La psichiatria oggi e domani – Di Nadia Clementi
«Dalla legge 181, un futuro di fiducia e speranza» – Seconda parte dell’intervista al dott. Renzo De Stefani, direttore del Servizio Salute Mentale di Trento
Nella precedente intervista al dott. Renzo De Stefani (vedi) abbiamo approfondito le tematiche riguardanti i disturbi mentali.
In questa seconda parte parleremo in termini generali della attuale Legge 180 e del futuro della psichiatria italiana contenuta nella proposta di Legge di iniziativa popolare chiamata «181».
Dott. De Stefani, qual è complessivamente la situazione dei servizi di salute mentale oggi in Italia?
«Come in molte altri ambiti la situazione è a macchia di leopardo. Vi sono zone del paese dove i Servizi fanno sicuramente cose buone, altre dove la situazione è appena sufficiente, altre ancora dove dire che non funzionano è quasi un eufemismo.»
Ma la legge 180, la famosa legge Basaglia, non ha dato i frutti sperati?
«La legge 180 era e rimane una legge di indirizzo, una legge quadro come si usa dire. Ha sancito la chiusura dei manicomi, che erano luoghi di morte civile e non certo di cura, e ha prescritto che le cure per le malattie mentali si praticassero nei servizi territoriali.
«Come costruire e organizzare nella pratica quotidiana i servizi territoriali era demandato ad altri atti legislativi, del parlamento e delle regioni, alle normative messe in campo dalle aziende sanitarie, all'impegno di quanti erano e sono chiamati a realizzarli.
«Il risultato al momento è quello che si diceva: le famose macchie di leopardo. Tanto che chi dovesse fare un giro in 10 o 100 servizi di salute mentale territoriali italiani avrebbe non pochi dubbi di trovarsi nello stesso paese.»
Cosa si può fare secondo lei per mettere mano a questa situazione?
«Ricette miracolose e funzionanti a breve naturalmente non ne esistono. Personalmente credo, che sia necessaria una legge nazionale che dia gambe omogenee in tutto il paese ai principi della 180. Per questo, assieme ai molti amici che appartengono al movimento de Le Parole ritrovate, e non solo a loro, abbiamo presentato una proposta di legge di iniziativa popolare che abbiamo chiamato 181 e per cui stiamo raccogliendo le necessarie 50.000 firme proprie in questi mesi.»
Cosa si vuole ottenere con la legge “181”?
«Anzitutto vogliamo che si smetta di litigare, come si sta facendo da 35 anni, da quando nel 1978 è stata promulgata la 180, tra chi la considera un'icona tra le più sacre delle battaglie di civiltà degli anni '60 e '70 (e lo è stata) e chi la considera la causa di tutti i mali, veri o presunti, della psichiatria italiana.
«Questi litigi sono del tutto inutili, anzi sono tra le cause della mancata applicazione dei principi della 180. Principi che ormai sono consegnati alla storia e su cui tornare indietro è del tutto impensabile. D'altro canto non vuol dire che non si debba andare oltre la 180 scrivendo con chiarezza quali sono le regole che devono far si che venga finalmente applicata.
«Quindi, come si capisce dal numero, la 181 vuole essere in continuità con la 180, ma vuole costringere tutti quelli che ne hanno responsabilità diretta e importante a darle gambe forti e applicabili in tutto il paese.»
Quali sono i principali obbiettivi della “181”?
«Sono molteplici, ma cerco di soffermarmi su quelli di più immediata importanza per gli utenti e i familiari. Che poi è un modo per spiegare ai lettori il mio pensiero su cosa occorre fare per avere dei buoni servizi di salute mentale.»
FIDUCIA E SPERANZA
«Come la Dichiarazione d'Indipendenza degli Stati Uniti sancisce per tutti i cittadini il diritto alla ricerca della felicità, la 181 vuole sancire il diritto alla fiducia e alla speranza per tutti gli utenti e i familiari che frequentano i Servizi di salute mentale.
«Quando un utente e i suoi familiari iniziano un percorso nella malattia, e quindi nei Servizi deputati a curarla, di fiducia e speranza ne hanno ben poca. Non perché medici e operatori siano indifferenti, ma perché il dramma che li ha colpiti lascia ben poco spazio a dimensioni come la fiducia e la speranza.
«Oggi è chiaro, anche a chi scrive i sacri testi della scienza ufficiale, che senza fiducia e speranza pretendere di curare la malattia mentale è come guidare di notte a fari spenti e pensare di arrivare sani e salvi alla meta.»
«Nella pratica quotidiana ancora pochi operatori (ma anche pochi familiari, pochi amici, pochi cittadini) colgono fino in fondo l’importanza di una cosa di così ovvio buon senso. E infatti mettere al primo posto un rapporto di fiducia e un investimento sulla speranza cos’è se non buon senso?
«Che poi vuol dire ovviamente capacità di accoglienza, sorriso, positività e tutto quello che fa dei rapporti umani un’esperienza che merita di essere vissuta. Che vuol dire credere ciascuno nelle risorse, nell’importanza, nell’unicità dell’altro. Il medico nel paziente, il paziente nel medico.
Diciamolo forte, non perché sia uno slogan, ma perché così deve essere nel mondo delle buone cure.
«La 181 mette fiducia e speranza al primo posto, al primo articolo. E vuole che sia misurata. Perché anche le leggi hanno un cuore, se lo vogliamo!»
LO SBARCO DEGLI UFE
«Si chiamano UFE, ma non sono extraterrestri. Anzi, sono esseri ultraterreni, in carne e ossa. L'acronimo UFE sta per Utenti Familiari Esperti. E loro sono esperti nel vero senso della parola, perché hanno vissuto sulla loro pelle l'esperienza del disagio psichico, oppure l'hanno dovuta affrontare stando al fianco di un familiare in sofferenza.
«Così, in base al loro sapere esperienziale, adesso possono aiutare chi sta vivendo un momento difficile. Facendo bene a se stessi (sentirsi utili è indispensabile per stare bene!) e facendo bene agli altri. Gli UFE da qualche anno sono una realtà a Trento, e anche in altre realtà italiane ed estere, dove affiancano in modo strutturato gli operatori del Servizio di salute mentale.
«Quella degli UFE è, insomma, una buona pratica presente all'interno della proposta di Legge 181, anche perché si rifà in modo fortissimo agli ideali di fiducia e speranza che animano il testo.
«Cosa fanno nel concreto gli UFE? In ogni realtà possono avere ruoli diversi. Possono occuparsi della prima accoglienza (sorridenti!), essere presenti in reparto (parola d'ordine: ascoltare!), dare supporto alle famiglie, affiancare i pazienti in momenti di crisi. Perché a volte, in quelle circostanze, una parola detta nel modo giusto può dare la forza per non mollare.
«E chi può sapere qual è la parola giusta se non chi ha già vissuto la stessa sofferenza?»
STIGMA E PREGIUDIZIO? NO GRAZIE!
«Se c’è una cosa su cui tutti, ma proprio tutti, sono d’accordo è che stigma e pregiudizi intorno alla malattia mentale non rischiano mai la disoccupazione! Nessuno potendo scegliere vede in una persona con problemi importanti di salute mentale che chiameremo Giovanni la persona con cui fare 4 chiacchiere, andare a cena, fare un viaggio al mare.
«Troppo spesso vediamo Giovanni, ancor prima di averci seriamente riflettuto, incomprensibile, pericoloso, immodificabile nella sua malattia. Prototipo della diversità, paga da sempre un prezzo altissimo all’etichetta che lo accompagna. Lui, e con lui la sua famiglia, rischia quasi sempre di venire cancellata dai file delle nostre vite e delle nostre comunità.
«I pregiudizi questo sono. Idee negative su cose, su persone, di cui non abbiamo esperienza concreta, giudizio autonomo. E allora Giovanni e la sua famiglia sono accerchiati da questo sentire negativo, ancor prima che noi cittadini per bene ne abbiamo fatto conoscenza reale. E questo sentire negativo li accompagna nel profondo, li fa sentire ancora più bersagliati dalla sorte.
«Basta scorrere i giornali per vedere come la follia compare a segnare raptus di ogni tipo, fatti di sangue ed eventi i più diversi che tanto più appaiono brutti e cattivi tanto più si macchiano di quell’etichetta.»
«Come tutti i pregiudizi anche quello sulla follia non ha basi che lo giustifichino. I matti non commettono più reati dei cosiddetti normali. Non solo, se li avviciniamo con occhio libero così incomprensibili, guariscono spesso e volentieri.
«Per questo la 181 vuole che sullo stigma e sul pregiudizio si lavori sul serio. Cosa che fino ad ora quasi nessuno ha fatto. E per combattere stigma e pregiudizio anzitutto bisogna curare bene Giovanni che rimane il primo sponsor di se stesso.
«Ma poi possiamo e dobbiamo raccontare la verità sulla follia. Nelle scuole innanzitutto e con la voce dei protagonisti veri. Ottimi propagandisti gli utenti e i familiari quando si raccontano. E ancora facendo nella salute mentale cose belle e importanti perché i media ne parlino e dicano che follia non è solo cronaca nera!
«E impegnandosi tutti assieme a dare voce e presenza a utenti e familiari in tanti spazi di vita comunitaria. Un modo piacevole per scrivere un’Italia migliore.»
IN PRIMA LINEA NELLE «CRISI»
«Trasmesso con il pudore di chi fatica a raccontare le proprie disgrazie mi capita di ascoltare girando l’Italia della salute mentale, ancora troppo spesso, il racconto di genitori che appena capiscono che un po’ stai dalla loro parte cercano sollievo al loro dolore raccontandotelo.
«Quando quei drammi escono alla luce viene sempre da chiedersi come sia possibile, per quei genitori, tollerare ferite cosi devastanti e essere ancora lì in prima linea ad affrontarne di nuove. E subito dopo come sia possibile che a quei drammi chi è pagato per farvi fronte sappia trovare, non sempre ma troppo spesso, un impressionante campionario di alibi e scuse per sottrarvisi.
«Quando il nostro Giovanni, preso nei vortici della malattia, dà sfogo estremo al suo disagio, non ci sono alibi che tengano. Gli operatori della salute mentale devono intervenire. In prima persona. Giovanni prima di passare il segno, ha sempre lanciato segnali.
«Se i Servizi sono stati al suo fianco li hanno colti e se li hanno colti quasi sempre li hanno saputi incanalare, limitare, prevenire. Quando questo non succede, quando nella famiglia, lasciata colpevolmente sola al suo destino, scoppia il primo o l’ennesimo dramma (e non è il raptus imprevedibile della follia di tanti brutti titoli di giornale) a parlare e ad agire è la malattia che chi doveva non ha saputo ascoltare e curare. E allora il Servizio deve esserci. E non il giorno dopo o la settimana dopo.»
«Mamme e papà spesso raccontano delle telefonate tanto disperate quanto inutili fatte ai Servizi di salute mentale a chiedere aiuto mentre sullo sfondo si sentono i rumori della guerriglia.
«E la risposta è “Giovanni non vuole curarsi, provate a convincerlo a venire lui da noi…” - “È un problema di ordine pubblico, chiamate il 113” - “Ha un appuntamento giovedì, accompagnatecelo…”.
«La 81 dice che i Servizi di salute mentale non possono chiamarsi fuori, che devono esserci e come devono esserci. In modo puntiglioso e preciso.
«Tempi di risposta: in giornata. Strumenti per accompagnare quello che si fa. Responsabilità chiare e definite.
«Coinvolgimento di quanti possono contribuire a ridurre il peso della crisi, dal medico di famiglia all’amico del cuore. E chi si chiama fuori paga pegno.»
FAMIGLIE DA AIUTARE, FAMIGLIE GRANDI RISORSE
«La famiglia gioca un ruolo centrale in tutte le nostre storie. È sempre lì in prima fila a soffrire con Giovanni, a combattere con lui e per lui.
«Un Giovanni col mal di cuore o col diabete raramente si fa rappresentare da genitori o da mogli o mariti per avere cure e rispetto.
«Un Giovanni che sente le voci, che si sente straniero nel nostro mondo difficilmente chiede aiuto, spesso anzi lo rifiuta.
«E allora chi ne prende le parti, chi corre a cercare aiuto, se non genitori e consorti, figli ed amici? Sconvolti e devastati se è la loro prima volta, più esperti, ma sicuramente non sereni, anche se sono ormai degli habitué.
«A questi genitori, a questi parenti variamente disperati, terrorizzati, arrabbiati, dobbiamo sempre il massimo dell’ascolto, dell’attenzione, della presenza. Anche quando può sembrare di aver già fatto tutto quello che si poteva, anche quando arriva la centesima telefonata.
Ogni famiglia ha i suoi tempi per prendere dimestichezza con la brutta bestia della malattia e quei tempi non sono i Servizi a deciderli.
«I Servizi possono/debbono rispettarli e accompagnarli. Sapendo che quei tempi saranno tanto più brevi quanto più a quelle famiglie sarà dato aiuto incondizionato. Mettendosi dalla loro parte. Provando a essere “noi” per qualche giorno “loro”.
«Quindi anzitutto tripla AAA: Ascolto Aiuto Accompagnamento. Sempre!
«Garantito questo, ci sono molte altre cose che vanno offerte alle famiglie. Anzitutto cicli di informazione, di psico-educazione in gergo, per far si che le famiglie sappiano il più possibile della malattia, dei farmaci, delle cose che il Servizio può e deve offrire ai loro cari.
«Incontri in cui si comincino a scambiare i saperi tra operatori e familiari e le famiglie si trovino tra loro a scambiarsi esperienze e a scoprire che non sono uniche nel loro dramma.
«E poi offerta di gruppi di auto-aiuto, una palestra eccezionale per imparare dall’esperienza. Ancora, sportelli autogestiti da familiari per dare info ad altri familiari. Tutto all’insegna di una cosa tanto straordinaria quanto semplice.
«Quelle famiglie che all’inizio del percorso nella malattia erano sole e disperate ora sono diventate una straordinaria risorsa non solo per il loro congiunto, ma anche per tanti altri Giovanni, per tanti altri familiari che dalla loro esperienza possono trarre stimoli importantissimi nei loro percorsi di cura e di vita.
«Tutte cose che la 181 prescrive e ancora una volta chi fa orecchie da mercante paga pegno.»
CASA E LAVORO, PER DARE SERENITA'
«La casa e il lavoro sono due aspetti fondamentali per chi sta bene, figuriamoci per chi sta vivendo un periodo di sofferenza, di disagio psichico. Ecco perché la Legge 181 su questi aspetti ha le idee molto chiare. I Servizi di salute mentale devono essere in prima linea su questi fronti, anche attraverso operatori che se ne occupano in modo specifico.
«Capitolo lavoro. Anche in questo momento di crisi è indispensabile trovare ogni possibile spazio per inserire queste persone in luoghi dove il lavoro sia vero e presente. E se per qualcuno non fosse possibile – per chi sta peggio, insomma – bisogna rimboccarsi le maniche, usare la fantasia e trovare anche dentro i Servizi nicchie di lavoro e di mercato.
«Esempi? C'è chi fa giardinaggio, chi realizza borse con le buste del caffè, chi s'è inventato addirittura un servizio catering. Tutto questo per far ritrovare abilità e competenza. Che significano ancora una volta fiducia e speranza.»
«Capitolo casa. Non si può andare avanti tra periodi in Comunità e altri periodi solitari in casa. Non ci si deve sentire abbandonati. Ecco perché funzionano le esperienze della convivenza tra soggetti diversi che, in questo modo, mettono in comune le loro risorse, si sentono parte di un progetto, nuovamente protagonisti.
«Poi ci sono gli affidi a famiglie disponibili, gli appartamenti a bassa protezione, gli esperimenti in alloggi da condividere con studenti universitari. Idee per ridare serenità a chi l'ha persa tra le difficoltà della vita.
«Ritrovare abilità e fiducia attraverso il lavoro, condividere esperienze con compagni di appartamento: sono due ingredienti fondamentali per una svolta, per guardare ancora al futuro. Per sentirsi nuovamente parte del mondo, della società.»
Sembra una rivoluzione! Ma pensa possa succedere davvero?
«Quando ero un giovane medico appena laureato e stavo cominciando a studiare psichiatria ho conosciuto e frequentato Franco Basaglia. Un uomo straordinario, con un grande carisma, e soprattutto con un grande convincimento. Che la guerra contro quella vergogna che erano i manicomi si poteva vincere.
«Buona parte del segreto, secondo me, sta qui. Crederci, crederci, crederci! Se ci crediamo, e se siamo in tanti a crederci, e se tra il nostro credere e il nostro fare c’è coerenza e continuità tutto diventa possibile.
«Del resto l’Italia come è piena di esempi di cattiva psichiatria è anche piena di esempi di buona psichiatria. Piena di persone che ci credono, che hanno voglia di fare. Siano essi operatori, utenti, familiari o cittadini disponibili.
«Per questo avere una legge come la 181 è importante. Per aiutare le tante persone di buona volontà a fare quella lei chiama una rivoluzione. E in alcuni aspetti lo è sicuramente.
«Una rivoluzione buona e gentile, che mette al primo punto fiducia & speranza. Una cosa inusuale in una legge, ma fondamentale nella vita di tutti noi, dentro i Servizi di salute mentale come nella vita di tutti i giorni.»
Il Servizio di salute mentale a Trento si è fatto conoscere per alcune “avventure” fuori dall’ordinario come la attraversata dell’Oceano Atlantico o il viaggio in Cina.
Qual è lo scopo di questi viaggi “particolari”?
«Lo scopo principale è quello di far parlare la gente di salute mentale in modo positivo e sorridente. Per combattere quello stigma e quei pregiudizi di cui dicevo prima.
«A me capita spessissimo di incontrare persone che non conosco e che quando sanno il mestiere che faccio e scambiamo quattro parole sul Servizio di salute mentale di Trento subito lo associano alla traversata in barca a vela dell’Oceano Atlantico o al viaggio in Cina o alla scuola che abbiamo costruito in Kenya.
«Ed è una associazione positiva, un modo per pensare e dire ma guarda che cose straordinarie hanno fatto… Allora i matti non sono così pericolosi e incomprensibili come pensavo…”.
«Questo naturalmente a patto che se ne parli sui giornali sui media, proprio come stiamo facendo adesso grazie a voi.
«Un altro aspetto particolare è che in questi viaggi, che vedono sempre assieme operatori, utenti, familiari e cittadini, si crea un clima molto particolare, di collaborazione, di stare insieme alla pari, di imparare, fuori dagli ambulatori, cos’è la malattia mentale, la sofferenza.
«Ma anche e soprattutto le risorse, il positivo che c’è, sempre, nella persona che vive il disagio, anche grave, e nel suo familiare. Un viaggio-laboratorio da cui si torna tutti più saggi!»
La salute mentale a Trento si è fatta conoscere anche per altre cose, ad esempio gli UFE di cui parlava prima a proposito della 181 e spesso riceve ospiti un po’ da tutta Italia e dal mondo.
Cosa colpisce di più i vostri ospiti?
«Sicuramente gli UFE sono il biglietto da visita che interessa e incuriosisce di più, tanto che sono stati copiati in tante realtà italiane e in molti paesi esteri. Ad esempio nei prossimi giorni verrà una delegazione norvegese con i vertici del ministero della salute e della salute mentale di quel paese per trasferire un po’ tutto il modello trentino del “fare assieme” e degli UFE in particolare.
«Ma oltre agli UFE quello che sicuramente colpisce e piace è il clima di collaborazione che i nostri ospiti colgono tra operatori e utenti e familiari. Una certa informalità che caratterizza i nostri spazi e sicuramente l’attenzione forte che cerchiamo di dare ad un circuito dell’abitare diversificato e agli inserimenti lavorativi promossi anche dentro il Servizio assieme ad alcune associazioni con cui collaboriamo e che offrono a più di 100 utenti all’anno piccole, ma importanti, opportunità di lavoro.»
«Un luogo che piace molto è il bar che abbiamo aperto all’interno della nostra sede principale in Via San Giovanni Bosco (dietro Piazza Fiera di Trento, nell’ex Casa di riposo). Già il nome è tutto un programma, Dolce & Caffè. L’arredo richiama la catena Starbucks con le maxipoltrone di cuoio marrone e il tipico clima salottiero.
«Gli utenti, che ne sono i fruitori più entusiasti, vi trovano una ottima occasione per combattere inquietudini e sofferenze. E il Dolce & Caffè si guadagna così fama di essere un luogo di cura forse anche migliore, a volte, di quelli più classici e riconosciuti.
«E ben vengano i lettori di questo articolo – orario di apertura 8.00 - 16.00 – a conoscerlo e a gustare torte dolci e salate preparate da Guido, cuoco di eccezione, nostro cittadino volontario, nonché anima del bar.»
In questi giorni il Trentino avrà una nuova Giunta provinciale e perciò anche un nuovo Assessore alla salute e alle politiche sociali.
Qualche consiglio in tema di salute mentale?
«La prima cosa che io ho sempre detto agli assessori, ai sindaci, ai ministri, con cui in questi anni ho avuto modo di interloquire e collaborare, è stata quella di offrire la nostra esperienza, piuttosto che dire loro cosa avrebbero dovuto fare o darci.
«Come dire “...questo è quello che facciamo, a noi sembra che funzioni e siamo contenti di poterlo far conoscere, di metterlo a disposizione …”.
«E poi se proprio dovessi dare un consiglio sarebbe quello di essere profondamente curiosa/curioso. Di non dare per scontato, di toccare con mano. Io cerco di farlo tutti i giorni, soprattutto quando parlo con utenti e familiari.
«Quella curiosità credo mi salvi dal rischio del pilota automatico, come lo chiamo io, di quel dare per scontato che è il primo ostacolo che dobbiamo evitare se davvero vogliamo cambiare le cose, fare le piccole necessarie rivoluzioni.
«E siamo in tempi in cui di piccole necessarie rivoluzioni ne abbiamo estremo bisogno, in Italia, ma anche nel nostro Trentino.»
Dott. Renzo De Stefani - [email protected]
Nadia Clementi - [email protected]
Per informazioni rivolgersi ai seguenti indirizzi: Servizio di salute mentale di Trento, Sede Via San Giovanni Bosco n. 10, Trento [email protected] Direzione e amministrazione tel. 0461-902870 Centro di salute mentale - Prima accoglienza tel. 0461-902850 Area del fareassieme tel. 0461-90281/86 (questo numero servirà più per il successivo articolo) Per info Gruppi di psicoterapia per attacchi di panico [email protected] Progetto Invito alla Vita Numero Verde 800-061650. |
Box n. 1 - Gli eventi extra-ordinari del «fare assieme»
2006 Oceano dentro. In barca a vela attraverso l’Atlantico, dieci uomini e donne che inseguono un sogno: dimostrare che anche un equipaggio del Servizio di salute mentale può arrivare fino alla fine del mondo. Un viaggio da matti nell’oceano che è davanti a tutti noi, ma anche dentro ciascuno di noi. |
2007 Quel treno speciale per Pechino. 208 utenti, familiari, operatori, cittadini attivi, appartenenti al mondo della salute mentale, provenienti da tutta Italia, assieme da Venezia a Pechino, in un viaggio indimenticabile, per contrastare lo stigma ed il pregiudizio verso la malattia mentale. |
2009 – 2010 Un ramo di follia fa più bello l’albero della vita. In 500 a costruire una scuola in un villaggio in Kenia. Il mondo della salute mentale dà il suo contributo per rendere il pianeta più vivibile e giusto. |
2011 Il Coast to Coast. La psichiatria italiana di comunità, il fareassieme e i suoi UFE alla conquista degli States. Da Boston a Los Angeles il Coast to Coast più pazzo della storia, invitati a tenere 10 conferenze in prestigiose Università e Centri di ricerca americani. |