando anche Giuseppe Penone ha accolto l'impossibilità dell'indifferenza all'irruzione di istanze di forte critica sociale. Consapevolmente, come si riscontra nel costante accompagnamento lirico prodotto dai suoi scritti, ha interpretato il diffuso desiderio di azzeramento dei valori nell'orizzonte di una libera ridefinizione identitaria scegliendo di lavorare con elementi naturali per ricercare relazioni di affinità con la materia: La volontà di un rapporto paritario tra la mia persona e le cose è l'origine del mio lavoro. L'uomo non è spettatore o attore ma semplicemente natura […].»
Mart - Giuseppe Penone - Veduta delle sale.
L’uomo è natura, è una natura, sottolinea Maraniello, «che genera e che insieme si origina come tale proprio nella prospettiva umana».
A catturare particolarmente la nostra attenzione, il gruppo di poetiche opere dal titolo Gesti vegetali, così descritte sempre da Maraniello nell’esaustiva pubblicazione che accompagna la mostra (pag.17): «…La solidale unione tra natura e uomo si attua anche nel mimetismo dei cosiddetti «gesti vegetali», scorze di bronzo antropomorfe realizzate a partire da disegni e corrispondenti posture date dall'artista a manichini poi rivestiti di argilla.
Tali modelli preparano le rispettive fusioni che generano creature mitologiche, divinità che si integrano nel paesaggio boschivo e accompagnano la crescita delle piante circostanti, riempiendosi del loro sviluppo, degli odori, di aria e luce come in una simbiosi tra il vegetale e queste leggere cortecce bronzee che accomodano la stilizzata figura umana in una panica adesione al mondo silvestre».
Giuseppe penone - Avvolgere la terra.
Tuttavia, fra tutte quelle meraviglie, c’è un’opera di grande suggestione che ci ha lasciati letteralmente senza parole, quella intitolata «Sigillo» (2012), uno spettacolare cilindro in marmo bianco di Carrara che pareva srotolarsi come un lunghissimo tappeto innanzi a noi, appena entrati nell’ampia sala, e che sembra suggerire l’idea del tempo, immaginato come una sorta di interminabile distesa su cui si ha la sensazione di incedere passo dopo passo, giorno dopo giorno, senza possibilità di retrocedere.
Di quest’opera scrive lo stesso curatore (pag. 18).
«… Che scavi per fare emergere una forma o produca uno stampo per la fusione o l'incisione, l'artista ha sempre anche di mira il rovescio del mondo. Individuata una forma se ne scorge l'infinito delle sue possibili applicazioni.
«Accade, così, che Penone rintracci sulla superficie di un possente cilindro di marmo le trame venose che vengono scavate e scoperte nella loro plasticità in un parallelismo con le umane anatomie o con le strutture degli alberi in precedenti età ancora osservabili percorrendo gli indizi delle loro nervature.
«La geometria del blocco di roccia calcarea non presenta più superficie liscia, ma un disegno in rilievo che viene ripreso per una matrice che a sua volta utilizzerà per incidere in negativo alcune grandi lastre di marmo che, affiancate, costituiscono la bianca distesa su cui è ora adagiata la spessa colonna di partenza.
«L'impressione è quella di un monumentale sfregamento della superficie di un tale abnorme rullo che sembra imporre e ripetere la propria traccia solcando la preziosa superficie e lasciando una scia con motivi ornamentali in modo analogo alla tecnica diffusasi con gli antichi sigilli babilonesi.»
Osserva Penone che «Il disegno delle vene del marmo si è creato in un tempo geologico di difficile comprensione che ci è facile associare alla definizione di un tempo infinito.
«Il disegno che imprime con la sua rotazione il cilindro, se seguito con lo sguardo ci conduce con la sua ciclicità verso l'idea di uno spazio infinito».
Giuseppe Penone - Corteccia, 1986.
Questa importante mostra dedicata a Giuseppe Penone non deluderà certo il visitatore, un’esposizione che come lo stesso artista definisce, «è un percorso basato sull’idea di un gesto semplice impresso nella materia che diventa il principio della scultura.»
Daniela Larentis – [email protected]
Giuseppe Penone - Spazio di luce.