Rapporto Svimez: il Meridione d'Italia in crisi più della Grecia
Anticipazioni dell'analisi annuale sull'economia nel Mezzogiorno: Val D'Aosta, Trentino e Alto Adige valgono il doppio delle regioni più povere
Il Sud arretra più della Grecia. È il dato che più colpisce nelle anticipazioni relative all’ultimo Rapporto Svimez 2015, rese note il 30 Luglio.
L’altro dato è che nelle regioni del Mezzogiorno un cittadino su tre è a rischio povertà, mentre al Nord è uno su 10.
La regione italiana con il più alto rischio di povertà è la Sicilia (41,8%), seguita dalla Campania (37,7%). Al Sud il rischio povertà è aumentato rispetto al 2011 del 2,2% contro il +1,1% del Centro-Nord.
La diminuzione del livello della spesa nel Mezzogiorno è stata di 9,9 miliardi di euro (da 25,7 miliardi del 2001 a 15,8 miliardi).
Se si esamina il dato relativo ai sette anni di crisi, dal 2008 al 2014 - secondo quanto reso noto come anticipazione del rapporto Svimez 2015 - la riduzione cumulata del PIL risulta per quasi tutte le regioni meridionali, ad eccezione del solo Abruzzo (-6,9%), di entità assai forte (si va da oltre il -22% del Molise, al 16,3% in Basilicata, ad un minimo del -12% in Puglia e Sardegna e del -11,4% in Calabria) e decisamente più accentuata che nella maggior parte delle regioni del Centro-nord.
In quest’ultima macroarea - rende noto la Svimez - sono paragonabili i dati di Umbria (-13,7%) e Marche (-13,0%) nel Centro Italia e di Piemonte (-12,0%) e Liguria (-10,5%) nel Nord.
Infatti nel 2014 il PIL per abitante delle due regioni più ricche, Valle d’Aosta e Trentino Alto Adige, supera i 36 mila euro, si conferma pari a più del doppio di quello delle due regioni più povere del Sud del Paese, Calabria (meno di 16 mila euro) e Sicilia (16.283 euro).
E proprio per la crisi economica diminuisce il numero dei figli e calano gli occupati, in particolare donne e giovani.
L’Associazione per lo sviluppo dell'industria nel Mezzogiorno, anticipando i contenuti del rapporto 2015, rileva che «nel 2014 al Sud si sono registrate solo 174 mila nascite, livello al minimo storico registrato oltre 150 anni fa, durante l'unità d'Italia: il Sud sarà interessato nei prossimi anni da un stravolgimento demografico, uno tsunami dalle conseguenze imprevedibili».
Quello fotografato dalla Svimez è un Paese diviso e diseguale, dove il Sud è alla deriva e arretra sempre più: nel 2014 per il settimo anno consecutivo il Pil del Mezzogiorno è ancora negativo (-1,3%) e il Pil pro capite tra Centro-Nord e Sud nel 2014 ha toccato il punto più basso degli ultimi 15 anni, con il 53,7%”.
Nel Mezzogiorno si registra inoltre un calo sia dei consumi interni che degli investimenti industriali. In particolare si evidenzia che dal 2008 al 2014 il settore manifatturiero al Sud ha perso il 34,8% del proprio prodotto, contro un calo nazionale del 16,7% e ha più che dimezzato gli investimenti (-59,3%).
Nel 2014 la quota del valore aggiunto manifatturiero sul Pil è stata pari al Sud solo all'8%, ben lontano dal 17,9% del Centro-Nord. Dato che fa il paio con la caduta delle esportazioni che in nel Centro-Nord salgono del 3% e al Sud crollano del 4,8%.
I consumi delle famiglie meridionali si sono ridotti nel 2014 dello 0,4%, a fronte di un aumento del +0,6% nelle regioni del Centro-Nord. Da quando è iniziata la crisi i consumi sono scesi del 13,2%, oltre il doppio che nel resto del Paese.
Crollano gli investimenti ma anche la spesa pubblica: «alla caduta complessiva» ha contribuito - denuncia la Svimez - non poco la grave compressione della spesa in conto capitale della Pubblica Amministrazione, consumatasi soprattutto a danno del Mezzogiorno.»
Dal 2001 al 2013 la spesa pubblica in conto capitale è diminuita di oltre 17,3 miliardi di euro da 63,7 miliardi a 46,3 miliardi, ma al Sud il calo è stato di 9,9 da 25,7 a 15,8.
Scendono soprattutto al Sud i trasferimenti in conto capitale a favore delle imprese pubbliche e private: tra il 2001 e il 2013 si è registrato un calo del 52%, pari a oltre 6,2 miliardi di euro.
Anche «la flessione dell’attività produttiva è stata molto più profonda ed estesa nel Mezzogiorno che nel resto del Paese», con effetti negativi che appaiono non più solo transitori ma strutturali, e che spiegano il maggior permanere delle difficoltà di crescita e la minore capacità di queste aree di agganciarsi alla ripresa internazionale.
La crisi ha depauperato le risorse del Mezzogiorno e il suo potenziale produttivo: la forte riduzione degli investimenti ha diminuito la sua capacità industriale, che, non venendo rinnovata, ha perso ulteriormente in competitività.
Le migrazioni, specie di capitale umano formato, e i minori flussi in entrata nel mercato del lavoro hanno contemperato il calo occupazionale.
Non sarà facile quindi disancorare il Mezzogiorno da questa spirale di bassa produttività, bassa crescita, e quindi minore benessere.
I dati segnalano come, dal dopoguerra, la capacità delle regioni meridionali di rimanere comunque agganciate allo sviluppo del resto del Paese, sia ora sempre minore.