La «mia» Via de la Plata (8ª puntata) – Di Elena Casagrande

Seguendo splendidi fiumi e passando dalle terre di Tábara, Benavente e Carballeda, attraversiamo la Sanabria ed entriamo in Galizia dal passo di Canda

Il Rio Esla ed il Ponte Quintos.
(Puntate precedenti)

La sera prima ci avevano detto di non passare per il Monastero di Granja de Moreruela e risparmiare così 7 km.
Seguiamo il consiglio e, oltre a perderci le rovine maestose del monastero (che ho visto un paio di anni dopo, comunque perdendomi in una cava), la strada da fare è pressoché la stessa ed arriviamo solo nel primo pomeriggio a Faramontanos de Tábara.
Deve esserci qualcosa di sbagliato nelle indicazioni del cammino. Meno male che il paesaggio è meraviglioso ed è una bellezza camminare sugli argini del fiume Esla che scorre placido e maestoso.

Da Faramontanos, dopo un meritato ristoro, arrivare a Tábara è molto facile e veloce, seguendo un tratto piano di cammino su terra rossa.
Visitiamo la Chiesa, dove c’è una mostra sullo scriptorium medievale e dove ci danno la chiave dell’albergue de peregrinos.
È in fondo al paese ed ha un bel fontanile davanti. Faccio il bucato al sole.
A cena il ristorante propone ajetes con gambas, filete con patatas e flan (germogli di aglio con gamberi, bistecca con patate e creme caramel).
 

Scorcio di Faramontanos de Tábara.
 
 La prima immagine (XI secolo) di Santiago pellegrino ci indica il cammino  
Il primo paese che incontriamo, Bercianos de Valverde, ha il bar chiuso, ma il proprietario ce lo apre per pietà e ci fa un caffè. Non ha dolci, né pane.
Riprendiamo il cammino per il paese di Santa Croya de Tera, che è a un tiro di scoppio da Santa Marta de Tera dove, da tutto il cammino, aspettiamo di vedere la statua di Santiago peregrino più antica di sempre.
È sopra il portale posteriore, accanto al cimitero.
Vederlo, con la sua bisaccia, la conchiglia del pellegrino ed il saluto di pace, è proprio emozionante. Da lì proseguiamo, contenti, verso Calzadilla de Tera, dopo esserci concessi un bel pediluvio nel fiume Tera.

Dei ragazzi ci sentono ridere e scherzare e ci chiedono se siamo catalani. «No, – rispondiamo. – Siamo italiani».
In paese ordino la cena nell’unico posto possibile, un vecchio baretto. L’anziana proprietaria mi chiede cosa voglio.
«Bueno, hija, te lo haré» - Mi dice (bene, figlia, te lo farò).
Contratto per la zuppa d’aglio, la bistecca con patate e la cuajada (latte cagliato, tipo panna-cotta).
Tutto rigorosamente fatto in casa, a dieci euro a testa.
Si dorme nell’albergo dei pellegrini, nuovo e comodo.


Il Santiago pellegrino di Santa Marta de Tera.
 
 Un cammino accompagnato da miracoli e vestigia templari  
Di buon passo giungiamo a Rionegro del Puente, dove visitiamo il Santuario de la Carballeda.
Qui, su una quercia, apparve la Vergine che - si narra - stese il Suo manto sul fiume Rionegro per far attraversare i pellegrini.
Arriviamo davvero in fretta Mombuey, grazie al miraggio del ristorante e qui ci concediamo un «menù del dia» (del giorno) che, in Spagna, per legge, non manca mai.
Dalla torre templare col suo bue sporgente, oggi campanile della Chiesa, l’Ordine del Tempio proteggeva il passo di pellegrini e transumanti.
Fa caldo, ma, rifocillati, riprendiamo il cammino, dopo una dormitina al parco. Poco prima di arrivare, mi
rinfresco i piedi nella fontanella di Valdemerilla, ricavata da una macina.
 

La Torre templare di Mombuey.
 
 La nostra cena di fortuna in piazza è un’intervista a «los italianos»  
A Cernadilla (abitanti 180) non c’è nulla. Ceniamo in piazza, su un tavolino del bar (El unico), con la cecina (carne affumicata) trovata nello zaino e due lattine di bibite.
Passa un ragazzino in bici che comincia a girarci intorno. Ne arrivano altri e tutti ci guardano. Ci sentiamo un po’ in vetrina.
C’è anche un bambino con indosso la maglia degli azzurri. Gli faccio i complimenti per la camiseta (la t-shirt) e le mie parole rompono il ghiaccio.
Subito veniamo raggiunti anche da altri paesani che si siedono con noi, chi prendendo una sedia del bar, chi portandosela da casa.
Hanno scoperto che siamo italiani. Italiani sì… e Campioni del Mondo (e, a pensarci oggi, mi viene male…).
Ci chiedono di tutto. Paolo e io ci guardiamo e ridiamo.
Da fine giugno hanno inaugurato un rifugio, nell’antica fucina del villaggio, con soli 4 posti letto e ne sono molto orgogliosi. Finalmente i pellegrini non si limitano a passare di corsa dal pueblo, ma si fermano e si possono «conoscere».


Pediluvio nella «macina» a Valdemerilla.
 
 Attraversata la Sanabria, saliamo verso i passi di Pardonelo e Canda  
Niente colazione se non a Palacios de Sanabria, dove finalmente riesco a bermi un caffelatte, agognato dopo la notte insonne per le russate del pellegrino tedesco trovato al rifugio. In Sanabria cominciamo a «bruciare» le tappe.
A Puebla de Sanabria, nota per il castello e la Chiesa romanica di Santa Maria del Azogue, ci fermiamo e riprendiamo le forze: vogliamo arrivare a Requejo e sono quasi 40 km.
Ma lungo il cammino Santiago ci fa sentire la sua presenza, specie all’antico hospital di San Giacomo di Terroso, dove tutto ci parla di Lui (dalle maniglie a forma di conghiglia, alle formelle del portone, alla croce rossa santiaghista sul tetto).
In paese, Andrés, il volontario, ci stampa ben 4 timbri della località. Stiamo un po’ in sua compagnia, poi si passa davanti alla gasolinera dove il benzinaio, vedendomi arrivare, mi domanda se voglio della benzina. Mostrandogli lo zaino gli dico: «Certo, così arrivo prima a Requejo!».
Sono le 18 e mi fa: «Ci arriverete a mezzanotte!».
Non è così. Saliamo verso le montagne ed arriviamo alle 21, ma qui, in Spagna, c’è ancora luce. E un rifugio.
 

L’hospital di Santiago a Terroso.
 
 Dal Puerto di Canda entro in Galizia e il piede duole!  
Oggi ci aspetta il tappone dolomitico. Bene, sono trentina per qualcosa, no?
Dai mille metri di Requejo ci dirigiamo a Pardonelo, primo passo della giornata e ci arriviamo bene.
Da lì è uno spettacolo camminare tra prati di erica e boschi di castagni sino a Lubian, con le case di pietra e i tetti neri di ardesia.
Dopo un pranzo al sacco partiamo per il passo di Canda. Sotto a noi le corsie dell’autostrada, con i tunnel, la strada nazionale e… la vecchia provinciale, oggi frequentata da pellegrini e ciclisti.


Lubian e le sue montagne.
 
 L’entrata in Galizia non mi commuove più di tanto
Da qui mancano 246 km a Santiago e stasera vogliamo finire la tappa ad A Gudiña: sono quasi 43 km. In cambio, però, il piede sinistro comincia a farmi male.
Deve esserci una «ampolla» (una vescica) sotto il durone del tallone. Mancano 12 km al traguardo della tappa.
Paolo mi fa sedere e mi dice: «Fai con calma, cerca di bucarla e vediamo. Magari metti i sandali».
Si allontana per lasciarmi tranquilla. Inutile dire che non trovo la buffa!
Quando Paolo ritorna, portandomi un dolcetto, mi giro di scatto ed ecco che l’ago, che avevo in mano, fora l’ampolla. Come per miracolo, si svuota.
Indosso i sandali e ricomincio a camminare abbastanza bene. Su strada arriviamo ad A Gudiña.
C’è la fiesta e in albergue ci sono due pellegrini milanesi, ma sono le 21 e dobbiamo lavarci e fare il bucato. Niente bagordi per noi.
 
Elena Casagrande

(La nona puntata de «La Via de la Plata» sarà pubblicata mercoledì 25 maggio)
 
Dopo il passo di Canda.