Il rapporto Censis/ 2 – Una società senza il gusto del rischio

Il capitolo «La società italiana al 2015» del 49° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese/2015

Nell'«Italia dello zero virgola», in cui le variazioni congiunturali degli indicatori economici sono ancora minime, continua a gonfiarsi la bolla del risparmio cautelativo e non si riaccende la propensione al rischio. Ma c'è una piattaforma di ripartenza del Paese: una geografia dei vincenti che gioca sul driver dell'ibridazione di settori e competenze tradizionali.
Che così si trasformano: è il nuovo Italian style.

 Oltre il cash cautelativo, zero rischi: dove andranno i soldi degli italiani 
Nel corso dell'anno i principali indicatori economici hanno cambiato segno ed evidenziano movimenti verso l'alto nell'ordine di qualche decimale di punto percentuale. Ma nell'«Italia dello zero virgola» continua a gonfiarsi la bolla del cash cautelativo.
Lo dimostra il tasso di inflazione, inchiodato intorno allo zero nonostante il poderoso sforzo della Bce con il quantitative easing, così come gli investimenti nulli.
Ammonta a più di 4.000 miliardi di euro il valore del patrimonio finanziario degli italiani. In quattro anni (giugno 2011-giugno 2015) ha registrato un incremento di 401,5 miliardi: +6,2% in termini reali.
Negli anni della crisi la composizione del portafoglio delle attività finanziarie delle famiglie ha sancito il passaggio a una opzione fortemente difensiva degli italiani: il contante e i depositi bancari sono saliti da una quota pari al 23,6% del totale nel 2007 al 30,9% nel 2014, mentre sono crollate le azioni (dal 31,8% al 23,7%) e le obbligazioni (dal 17,6% al 10,8%).
Negli ultimi dodici mesi (giugno 2014-giugno 2015) si conferma l'opzione cautelativa degli italiani, con un incremento di 45 miliardi di euro della liquidità (+6,3%) e di 73 miliardi in assicurazioni e fondi pensione (+9,4%), e con la rinnovata contrazione di azioni e partecipazioni (10 miliardi in meno, pari a una riduzione dell'1,2%).
La diversità sta però nell'impennata delle quote di fondi comuni, segno di un allentamento della morsa dell'ansia: 108 miliardi in più in un anno (+32,8%).
Non si torna però alla fiduciosa assunzione del rischio individuale, consapevoli che l'azzardo lascerebbe impresse cicatrici profonde sulle proprie solitarie biografie personali.
D'altro canto, il risparmio è ancora la scialuppa di salvataggio nel quotidiano, visto che nell'anno trascorso 3,1 milioni di famiglie hanno dovuto mettere mano ai risparmi per fronteggiare gap di reddito rispetto alle spese mensili.
Riguardo agli investimenti, il mattone ha ricominciato ad attrarre risorse. Lo segnala il boom delle richieste di mutui (+94,3% nel periodo gennaio-ottobre 2015 rispetto allo stesso periodo del 2014) e l'andamento delle transazioni immobiliari (+6,6% di compravendite di abitazioni nel secondo trimestre del 2015 rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente).
E si diffonde la propensione a mettere a reddito il patrimonio immobiliare: 560.000 italiani dichiarano di aver gestito una struttura ricettiva per turisti, come case vacanza o bed & breakfast, generando un fatturato stimabile in circa 6 miliardi di euro, in gran parte sommerso.
In questa fase, l'esigenza della riallocazione del risparmio in modo più funzionale all'economia reale si lega strettamente alla richiesta di scongelare quote del proprio reddito aspirate dalla fiscalità: il 55,3% degli italiani vuole il taglio delle tasse, anche a costo di una riduzione dei servizi pubblici.
 
 Il rimbalzo occupazionale selettivo dopo la lunga crisi 
Dall'entrata in vigore del Jobs Act, il mercato del lavoro ha visto rimbalzare l'occupazione di 204.000 unità. Siamo ancora lontani dal recuperare la situazione pre-crisi, dato che nel terzo trimestre dell'anno, rispetto allo stesso periodo del 2008, mancano all'appello 551.000 posti di lavoro.
 La disoccupazione si riduce all'11,9%: una cifra molto lontana però dal 6,7% del 2008.
Per quanto riguarda i giovani (15-24 anni) si registra un crollo dell'occupazione, proseguito anche nel 2015, con un recupero ora di appena 9.000 unità rispetto al primo trimestre.
Il loro tasso di disoccupazione è praticamente raddoppiato in sei anni, con un picco del 42,7% nel 2014 e poi un calo di 1,4 punti tra il primo e il terzo trimestre di quest'anno.
L'occupazione femminile, invece, ha guadagnato 64.000 posti di lavoro in sei anni e si registra ancora un incremento di 35.000 occupate tra il primo e il terzo trimestre del 2015.
E se nel 2008 i lavoratori più anziani (55-64 anni) erano poco meno di 2,5 milioni, nel 2014 erano diventati 3,5 milioni e continuano a crescere, con un aumento di 91.000 unità nei primi sei mesi dell'anno. Si consolida la presenza nel mercato del lavoro della componente straniera, che ha superato i 2,3 milioni di occupati, con un incremento di 604.000 unità tra il 2008 e il 2014 e di 77.000 nella prima metà dell'anno.
Intanto, permangono criticità che rischiano di cronicizzarsi: i giovani che non studiano e non lavorano (i Neet) sono 2,2 milioni, la sottoccupazione riguarda 783.000 addetti, il part time involontario 2,7 milioni di occupati e la Cassa integrazione ha superato nel 2014 la soglia del miliardo di ore concesse, corrispondenti a circa 250.000 occupati equivalenti.
E poi ci sono i workaholic loro malgrado: negli ultimi dodici mesi, 11,3 milioni di italiani hanno lavorato regolarmente o di tanto in tanto durante il weekend, 10,3 milioni oltre l'orario formale senza il pagamento degli straordinari, 7,3 milioni a distanza (da casa o in viaggio), 4,1 milioni hanno lavorato di notte, 4 milioni hanno fatto piccoli lavoretti saltuari.
 
 La piattaforma di ripartenza (e trasformazione) dell'Italia 
La geografia dei vincenti ridisegnata dal driver dell'ibridazione. Oggi il primo fattore di riposizionamento dei vincenti è il rapporto con la globalità, profondamente modificato dall'abbattimento delle barriere e dei costi di ingresso grazie al digitale.
Chi negli anni delle ristrettezze interne ha vinto ogni pulsione protezionista o di pura trincea, ed è andato verso l'esterno assumendosene i rischi e accettando le sfide, adesso incassa il dividendo di tale scelta.
Le esportazioni valgono il 29,6% del Pil. Nonostante il contraccolpo causato dalla crisi dei mercati emergenti, hanno continuato a crescere anche negli anni della crisi e nei primi nove mesi dell'anno segnano un +4,2% rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente.
Vincono i produttori di macchine e apparecchiature, con un surplus di 50,2 miliardi di euro nel 2014, e l'Italia oggi è leader nella produzione di macchinari per produrre altri macchinari.
Vince l'agroalimentare, che nell'anno dell'Expo fa il boom di esportazioni (+6,2% nei primi otto mesi del 2015) e riconquista la leadership nel mercato mondiale del vino (con oltre 3 miliardi di export).
Vincono i comparti consolidati dell'abbigliamento (+1,4% di export nei primi otto mesi dell'anno), della pelletteria (+4,5%), dei mobili (+6,3%), dei gioielli (+11,8%).
E vince un settore trasversale per vocazione come quello creativo-culturale, con 43 miliardi di export. Ma a contare veramente non è un pur importante segno positivo negli indicatori congiunturali.
Il vero «X factor» sta in una rinnovata ibridazione di settori e competenze tradizionali che produce un nuovo stile italiano: il risultato di questa ibridazione è una trasformazione dei settori tradizionali. Il design e la moda ne sono l'archetipo (ibridazione di qualità, saper fare artigiano, estetica, brand).
Oggi il successo della gastronomia italiana ha agganciato lo sviluppo della filiera agroalimentare, legandola anche al turismo, alle bellezze paesaggistiche e culturali del Paese, grazie anche al volano delle piattaforme digitali.