Studio 53 Arte: Depero, Garbari e Melotti – Di Daniela Larentis

La galleria dedica un’importante mostra ai tre grandi artisti trentini del Novecento, visitabile a Rovereto fino al 31 marzo 2021 – Intervista a Roberto Pizzini

Fortunato Depero - Big Sale, 1929 - Olio su tela cm. 116x184 – Roberto Pizzini.
 
A Rovereto è in corso un’importante mostra che rende omaggio a tre grandi protagonisti del Novecento artistico trentino: Fortunato Depero, Tullio Garbari e Fausto Melotti.
La prestigiosa esposizione è accompagnata da tre preziosi cataloghi realizzati per l’occasione, uno per ogni artista, curati rispettivamente da Maurizio Scudiero, Mario Cossali e Giovanni Marzari.
Il percorso espositivo è aperto al pubblico in corso Rosmini 53/5 presso la galleria «Studio 53 Arte» di Roberto Pizzini fino al 31 marzo 2021, nei seguenti orari di apertura: martedì-sabato dalle 16.00 alle 19.00 (e su appuntamento chiamando il numero 338-1082480), peraltro ricordiamo che le gallerie d’arte sono aperte anche nelle zone classificate arancioni.
 

Fortunato Depero.
 
Attraverso un ricco nucleo di opere, frutto di acquisizioni e prestiti, la mostra offre una panoramica di capolavori afferenti a vari periodi.
Fra le opere in mostra di Melotti ne citiamo alcune: «Geisha con il cappello a foggia di giudizio di Paride» del 1980; «Il canto di Femio» del 1966; «La leonessa e il suonatore di flauto» del 1968; «I sogni» del 1971; «Le scale di Giacobbe» del 1973 (1974), un’opera in acciaio inox che, come sottolinea il curatore nel testo in catalogo, «rievoca il passo della Genesi, in cui il patriarca, attraverso il sogno, vede la scala che dalla terra sale fino ai cieli».
Nel suo intervento in catalogo, Giovanni Marzari scrive a proposito dell’artista: «Davvero inesauribile il racconto di Melotti, contraddistinto dalla rara facoltà dell’invenzione. Ogni opera si apre a letture inedite, sguardi su scenari inaspettati.»
Fra i lavori più evocativi i Teatrini, «L’acrobata si avvia» del 1985 colpisce in particolare la nostra attenzione, rinviando al mondo contemporaneo e a un concetto sociologico, la nota metafora teatrale di Goffman secondo la quale gli individui si muovono sul palcoscenico della vita mettendo in scena la loro rappresentazione.
 

Fausto Melotti.
 
Davvero notevoli le opere esposte di Fortunato Depero, ricordiamo «Donne del tropico» del 1945; «Piante grasse» (Vaso di fiori) del 1946; «Paesaggio alpestre cristallizzato» (lunare) del 1936, oltre a «Big Sale» del 1929, solo per citarne alcune fra le molte presenti.
Per quanto riguarda Garbari, in mostra un corpus significativo dei suoi lavori, fra i quali citiamo a titolo esemplificativo: «Vigalzano» del 1914; «Ritorno a casa» del 1916; «Il calesse» del 1915-1916.
Durante la visita abbiamo avuto il piacere di rivolgere a Roberto Pizzini alcune domande.
 

Tullio Garbari.
 
Come nasce l’idea della mostra?
«La mostra nasce da una vecchia idea. A metà degli anni Settanta, negli spazi dell’allora Galleria Paganini da poco inaugurata a Rovereto, in occasione di un’esposizione su Fortunato Depero io e Luigi Serravalli, curatore della mostra, ci ripromettemmo di esporre opere di Tullio Garbari, Fausto Melotti e dello stesso Depero.
«La cosa non ebbe seguito, anche perché purtroppo Serravalli morì agli inizi degli anni Duemila, alcuni anni dopo la riapertura della galleria in corso Rosmini 53. Circa 3 anni fa, il giornalista e critico d’arte Claudio Cucco mi presentò l’architetto Arturo Tosi, nipote del pittore e mecenate Arturo Tosi, iniziai così ad acquistare pezzo per pezzo l’attuale collezione di Garbari.
«Avevo già opere di Melotti, che peraltro era mio amico nonostante la differenza d’età, e di Depero. Ho così pensato di dare vita finalmente a questa importante esposizione, potendo contare su tre ottimi collaboratori, Mario Cossali, Giovanni Marzari e Maurizo Scudiero, curatori dei tre cataloghi rispettivamente di Tullio Garbari, Fausto Melotti e Fortunato Depero, e un ottimo grafico quale Giancarlo Stefanati.
«La mostra è aperta da metà dicembre, anche se non c’è stata una vera e propria inaugurazione a causa dell’emergenza epidemiologica da covid-19; avrei voluto inaugurarla lo scorso marzo, purtroppo è stata più volte rimandata, alcune opere esposte sono in prestito, non ho potuto quindi rimandare oltre.»
 
Fino a quando sarà visitabile?
«Fino al 31 marzo 2021. La galleria è aperta dal martedì al sabato, dalle 16.00 alle 19.00. Chi volesse prenotare una visita può farlo, io sono spesso presente anche al mattino.»
 

 
Quante opere sono esposte?
«Sono 75 pezzi. Per quanto riguarda Melotti, si parte con il teatrino del 1957 e si arriva al 1985, anno di realizzazione dell’ultimo teatrino, lui morì nel 1986.
«Melotti è stato molto produttivo e lucido fino alla fine, le sue opere hanno delle quotazioni simili indipendentemente dal periodo di realizzazione.»
 
Potrebbe commentare uno dei tre «Teatrini» in mostra?
«Melotti ne ha realizzati pochissimi, circa una settantina. Qui ne sono esposti tre.
«Ho avuto la fortuna di comperarne due da Johnny Dorelli, Paradiso e Folklore, uno dei due è anche rappresentato sulla copertina del catalogo generale, rinvia al mondo musicale, rispecchia fra l’altro il carattere di Dorelli; Paradiso del resto è l’opera più vecchia in mostra, realizzata nel 1957.
«Il terzo teatrino, L’acrobata si avvia, è stato realizzato nel 1985, un anno prima della sua morte. È estremamente interessante, mostra tre figure, dei teatranti, e l’acrobata che si avvia verso la scala, dando l’idea dell’esercizio che verrà eseguito.»
 
Lei era amico di Melotti, come lo ricorda caratterialmente?
«Eravamo legati da un rapporto di amicizia. Nel 1977 in occasione di una sua mostra al Castello del Buonconsiglio a Trento, per fargli piacere andai a Venezia a prendere il critico d’arte Giuseppe Marchiori.
«Dopo l’inaugurazione andammo a mangiare al ristorante Chiesa, avevo di fronte Melotti, a fianco c’era Carlo Belli. Ricordo ancora quel momento con grande piacere.
«Fausto Melotti era una persona sensibilissima, estremamente colta. Quando si affrontava qualche ragionamento, se lui si rendeva conto che il suo interlocutore era in difficoltà sviava il discorso.
«Aveva un’eleganza incredibile. Lo ricordo quasi con commozione. La figlia Marta dopo aver preso visione dei cataloghi si è complimentata per la mostra, mi ha fatto molto piacere e spero che possa presto venire a visitarla.»
 

 
C’è un pezzo di Depero fra quelli esposti a cui è particolarmente affezionato?
«Big Sale, un olio su tela realizzato da Fortunato Depero nel 1929. È un’opera di grandi dimensioni, ho impiegato otto anni per riuscire ad acquistarla, il precedente proprietario non voleva venderla.
«Un dipinto che mi ha colpito per i suoi colori vivaci, vederlo al mattino ad ogni risveglio mi dà una grande gioia. Richiama la New York di quegli anni, Depero è giovane e pieno di vita nel momento in cui la realizza, è "un’opera di soglia - come la definisce Scudiero, - che chiude una fase, quella dell’Arte Meccanica, e ne apre un’altra, quella della Simultaneità urbana”.
«Per riuscire a comprarla ho venduto un’altra opera a cui ero affezionato, il Ritratto psicologico dell’aviatore Azar”, un altro olio di grandi dimensioni eseguito nel 1922. Essendomi innamorato di Big Sale ho dovuto venderlo…»
 
Può citare un’opera di Tullio Garbari fra quelle esposte?
«Come ho raccontato prima, ho avuto modo di acquisire un corpus significativo di lavori di Tullio Garbari, in mostra sono esposti anche diversi quadri afferenti al periodo perginese, a testimonianza delle origini dell’artista e un nucleo consistente di opere inedite.
«Fra le opere esposte vorrei citare Vigalzano, un olio realizzato nel 1914. Lui amava molto questo soggetto, lo ha raffigurato in varie versioni, ad acquarello e ad olio.»
 
Qual è il punto di forza di questa esposizione?
«L’essere riusciti a mostrare il legame fra i tre più grandi o perlomeno fra quelli che sono tra i più importanti protagonisti del Novecento trentino, tre artisti trentini quasi coevi, ciò che ci eravamo riproposti io e Serravalli.
«Tutti e tre avevano frequentato come altri artisti, fra cui Luciano Baldessari e Luigi Bonazza, la Scuola Reale Elisabettina a Rovereto, fondata nella seconda metà del XIX secolo quando la città, come viene ricordato nella prefazione in catalogo, faceva parte dell’impero austro-ungarico.»
 
Progetti futuri?
«Mi piacerebbe molto in futuro organizzare una mostra su Emilio Vedova, i tempi sono maturi.»

Daniela Larentis - [email protected]
Roberto Pizzini - [email protected]
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