Storie di donne, letteratura di genere/ 239 – Di Luciana Grillo

Raffaella Ranise, I Romanov - storia di una dinastia tra luci e ombre – Il testo ripercorre i trecento anni della leggendaria dinastia russa

Titolo: I Romanov. Storia di una dinastia tra luci e ombre
Autrice: Raffaella Ranise
 
Editore: Marsilio 2018
Collana: I giorni
 
Pagine: 133, illustrato, Brossura
Prezzo di copertina: € 15
 
Raffaella Ranise ci accompagna all'interno della storia di una famiglia reale comunemente conosciuta spesso solo attraverso stereotipi o etichette che ci ricordano Ivan il terribile, Pietro il grande, Caterina la grande... per arrivare poi agli inizi del '900 e a quei Romanov – gli ultimi – la cui fine drammatica è stata raccontata in vari modi e anche attraverso il cinema, quando una donna si è presentata al mondo come la sopravvissuta Anastasia.
Leggendo questo testo, invitante anche grazie a una raffinata immagine di copertina che propone un particolare di un foulard su seta «Rosa Romanov», dopo una carrellata sulla Russia degli Ivan (il grande e il terribile) ci accostiamo ai Romanov incontrando il figlio di un patriarca della chiesa ortodossa, «Michele Romanov, colui che diede inizio alla dinastia più importante».
 
Era il 1613, e «il paese era in ginocchio, distrutto da incendi, carestie, guerre civili...», guerre che si sono ripetute molto spesso, insieme a congiure di palazzo, morti improvvise e sospette, contrasti fra figli di primo e secondo letto, eccetera.
Quando Pietro – destinato ad essere ricordato come il grande, – nel 1672, salì al trono, sentì l'esigenza di «creare una nuova città, ancora più bella di Parigi, ricoperta d'oro e in grado di affascinare il mondo intero», di proporre «la riforma della Chiesa... l'amministrazione dello Stato, l'esercito e la marina... fece costruire fabbriche e cantieri navali... gettò le prime fondamenta di Pietroburgo».
Alla sua morte toccò alla zarina Caterina I, «la prima donna a governare la Russia... al potere nel paese più grande del mondo».
 
E così via, si susseguirono zar e zarine, tra cui si ricordano Elisabetta, la «scintilla di Pietro il grande... chiamata la “Semiramide del nord”», Caterina la grande, «un'eroina moderna, una donna intelligente, che ha saputo plasmare il suo carattere grazie alla cultura, trasformandosi da timida principessa tedesca nella più potente sovrana che la Russia abbia mai avuto», Alessandro I, che «sarà ricordato come il sovrano della Santa Alleanza e l'arbitro dell'Europa al Congresso di Vienna del 1815» fino a quel Nicola II sposato con Alessandra, «due giovani sovrani innamorati, non adatti a governare un territorio povero, diviso da profonde disuguaglianze e lacerato dalle lotte sociali».
Benché nipote della regina Vittoria, Alessandra non trovò comprensione in Inghilterra, né amore in Russia.
 
Fu chiamata «la tedesca», fu scambiata per freddezza la sua innata e signorile raffinatezza, così come non fu compresa dal popolo la mitezza di Nicola.
Persino Theodore Roosevelt lo definì «insignificante despota russo, una creaturina ridicola».
Ad errori e incomprensioni, si aggiunse la presenza di Rasputin, invitato a corte perché proteggesse il giovane erede - Alessio - ma capace di condizionare la vita e le scelte dei regnanti: «irruppe a corte perché gli zar non avevano più nulla a cui aggrapparsi. Era l'ottobre del 1906 e da lì in avanti avrebbe condiviso la vita della famiglia senza rinunciare ai modi grossolani, irriverenti, volgari».
Il suo potere durò fino al 1910, decideva incarichi e gestiva molto denaro, mentre la zarina si affidava incondizionatamente a lui perché convinta di essere colpevole, avendo trasmesso all'erede Alessio l'emofilia.
 
Il 1917 è l'anno della fine dei Romanov, il paese è in rivolta, lo zar in viaggio, in treno, si vede costretto ad abdicare: «Attorno a me vedo il tradimento, la codardia, l'inganno... Oggi provo uno strano sentimento, mi sento un sopravvissuto».
La famiglia imperiale, insieme, si adatta ad una condizione di isolamento, mentre «estranei... si comportavano da padroni nel loro palazzo».
Poi, trasferiti nella Siberia occidentale, «con estrema dignità avevano accettato gli arresti domiciliari, le umiliazioni e le derisioni... il comportamento della famiglia imperiale fu irreprensibile... nelle foto della prigionia le ragazze, sebbene vestite miseramente, mantengono intatta la loro bellezza».
Altro trasferimento, negli Urali, a Ekaterinburg, «casa a destinazione speciale», e qui si compì la tragedia.
 
Su queste morti fiorirono varie leggende, solo nel 1991, grazie al confronto del DNA, «si è avuta la prova che i resti erano davvero i corpi dello zar, della zarina e di tre dei cinque figli...», per gli altri due bisognerà attendere fino al 2008, quando tutte le salme saranno sepolte nella fortezza dei santi Pietro e Paolo a san Pietroburgo: «il popolo commosso rendeva finalmente omaggio allo zar poco amato, alla moglie tedesca mai accettata, ma la fine coraggiosa e dignitosa aveva creato un'immagine nuova dei sovrani e i russi da questo momento li avrebbero venerati».
Magra consolazione per chi, come Alessandra, avrebbe voluto essere amata dal suo popolo, almeno quanto lei aveva amato il suo sposo e il grande paese che era diventato la sua patria.
 
L'albero genealogico e le tante fotografie che si vedono alla fine del testo rendono chiaro l'evolversi della storia e fanno apprezzare, a chi legge, figure lontane che esprimono una grande malinconia, quasi un presagio di ciò che sarebbe avvenuto.
 
Luciana Grillo – [email protected]
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